CHILOMETRI
E CHILOMETRI
DI
AUTOSTRADA
CHE
INTACCHERANNO PARCHI,
MACCHIA
VERDE, CITTÀ ETRUSCHE.
QUANDO
SAREBBE BASTATO
RADDOPPIARE
L’AU R E L I A .
MA
DIETRO CI SONO (I SOLITI)
COLOSSI
DELLE INFRASTRUTTURE
di
Alessandro
Ferrucci
inviato
a Orbetello
Le
lenzuola bianche tracciano il percorso, sono come
le
briciole di Pollicino, basterebbe seguire “l oro”
per
capire dove, quando e in che modo la
Maremma
è prossima a cambiare – per sempre –
la
sua fisionomia. Sopra le lenzuola le scritte figlie dell’abbandono,
della
rabbia dei cittadini, della solitudine
dei
cittadini, delle non risposte della politica, l’ottusità
della
politica: “No al corridoio Tirrenico”; “No alla Sat”;
“Pd
vergogna”. E via così, chilometro dopo chilometro,
tra
una ruspa, una scavatrice e una betoniera, una deviazione
e
un rientro di carreggiata, polvere ovunque, per
buona
parte dei 242 chilometri necessari a unire Civitavecchia
a
Livorno. “È una battaglia in solitaria – r a cconta
Emma,
una delle proprietarie prossime all’e s p r oprio
– e
la portiamo avanti da decenni. Adesso, però,
sembra
realmente tutto finito. Siamo stati sconfitti”. Pessimismo,
con
qualche ragione. “Non possiamo parlare,
almeno
credo – spiega uno degli operai durante il turno
della
mattina – comunque negli ultimi mesi abbiamo
stretto
i tempi di lavoro”. Traduzione: è il momento di
segnare
il tracciato, di rendere irreversibile un processo
partito
alla fine degli anni Sessanta, a partire dal 1968,
quando
l’Italia viveva l’ultima eco del boom dei Cinquanta
e
scopriva cosa voleva dire contestare. Scopriva le
bombe,
gli attentati, i morti, gli insabbiamenti. Ma puntava
ancora
alla velocità su gomma.
Un’idea
nata negli
anni Sessanta
Quarantasei
anni di genesi, di grandi progetti, in parte
mutati,
cambiati per necessità, per oliare il sistema, non
per
rispondere alle aspettative dei cittadini. Di miliardi
da
distribuire sempre ai soliti “e come spesso
accade
non è l’interesse generale a dominare
le
scelte infrastrutturali, ma la sete
di
guadagno di singoli gruppi industriali
o
finanziari, come nel caso
della
Livorno-Civitavecchia”
spiega
Roberto Cuda, autore del
libro
Strade
senza uscita.
Ma per
raggiungere
certi traguardi è
fondamentale
la politica. Accade
così
che Capalbio, paesino al
centro
del progetto e storica
roccaforte
della sinistra radical-
chic,
nelle prossime amministrative
vivrà
un aspro momento
di
scontro tra due liste.
Peccato
che sono tutte e due del Pd.
Peccato
che sono tutte e due a favore
del
corridoio tirrenico. “Da
queste
parti non si scappa –
interviene
Maria, cittadina di
Capalbio
– decidono loro, vogliono
loro,
ci imbavagliano.
Ma
c’è anche di peggio, vada a
vedere
chi c’è tra i protagonisti...”. La signora Maria si
riferisce
ad Antonio Bargone, uomo di Stato “p r estato”
ai
privati e con cognizione di causa. Ex deputato
comunista,
quindi Pds, quindi progressista,
trova
la sua perfetta collocazione parlamentare
grazie
a Romano Prodi che nel suo primo
governo,
epoca Ulivo, lo nomina sottosegretario
per
i Lavori pubblici, incarico poi confermato
da
Massimo D’Alema. Caduto l’esecutivo
presieduto
dal lìder Maximo, Bargone
diventa
l’uomo giusto per l’incarico di
amministratore
delegato di Sat, Società autostrade
Tirrenica
Spa. Non solo, sempre a lui,
il
15 settembre del 2009, viene assegnata la carica
di
commissario della Livorno-Civitavecchia:
controllato
e controllore nella stessa persona, alla
faccia
del conflitto d’interessi. “Pagheremo tre volte”,
urla
un anziano che vive vicino a Tarquinia.
Perché?
“Primo: ci devastano il paesaggio,
secondo
ci prendono le terre
e
crolla il valore degli immobili.
Terzo,
una strada gratuita
diventerà
a pagamento,
anche
per i residenti. E
senza
alcun motivo.
Ma
lo ha visto il vecchio progetto?”.
Vecchio,
nuovo, ancora
vecchio
diventato improvvisamente
nuovo.
Dipende dalle
stagioni,
dalle necessità, dalla
pecunia
a disposizione, dal
tempo
che passa. Sta di fatto che
in
questi quarantasei anni il
tracciato
ha subito varie evoluzioni.
La
prima ipotesi, sponsorizzata
per
decenni, era quella di costruire
un’autostrada
parallela all’A urelia:
tutti
pronti ad asfaltare
13
Siti di interesse comunitario
e
zone di protezione speciale,
boschi
e colline, i monti dell’Uccellina
e
la laguna di Orbetello,
parchi
e riserve naturali,
alterare
gioielli etruschi
come
Tarquinia e Vulci.
Ovvi
i dubbi generali.
Con
la stessa Anas
coinvolta
nel presentare
un
progetto
alternativo
e di
minore
impatto
paesaggistico
ed
economico:
potenziare
l’A
u r elia
e
basta, con il
costo
di un solo
miliardo.
Niente
da
fare, e nonostante
l’idea
piacesse persino
agli
ambientalisti.
Poi
nel 2010 improvvisamente
cambia
tutto: il
Cipe
boccia il
rimborso
da 3,8
miliardi
concesso
ad
Anas e Sat
per
la realizzazione
del
primo progetto, follia far pagare allo Stato l’i ntero
importo.
Cosa accade, quindi? Che torna attuale la
sovrapposizione
dell’Aurelia, ma non come strada a
quattro
corsie (come diceva l’Anas), ma proprio un’a utostrada,
e
un budget da due miliardi. Tutti finanziamenti
a
favore dei soliti di sempre, perché Sat è in mano
a
tre grandi società: Holcoa (vari soggetti legati al mondo
cooperativo),
Vianco (Vianini Lavori Spa-Caltagirone) e
Autostrade,
quindi Benetton; ognuno dei tre possiede il
25
per cento, seguiti da Monte dei Paschi (15%) e Società
autostrade
Ligure Toscana (Gavio). “Occhio alla ruspa”,
urla
un operaio nei pressi di Tarquinia, “non intralci il
lavoro”.
Ci mancherebbe. Poco lontano Gassman e Trintignant
sfrecciavano
con la loro Aurelia verso Castiglioncello.
Era
l’Italia del 1963, l’Italia del Sorpasso
,
quando
l’asfalto
era simbolo di progresso e le lenzuola servivano
solo
per vestire il letto di casa.
Twitter:
@A_Ferrucci il fatto quotidiano 14 aprile 2014
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