Nell’ultima
conferenza di servizi il Comune aveva chiesto «revisioni»
Il
caso della «Immobiliare Latina» e del sito di Borgo Piave
DETTAGLI
AREA
PASSATA
DI
MANO PIÙ VOLTE
GIÀ
CHIESTO IL CAMBIO
DI
DESTINAZIONE
PER
UN CENTRO
COMMERCIALE
Se
c’è un punto di non ritorno
d
el l ’inquinamento residuale
dei
fallimenti industriali,
l’emblema
di quel certo modo di
gestire
il post mortem delle fabbriche
chiuse,
questo è sicuramente il
caso
ex Pozzi Ginori. Settantamila
tonnellate
di terre da bonificare con
relativo
smaltimento dei residui di
lavorazione
aspettano dal 2003 che
il
loro destino si compia e sono
passate,
nelle more, decine di conferenze
di
servizi. L’unico elemento
certo
è la propensione al risparmio
sulla
bonifica da parte della società
che
ha acquistato il sito «Sviluppo
Immobiliare
Latina» che ha un progetto
di
riqualificazione e per un
nuovo
insediamento soprattutto
commerciale
ma non ha ancora
sciolto
il nodo del recupero ambientale.
Lo
scoglio più difficile, diciamo
pure
insormontabile perché il
Comune
di Latina chiede maggiori
garanzie
e quindi una bonifica più
complessa
e costosa, consapevole
del
fatto che questa fabbrica abbandonata
ha
già fatto danni. Per quanto
nessuno
abbia pagato né sul
piano
penale né su quello finanziario.
Una
specie di inquinamento
«condonato»
dal tempo, dall’incu -
ria
e dalla speranza che una volta
coperto
tutto il terreno le parti contaminate
possano
anche essere dimenticate.
L’ultima
volta che il
Comune
ha chiesto di ritoccare il
piano
della bonifica è stato ad aprile
2014.
Tutta l’area era stata sequestrata
e
il primo progetto di recupero-
bonifica
è arrivato dopo sei anni
perché
propedeutico alla presentazione
del
progetto di rinnovo del
sito
produttivo. Prima di essere acquistato
dal
proprietario attuale, ossia
la
società Immobiliare, quel
terreno
è passato di mano più volte
ma
lo scoglio, pressoché insuperabile,
è
sempre lo stesso: un intervento
teso
ad arginare l’inquinamento
del
terreno e forse anche delle falde,
accertato
già dal 2004. Il primo
sequestro
dell’ex Pozzi risale al
2003
e in quello stesso anno Arpa
Lazio
ha certificato la contaminazione
dei
residui delle lavorazioni.
In
quel momento la fabbrica era già
chiusa,
in dismissione e senza alcuna
possibilità
che potesse riprendere
il
vecchio ciclo produttivo. Un
rudere
da bonificare che ha peggiorato
ulteriormente
il suo stato adesso,
a
undici anni di distanza. Eppure
già
allora era certa, sulla base delle
analisi,
la presenza di fibre di
amianto
nel terreno con inquinamento
della
falda fino a 5 metri di
profondità.
Le sostanze tossiche
erano
già accertate quando la «Sviluppo
Immobiliare»
ha acquistato il
terreno
e annunciato la bonifica ma
in
compenso ha chiesto un cambio
di
destinazione urbanistica al fine di
realizzare
una «grande struttura di
vendita
per 158.250 metri cubi più
una
zona direzionale e per il settore
terziario
per 17.850 metri cubi». In
altri
termini un centro commerciale.
I
cui lavori restano legati alla necessità
di
un intervento credibile per
arginare
gli effetti sulla falda, che
però
è troppo esoso e infatti la
società
continua a presentare progetti
di
recupero al ribasso.
IL
QUOTIDIANO - Lunedì 27 Ottobre 2014
Latina
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