Un
sistema di frode interamente controllato,
gestito
e finalizzato a vendere a clienti esteri i
beni
prodotti dalle acciaierie di Taranto ottenendo
il
pagamento in contanti e nel contempo beneficiando
delle
agevolazioni in assenza del presupposto
della
dilazione”. Era questa la volontà di
Emilio
Riva, il proprietario dell’Ilva morto lo scorso
aprile
e del figlio Fabio secondo le motivazioni
della
sentenza con cui il Tribunale di Milano lo
scorso
21 luglio ha condannato a sei anno e mezzo
di
carcere, per una presunta truffa da 100 milioni ai
danni
dello Stato, il vice presidente dell’Ilva Fabio
Riva
insieme altri dirigenti della holding dell’acciaio.
I
giudici che tre mesi fa hanno anche disposto
la
confisca di beni mobili e immobili a tutti
gli
imputati, hanno sottolineato che il sistema architettato
dai
Riva padre e figlio “doveva consentire
non
solo la percezione del contributo ma anche
la
possibilità di trattenere all’estero quanto più denaro
possibile”. il fatto quotidiano 22 ottobre 2014
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