Recessione e concorrenza delle fonti rinnovabili hanno affossato i consumi. Con riflessi su investimenti e occupazione: secondo la Filctem nell'intero settore sono a rischio 5mila posti. E anche il gruppo partecipato al 31% dal Tesoro ritiene "inevitabili" le dismissioni. L'amministratore delegato Starace assicura che "non c'è nessuna criticità occupazionale" perché i 700 dipendenti "verranno riallocati” o andranno in pensione, ma i rappresentanti dei lavoratori sono preoccupati
di Elena Veronelli | 23 ottobre 2014
Anche il settore termoelettrico, cioè quello delle centrali elettriche tradizionali, è da tempo vittima della crisi economica. La fase di recessione iniziata nel 2008 e la concorrenza sempre più importante delle fonti rinnovabili hanno affossato i consumi elettrici tradizionali. Come per la raffinazione, sono pesanti i riflessi sull’intero comparto, in particolare sugli investimenti e sull’occupazione. Secondo le stime del sindacato Filctem, su 10mila addetti circa metà rischiano il posto. Le società hanno già iniziato a fare dismissioni e altre sono annunciate. Secondo un recente rapporto dell’Autorità per l’energia, nel 2013 erano già fuori dal sistema quasi 2,5 gigawatt (GW) e nel 2014 ne dovrebbero saltare altri 9,3. La scorsa settimana l’amministratore delegato diEnel, Francesco Starace, ha annunciato che la società ha già chiuso impianti per 2,4 GW e altri 11 GW sono “potenzialmente da dismettere”: si tratta di ben 23 centrali alimentate da fonti fossili tradizionali, tra cui quelle di Trino, Porto Marghera, Alessandria, Campomarino, Carpi, Camerata Picena, Bari, Giugliano e Pietrafitta per le quali è già stata avviata la chiusura definitiva.
Una scelta che secondo il gruppo partecipato al 31% dal Tesoro è inevitabile: la domanda elettrica tradizionale non tornerà più ai livelli pre-crisi e le aziende puntano sempre di più sulle rinnovabili e sull’efficienza energetica. Il numero uno del gruppo energetico ha però assicurato che “non c’è nessuna criticità occupazionale per le 700 persone” che ci lavorano, perché “verranno riallocate” o andranno in pensione. Piuttosto, ora il problema è capire se sono possibili soluzioni alternative per questi siti: “Alcuni”, ha spiegato Starace, “possono avere un futuro nelle rinnovabili, biomassa in particolare, oppure essere soggetti a reindustrializzazione, altri vanno riprogettati come spazi urbani”.
Parole che non rassicurano i sindacati, che chiedono un tavolo ad hoc al ministero dello Sviluppo economico e annunciano battaglia. “L’Enel è forte non solo perché distribuisce energia elettrica ma perché la produce. Il piano annunciato è pesante, sensazionalistico e privo di razionalità. E noi lo contrasteremo”, ha detto Emilio Miceli, segretario generale della Filctem. “Dopo un piano di ridimensionamento della rete elettrica si prospetta la progressiva chiusura degli impianti di generazione esistenti sul territorio nazionale con pseudo rassicurazioni sul futuro del personale, che dovrebbe andare in pensione o essere diversamente collocato”, ha aggiunto il segretario generale Uiltec, Paolo Pirani.
Ma il problema è generale, non riguarda solo Enel. Già da tempo le segreterie nazionali di Filctem, Uiltec e Flaei e Tirreno Power hanno iniziato a sottoscrivere accordi per ammortizzatori sociali in tutte le imprese. Pochi giorni fa i sindacati hanno firmato per la mobilità per 126 lavoratori del gruppo. L’obiettivo dell’azienda è quello di non superare complessivamente le 393 unità produttive al 1° gennaio 2015. In questo caso però si aggiunge il problema della centrale di Vado Ligure, sotto sequestro giudiziario da marzo, che l’azienda potrebbe chiudere a breve. Martedì 28 ottobre si terrà invece uno sciopero nazionale di otto ore in tutti gli impianti di E.On contro l’annuncio della vendita degli asset italiani del gruppo tedesco. I lavoratori hanno anche annunciato l’avvio dello sciopero dello straordinario e dello spostamento di orario per 30 giorni. E.On è presente in Italia con 6 gigawatt di potenza installata tra impianti elettrici e di gas, rinnovabili e idroelettrici e dà lavoro a circa 1000 dipendenti. Dunque i sindacati temono “conseguenze pericolose circa l’emorragia di posti di lavoro” e uno “spezzatino di una parte importante dell’infrastruttura energetica del paese”. Se infatti l’azienda non fosse rilevata totalmente da Edison, al momento in trattativa riservata, si aprirebbe la strada della vendita a pezzi. Di fronte a questa situazione, i lavoratori vorrebbero che scendesse in campo il governo stesso. Il quale però, al momento, lascia poche speranze: “La combinazione di efficienza energetica e rinnovabili ci fa pensare che la domanda sul termoelettrico potrà riprendersi, ma in modo limitato”, ha detto Claudio De Vincenti, vice ministro allo Sviluppo economico con delega all’energia. http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/23/centrali-elettriche-in-crisi-enel-ne-chiudera-23-sindacati-piano-irrazionale/1164798/
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