lunedì 14 aprile 2014

Addio Maremma, ora vince il catrame RUSPE AL LAVORO PER COSTRUIRE LA CIVITAVECCHIA-LIVORNO:


CHILOMETRI E CHILOMETRI
DI AUTOSTRADA
CHE INTACCHERANNO PARCHI,
MACCHIA VERDE, CITTÀ ETRUSCHE.
QUANDO SAREBBE BASTATO
RADDOPPIARE L’AU R E L I A .
MA DIETRO CI SONO (I SOLITI)
COLOSSI DELLE INFRASTRUTTURE
di Alessandro Ferrucci
inviato a Orbetello
Le lenzuola bianche tracciano il percorso, sono come
le briciole di Pollicino, basterebbe seguire “l oro”
per capire dove, quando e in che modo la
Maremma è prossima a cambiare – per sempre –
la sua fisionomia. Sopra le lenzuola le scritte figlie dell’abbandono,
della rabbia dei cittadini, della solitudine
dei cittadini, delle non risposte della politica, l’ottusità
della politica: “No al corridoio Tirrenico”; “No alla Sat”;
Pd vergogna”. E via così, chilometro dopo chilometro,
tra una ruspa, una scavatrice e una betoniera, una deviazione
e un rientro di carreggiata, polvere ovunque, per
buona parte dei 242 chilometri necessari a unire Civitavecchia
a Livorno. “È una battaglia in solitaria – r a cconta
Emma, una delle proprietarie prossime all’e s p r oprio
e la portiamo avanti da decenni. Adesso, però,
sembra realmente tutto finito. Siamo stati sconfitti”. Pessimismo,
con qualche ragione. “Non possiamo parlare,
almeno credo – spiega uno degli operai durante il turno
della mattina – comunque negli ultimi mesi abbiamo
stretto i tempi di lavoro”. Traduzione: è il momento di
segnare il tracciato, di rendere irreversibile un processo
partito alla fine degli anni Sessanta, a partire dal 1968,
quando l’Italia viveva l’ultima eco del boom dei Cinquanta
e scopriva cosa voleva dire contestare. Scopriva le
bombe, gli attentati, i morti, gli insabbiamenti. Ma puntava
ancora alla velocità su gomma.
Un’idea nata negli anni Sessanta
Quarantasei anni di genesi, di grandi progetti, in parte
mutati, cambiati per necessità, per oliare il sistema, non
per rispondere alle aspettative dei cittadini. Di miliardi
da distribuire sempre ai soliti “e come spesso
accade non è l’interesse generale a dominare
le scelte infrastrutturali, ma la sete
di guadagno di singoli gruppi industriali
o finanziari, come nel caso
della Livorno-Civitavecchia”
spiega Roberto Cuda, autore del
libro Strade senza uscita. Ma per
raggiungere certi traguardi è
fondamentale la politica. Accade
così che Capalbio, paesino al
centro del progetto e storica
roccaforte della sinistra radical-
chic, nelle prossime amministrative
vivrà un aspro momento
di scontro tra due liste.
Peccato che sono tutte e due del Pd.
Peccato che sono tutte e due a favore
del corridoio tirrenico. “Da
queste parti non si scappa –
interviene Maria, cittadina di
Capalbio – decidono loro, vogliono
loro, ci imbavagliano.
Ma c’è anche di peggio, vada a
vedere chi c’è tra i protagonisti...”. La signora Maria si
riferisce ad Antonio Bargone, uomo di Stato “p r estato”
ai privati e con cognizione di causa. Ex deputato
comunista, quindi Pds, quindi progressista,
trova la sua perfetta collocazione parlamentare
grazie a Romano Prodi che nel suo primo
governo, epoca Ulivo, lo nomina sottosegretario
per i Lavori pubblici, incarico poi confermato
da Massimo D’Alema. Caduto l’esecutivo
presieduto dal lìder Maximo, Bargone
diventa l’uomo giusto per l’incarico di
amministratore delegato di Sat, Società autostrade
Tirrenica Spa. Non solo, sempre a lui,
il 15 settembre del 2009, viene assegnata la carica
di commissario della Livorno-Civitavecchia:
controllato e controllore nella stessa persona, alla
faccia del conflitto d’interessi. “Pagheremo tre volte”,
urla un anziano che vive vicino a Tarquinia.
Perché? “Primo: ci devastano il paesaggio,
secondo ci prendono le terre
e crolla il valore degli immobili.
Terzo, una strada gratuita
diventerà a pagamento,
anche per i residenti. E
senza alcun motivo.
Ma lo ha visto il vecchio progetto?”.
Vecchio, nuovo, ancora
vecchio diventato improvvisamente
nuovo. Dipende dalle
stagioni, dalle necessità, dalla
pecunia a disposizione, dal
tempo che passa. Sta di fatto che
in questi quarantasei anni il
tracciato ha subito varie evoluzioni.
La prima ipotesi, sponsorizzata
per decenni, era quella di costruire
un’autostrada parallela all’A urelia:
tutti pronti ad asfaltare
13 Siti di interesse comunitario
e zone di protezione speciale,
boschi e colline, i monti dell’Uccellina
e la laguna di Orbetello,
parchi e riserve naturali,
alterare gioielli etruschi
come Tarquinia e Vulci.
Ovvi i dubbi generali.
Con la stessa Anas
coinvolta nel presentare
un progetto
alternativo e di
minore impatto
paesaggistico ed
economico: potenziare
l’A u r elia
e basta, con il
costo di un solo
miliardo. Niente
da fare, e nonostante
l’idea piacesse persino
agli ambientalisti.
Poi nel 2010 improvvisamente
cambia tutto: il
Cipe boccia il
rimborso da 3,8
miliardi concesso
ad Anas e Sat
per la realizzazione
del primo progetto, follia far pagare allo Stato l’i ntero
importo. Cosa accade, quindi? Che torna attuale la
sovrapposizione dell’Aurelia, ma non come strada a
quattro corsie (come diceva l’Anas), ma proprio un’a utostrada,
e un budget da due miliardi. Tutti finanziamenti
a favore dei soliti di sempre, perché Sat è in mano
a tre grandi società: Holcoa (vari soggetti legati al mondo
cooperativo), Vianco (Vianini Lavori Spa-Caltagirone) e
Autostrade, quindi Benetton; ognuno dei tre possiede il
25 per cento, seguiti da Monte dei Paschi (15%) e Società
autostrade Ligure Toscana (Gavio). “Occhio alla ruspa”,
urla un operaio nei pressi di Tarquinia, “non intralci il
lavoro”. Ci mancherebbe. Poco lontano Gassman e Trintignant
sfrecciavano con la loro Aurelia verso Castiglioncello.
Era l’Italia del 1963, l’Italia del Sorpasso , quando
l’asfalto era simbolo di progresso e le lenzuola servivano
solo per vestire il letto di casa.

Twitter: @A_Ferrucci il fatto quotidiano 14 aprile 2014

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