Per capire quali sono le priorità e gli interessi di Francesco Gaetano Caltagirone bisogna partire da una foto
e da una riunione. La foto è quella sul Corriere della Sera di lunedì scorso. Pagina 17, titolo: “La ricetta dei banchieri: grandi opere per la ripresa”. Sotto, le immagini di Alessandro Profumo (Unicredit), Corrado Passera (Intesa Sanpaolo) e Caltagirone che è anche - o forse soprattutto – vicepresidente del Monte de’ Paschi di Siena.
La riunione è quella di oggi, del consiglio di amministrazione di Acea, l’ex municipalizzata romana, dove forse non si arriverà allo scontro con i soci francesi, ma dopo il rinvio in extremis di venerdì scorso, il clima sarà quello dei nemici che si studiano in attesa del duello finale all’arma bianca. Ma i tavoli su cui Caltagirone
sta muovendo le sue pedine sono tanti e così sovrapposti che bisogna analizzarli uno per volta.
POTERE BANCARIO. Da quasi un decennio, Caltagirone si diverte a fare il banchiere. A 70 anni (tra due settimane) il costruttore romano ha approfittato della crisi finanziaria e del crollo delle Borse, il minimo di Piazza Affari è stato lo scorso 9 marzo, per impiegare la sua enorme liquidità in modo da aumentare le sue partecipazioni strategiche. Tra queste c’è il 3,9 per cento del Monte de’ Paschi di Siena che Caltagirone riesce
a sfruttare con un effetto leva tipicamente italiano: entrato nel cda nel 2003, ora il costruttore parla della banca come se fosse cosa sua. E in parte ha ragione. In un’intervista a Claudio Cerasa del Fog l i o , venerdì scorso, ha annunciato di voler “trasformare Mps nella prima banca del centro sud”.
Roma inclusa, dove i costruttori e lo stesso Caltagirone sono rimasti privi di una solida sponda creditizia, dopo che Cesare Geronzi è andato a guidare Mediobanca quando nel 2007 la sua Capitalia si è fusa con Unicredit (l’istituto di Profumo ci ha messo due anni a fare ordine nei bilanci e nei rapporti di Capitalia con gli imprenditori romani). L’influenza di Caltagirone su Mps sta crescendo anche in virtù di una sua scelta tattica ormai esplicita: il sostegno alla candidatura del presidente della banca senese Giuseppe Mussari alla guida dell’Abi, l’Associazione delle banche italiane che oggi è affidata a Corrado Faissola (espressione del mondo delle popolari). I giochi si faranno a luglio, ma già ora Caltagirone sta creando un asse con le altre grandi banche – Intesa e Unicredit – che possono essere interessate a egemonizzare l’Abi in un momento che sarà delicato.
Le sofferenze creditizie sono e saranno ai massimi storici (lo ha detto di recente proprio Faissola) e quindi i rapporti con il governo rischiano di diventare ancora più complicati, vista la frequenza con cui il ministro Giulio Tremonti cerca di trasformare in capri espiatori della crisi le banche “che non fanno il loro mestiere”.
Monte dei Paschi, a differenza di Intesa e Unicredit, ha anche sottoscritto i Tremonti bond, le obbligazioni emesse dal Tesoro per rafforzare le banche in difficoltà.
Mussari ieri ha incontrato Cesare Geronzi, presidente di Mediobanca, per definire la strategia di conquista, visto che oggi, con la nomina da parte del comitato esecutivo Abi dei cinque saggi incaricati di individuare il candidato da sottoporre all’assemblea, è partita la fase finale della scalata alla testa dell’associazione.
POTERE ASSICURATIVO.
L’altra vicenda finanziaria che occupa i pensieri di Caltagirone è quella delle Assicurazioni Generali.
