L’investigatore che era rimasto contaminato durante le indagini sui traffici di rifiuti si è spento questa notte, dopo aver lottato per mesi contro il tumore che lo aveva colpito. Un male dovuto alle scorie sversate nelle terre tra la Campania e il Lazio. Aveva chiesto un riconoscimento economico anche alla Camera dei deputati, dove aveva lavorato come consulente della commissione Scalia per quattro anni, ma gli era stato negato
di Andrea Palladino | 30 aprile 2014 La giustizia che il sostituto commissario di polizia Roberto Mancini aspettava non arriverà mai più. L’investigatore che era rimasto contaminato durante le indagini sui traffici di rifiuti si è spento questa notte, dopo aver lottato per mesi contro il tumore che lo aveva colpito. Un male dovuto alle scorie sversate nelle terre tra la Campania e il Lazio, che Mancini inseguiva nelle sue indagini. Fin dagli anni ’90 ne aveva ricostruito nei dettagli il percorso: dai colossi industriali del nord, fino alle cave dei casalesi. In mezzo una nebulosa di broker, intermediari, pezzi dello stato compiacenti, indagini abortite o mai partite. E carte ancora oggi segrete. La sua informativa firmata il 12 dicembre del 1996 venne per anni lasciata nei cassetti della Criminalpol. Solo nel 2010 la Dda di Napoli aveva ripreso le sue indagini, che sono diventate una delle colonne portanti del processo per disastro ambientale contro il clan dei casalesi e l’avvocato Cipriano Chianese, la mente dei traffici illeciti nord-sud.
La sua inchiesta era iniziata nel 1994, partendo dalla costituzione di una banca a Cassino, dove dovevano confluire i capitali dei clan. Incontra per la prima volta il nome di Cipriano Chianese, l’avvocato di Parete esperto nella creazione nell’intermediazione dei rifiuti. Lo intercetta per mesi, annota con cura i contatti con i clienti, in gran parte gruppi imprenditoriali ancora oggi attivi. Intuisce il peso dei circoli massonici in quei traffici, salotti borghesi dove la grande industria incontrava i clan, dove gli accordi per lo sversamento dei veleni venivano siglati. Ascolta a verbale Carmine Schiavone, che elenca nomi, luoghi, date. Per cercare i riscontri porta in elicottero l’alloracollaboratore di giustizia nella zona di Casal di Principe, segnando con cura le coordinate delle cave utilizzate per interrare i fusti tossici. Un lavoro gigantesco, riassunto nelle 250 pagine di informativa – che firma insieme all’allora capo della Criminalpol romana Nicola Cavaliere – rimaste per troppo tempo negli archivi, senza uno sviluppo giudiziario. Nel 1997 Mancini entra nel pool di consulenti della commissione bicamerale d’indagine sul ciclo dei rifiuti, presieduta da Massimo Scalia. Per mesi visita le discariche abusive italiane, scende nelle miniere tedesche dove erano stoccati migliaia di bidoni tossici, visita i luoghi indicati da Schiavone come i terminali dei veleni delle industrie italiane ed europee. Quella commissione per la prima volta ricostruirà la mappa delle holding dei rifiuti, mettendo nero su bianco gli intrecci societari e gli accordi di cartello. Un lavoro fondamentale, tanto da essere inserito nell’ordinanza di custodia cautelare che lo scorso gennaio colpì il gruppo Cerroni.
Poi è arrivata la malattia, il linfoma Hodgkin. Una commissione medica stabilisce l’origine con certezza: un tumore causato dalla contaminazione con sostanze pericolose e radioattive. L’amministrazione paga un conto ridicolo, cinquemila euro. Nei mesi scorsi Mancini aveva chiesto unriconoscimento economico anche alla Camera dei deputati, dove aveva lavorato come consulente della commissione Scalia per quattro anni. Nulla da fare, la risposta dell’avvocatura fu negativa, come ha raccontato ilfattoquotidiano.it lo scorso novembre. Roberto Mancini aveva 53 anni. Lascia una moglie e una figlia. I funerali si terranno sabato 3 maggio, alle ore 11.30, nella basilica di San Lorenzo a Roma, a pochi passi dal commissariato dove lavorava. http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/30/rifiuti-tossici-morto-roberto-mancini-il-poliziotto-che-si-ammalo-per-indagare/968575/
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