venerdì 11 aprile 2014

Fusti tossici, navi affondate e la morte di Don Boschin: le altre verità di Schiavone

L'ex boss fa nuove rivelazioni. E rilancia sulla zona grigia

Navi affondate nel mare pontino e investimenti a Montello, omicidi irrisolti e rapporti inconfessabili. Il pentito non molla. E altre indagini sono in corso. Segrete. Dagli affari attorno alla discarica di Borgo Montello alle navi dei veleni, dai rapporti con la politica agli omicidi irrisolti. Numerose e rilevanti le ulteriori dichiarazioni fatte da Carmine Schiavone, ex boss del clan dei Casalesi, che ha preso parte alla trasmissione Monitor su Lazio Tv e risposto alle domande dei cittadini e dei giornalisti.
LE NAVI. L’ex cassiere della camorra casertana sostiene che il clan ha affondato 183 navi cariche di fusti tossici. Una di queste, carica di torio 234, sarebbe stata fatta sparire al largo tra Formia e Salerno, e una seconda, con 100 tonnellate di mercurio, tra Pomezia e Tarquinia. “Oggi – ha sostenuto l’ex boss pentito – ho paura di fare il bagno nei nostri mari. Questi ci hanno condannati a morire. Io queste cose le avevo dette già nel 1993, ma le bonifiche non sono state fatte”.
LA DISCARICA DI BORGO MONTELLO. Di recente Schiavone è stato nuovamente ascoltato dagli investigatori sulla discarica di Borgo Montello. “Non posso parlare”, si è limitato a dire l’ex boss. Il pentito sarebbe però stato interrogato nell’ambito delle ulteriori indagini in corso sulle discariche nel Lazio, quelle sul cosiddetto “sistema Cerroni” e avrebbe fatto insieme ai carabinieri del Noe di Roma un ulteriore sopralluogo nel sito di Latina. “Parlava Chianese con quello che poi ha acquistato Malagrotta”, si è lasciato sfuggire Schiavone. Nessun rapporto diretto dunque con Manlio Cerroni? “Lui li aveva con la Magliana, con Pippo Calò ed Ernesto Diotallevi”, ha precisato. Schiavone ha anche affermato che a Borgo Montello i Casalesi avevano acquistato i terreni, affidandoli a Michele Coppola, per realizzare un’azienda agricola e produrre vini da esportare in Brasile, il Paese dal quale importavano cocaina. “Solo dopo – ha evidenziato l’ex boss – ho saputo che prima i Bardellino e poi mio cugino Sandokan e Bidognetti avevano sotterrato lì fusti tossici e non dove di recente sono stati fatti scavi. Mi sono pentito per fermare quei traffici e la mia famiglia, proprio perché non volevo l’immondizia, mi ha fatto arrestare”. Il pentito ha dichiarato che gli affari in terra pontina li gestiva lui e che per tale ragione si era recato a Montello ben 22 volte. “Avevamo in cassa – ha concluso Schiavone – 26-27 miliardi liquidi. A Latina dovevamo solo investire e costringere i contadini a vendere a quattro soldi. Se non lo facevano li avremmo costretti”.
OMICIDIO DI DON CESARE. L’ex boss ha dichiarato di non sapere nulla dell’omicidio di don Cesare Boschin, di ritenerlo un delitto mafioso, viste le modalità con cui è stato compiuto, ma di escludere che fosse legato agli affari della discarica, visto che se “c’era un prete che creava problemi” lui l’avrebbe saputo.
LA ZONA GRIGIA. Schiavone ha affermato che i rapporti con la politica, le forze dell’ordine e non solo sul territorio li tenevano i capizona e che un ruolo importante l’aveva Gennaro De Angelis, di Cassino. “Latina – ha sostenuto – era e credo sia ancora provincia di Casale”. Novità in tal senso dovrebbero emergere a breve, c’è anche un mafioso locale pentito, ma l’ex boss non parla: “Ci sono indagini in corso ad altissimo livello”.
LA FIGLIA. Di recente è stata arrestata e condannata per mafia, proprio per gli affari portati avanti tra Latina e Nettuno, la figlia del pentito, Maria Rosaria Schiavone, soprannominata “La Sfinge”. “Mi aveva spinto lei a parlare dopo il pentimento, veniva con me ai colloqui, ma alla fine hanno coinvolto negli affari pure lei e il marito”, si è sfogato l’ex boss.
IL CASO PONTINO. Schiavone sostiene che a Latina “c’è molta acqua a bollire”. L’ex boss ha dichiarato che ci sono dei suoi verbali recenti secretati e che proprio in provincia di Latina venivano smerciati quattro quintali di cocaina a settimana.
OMICIDIO ROTONDO. Dietro al delitto irrisolto del vigile urbano Salvatore Rotondo, a Minturno, ci sono sempre i Casalesi? “So che c’era in quella zona un vigile che dava fastidio ai La Torre, non so se sia lui. Ne parlammo in un summit in cui c’era anche De Falco”, ha affermato Schiavone.
Tanti gli spunti forniti dall’ex boss ma altrettante e anche di più le domande a cui gli inquirenti, a distanza di qualche decennio, ancora non riescono a fornire una risposta. http://www.corrieredilatina.it/news/cronaca/5227/Fusti-tossici-a-Latina--Le.html

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