Ad aprile si rinnovano i vertici e potrebbe finire l’era del presidente Antoine Bernheim. “A me non risulta che Bernheim in questo momento si sia ricandidato. Se si ricandiderà ci rifletterò”, ha detto sabato Caltagirone. In un momento in cui contano più le omissioni che le azioni, tutti sanno che Bernheim non ha chiesto di essere riconfermato ma neppure ha detto di essere pronto a farsi da parte. E l’8 febbraio il coordinamento europeo
dei dipendenti del colosso assicurativo di Trieste che molti considerano vicino ai soci francesi ha detto che non c’è ragione di cambiare, così da salvaguardare “l’indispensabile stabilità”. Tradotto: meglio Bernheim di Geronzi, il candidato di cui più si discute per la presidenza in questo periodo.
Caltagirone non esclude l’ipotesi geronziana. Al Fog l i o ha detto: “Ho sentito anche io delle voci circolate di una sua presunta candidatura in Generali e su questo argomento lasciatemi però dire che è ancora decisamente troppo presto per discutere”. Intanto, però, Caltagirone continua a comprare e ha portato la sua quota nel gruppo
assicurativo vicina al 2 per cento.
E il suo potere d’intervento cresce in modo più che proporzionale.
Non solo dentro l’azienda: Generali è uno dei tre azionisti italiani (assieme a Intesa e Mediobanca) di Telco, la holding che controlla Telecom Italia e che dopo le Regionali potrebbe disgregarsi a favore di nuovi equilibri (quasi certamente a favore del partner industriale spagnolo Telefónica, altro socio di Telco).
Quando sarà il momento di decidere il nuovo assetto della compagnia telefonica, Caltagirone avrà diritto di parola.
POTERE ENERGETICO. Se agli osservatori è possibile distinguere una trama nelle mosse finanziarie di Caltagirone, risulta più difficile farlo sull’altro terreno, quello dove si prepara lo scontro decisivo: l’Acea, la colossale ex municipalizzata di Roma che si occupa soprattutto di energia e acqua. Premessa: con il decreto Ronchi varato dal governo a fine anno, gli enti locali che hanno ancora partecipazioni in ex municipalizzate
quotate devono scendere sotto il 40 per cento entro fine 2013 e sotto il 30 entro fine 2015.
Il comune di Roma è ancora al 51 per cento di Acea, ma il sindaco Gianni Alemanno ha annunciato a gennaio che è pronto a vendere il 20 per cento entro fine anno. Poi è diventato più cauto, dopo le polemiche sollevate dalle sue parole (il Pd lo accusa di svendere le quote, visto che il prezzo di Borsa è ai minimi).
Ma le incertezze sul futuro industriale di Acea sono anche maggiori di quelle sul futuro azionario.
Caltagirone ha continuato a comprare quote in Acea fino ad arrivare all’8,9 per cento, appena sotto i soci francesi di Gdf-Suez che hanno il 9,9 per cento (e che l’immobiliarista cerca di contenere da oltre un anno). Il problema è il seguente: se i francesi restano così forti da avere di fatto un potere di veto, nessun imprenditore
sarà interessato a comprare le azioni oggi in mano al comune di Roma. E se queste finiranno ai piccoli azionisti – come sembra ipotizzare Alemanno che non disdegna il modello della public company – allora sarà possibile a pochi soggetti rastrellare azioni a prezzi bassi e, in modo più o meno trasparente, esercitare la propria influenza sulla società. Caltagirone è consapevole di questo: il suo obiettivo non sembra essere farsi carico delle quote in mano al comune, ma rimanere un azionista forte di un’Acea plurale, in cui i francesi vengano emarginati o fatti
fuori. E il confronto finale sarà probabilmente al consiglio di amministrazione di aprile, ma già in quello di oggi il costruttore e Gdf si scambieranno i primi fendenti.
Caltagirone non ha alcun interesse a occuparsi in prima persona di acqua e fognature, ma vuole evitare che nel cuore del potere economico romano ci sia un azionista più forte di lui. Nell’ottica di questo progetto, la vittoria di Renata Polverini, candidata alla presidenza del Lazio, sarà un utile tassello.
Anche per bilanciare eventuali (e non impossibili) slanci di Alemanno che, a corto di risorse, potrebbe anche decidere di vendere davvero il 20 per cento sul mercato in tempi molto brevi. Nonostante Caltagirone.
Stefano Feltri Il Fatto quotidiano mercoledì 17 febbraio 2010
giovedì 18 febbraio 2010
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