15 Apr 2014
Il Sole 24 Ore
Federico Rendina
LATINA. Dal nostro inviato © RIPRODUZIONE RISERVATA
L’ad Riccardo Casale Allarme di Sogin: il deposito unico non è prorogabile
CORSA A OSTACOLI Inaugurato ieri a Latina un altro sito provvisorio costato dieci milioni Per la struttura nazionale si aspettano i "criteri" Ispra
Dieci milioni di euro per l’ennesimo deposito che custodirà provvisoriamente una parte delle nostre scorie nucleari, in attesa del deposito unico (e soprattutto definitivo) che si promette da quasi un ventennio ma che nessuno, ad oggi, vuole ospitare. Si è celebrata la buona volontà degli scienziati e lo spreco di tutti noi nella ex centrale nucleare di Borgo Sabotino, la prima a nascere in Italia all’inizio degli anni ’60 per iniziativa dell’allora patron dell’Eni, Enrico Mattei.
Riccardo Casale, ora proiettato sulla poltrona di ad della Sogin, la società pubblica che ha l’impervio compito di smantellare le nostre ex centrali atomiche gestendo i detriti insieme a quelli che continuano a produrre l’industria e la medicina, approfitta della visita delle Commissioni parlamentari per lanciare il suo altolà: l’ulteriore ritardo del deposito unico non solo ci fa sprecare energie e denari ma impone «una pericolosa eredità per le generazioni future». Anche perché i 23 siti provvisori piazzati in 11 regioni, a cui si aggiungono oltre 300 mini-depositi dove le scorie continuano ad essere prodotte ma non si sa dove mandarle, hanno bisogno di una grande manutenzione straordinaria.
Rischi per la sicurezza e rischi di sprecare nuovi denari, in mancanza di una soluzione strutturale. A meno di non limitare le opere "provvisorie" derogando al principio della massima sicurezza. Tentazione che i manovratori della Sogin hanno sicuramente evitato, allestendo il blocco di cemento armato lungo 75 metri e largo 30 inaugurato sulla costa laziale. Una bella opera d’ingegno, hanno commentato anche i parlamentari. Peccato che se ne poteva fare a meno.
Il messaggio è per le istituzioni, che a loro volta devono sollecitare l’Ispra, a cui spetta il compito di emanare i "criteri" (siamo ancora a quel punto) per disegnare l’architettura e i possibili luoghi del deposito nazionale. Che paga l’approssimazione dei tentativi passati e deve comunque rispettare rigide linee guida (si veda Il Sole del 23 marzo).
Gli scienziati della Sogin qualche idea ce l’hanno. La soluzione che li convince è quella adottata dagli spagnoli per il deposito di El Cabril: una sorta di arca modulare supertecnologica e persino bella. Casale e i suoi pensano comunque ad una versione "a scomparsa". Sarà integrata (si continua a promettere) con un parco tecnologico che ospiterà un polo di ricerca avanzata sulle tecnologie di gestione dei rifiuti ma anche, chissà, sul nucleare di nuova generazione che saprà riusare all’infinito il combustibile da rigenerare. I laboratori saranno ben visibili. L’arca di cemento man mano che sarà riempita «sarà sormontata di terra e alberi per essere restituita al territorio». «Ne discuteremo nei dettagli con le popolazioni potenzialmente interessate, che avranno una serie di vantaggi a cui forse non vorranno rinunciare» azzarda Casale.
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