sabato 5 aprile 2014

BUSSI “UNA TONNELLATA AL GIORNO DI RIFIUTI TOSSICI NEL FIUME”

DISCARICA E VELENI: I PM DI PESCARA ACCUSANO MONTEDISON
UN DOCUMENTO INEDITO DIMOSTRA CHE LO SVERSAMENTO
È CONTINUATO DAL 2000 IN POI. SI CERCÒ DI OCCULTARE LE PROVE
di Melissa Di Sano
e Antonio Massari
Non solo negli anni
Sessanta. Ma anche
dal 2000 in
poi: “Otto tonnellate
di clorometani vanno in
fiume ogni anno”. È questo il
prossimo colpo di scena: un
documento dimostra
che ancora negli anni
2000 la Montedison sapeva
e continuava a inquinare.
Quando la Guardia forestale,
nel 2007, sequestrò
l’archivio storico
Ausimont Montedison,
scoprì la massiccia contabilità
dell’inferno scatenato
nelle falde acquifere.
Che 8 tonnellate di
clorometano – sostanza
incolore, inodore, tossica
e cancerogena – finisse
nel fiume ogni anno,
non soltanto era noto,
ma persino messo in
conto, nero su bianco,
con grafia scritta a mano,
nella corrispondenza interna
che il Fatto Quotidiano è in
grado di pubblicare. Atti confluiti
nel processo e nell’udienza
di ieri, dinanzi alla Corte
d’assise di Chieti, dove i pm
Giuseppe Bellelli e Annarita
Mantini, in una requisitoria
durata ben sette ore, hanno
spiegato che il polo industriale
di Bussi – fino a tutti gli anni
Sessanta – ha sversato nel fiume
Tirino una tonnellata al
giorno di veleni. Il processo ai
vertici Montedison dell’impianto
abruzzese conta 19 imputati
e 27 parti civili. Ed è
sempre più chiaro, stando all’accusa,
che la Montedison
conoscesse i rischi. E se fino al
1992, secondo l’accusa, è ravvisabile
la colpa, dal '93 in poi
c'è il dolo: lo spartiacque – secondo
i pm – è l'audit di un
consulente esterno che, nel '92,
arriva in Montedison e intervista
operai e capireparto. Poi
scrive una relazione: avverte la
Montedison dell’esistenza di
pozzi inquinati. Ne segue una
riunione in azienda, salvo poi
affermare, nel ‘94, che “la situazione
ambientale è migliorata”.
Secondo i pm, da questo
momento in poi, Montedison
inizia a negare e a occultare
consapevolmente. “Nel ‘92 –
dice il pm Bellelli nella requisitoria
sanno che vi è un cancro:
è la discarica, che disperde
nelle falde acquifere le metastasi,
come attraverso le vene”.
L’accusa mostra in aula un documento
del 1992, una sorta di
confessione”, nel quale
si citano i problemi –
legati al clorurato –
nell’acquedotto Giardino.
Che le analisi dovessero
risultare addomesticate,
poi, è chiaro
leggendo la corrispondenza
interna che Il Fatto
ha potuto visionare.
I dati di tale Piazzardi,
per esempio, dovevano
essere letteralmente
tolti”. In merito ai clorometani,
nel documento,
leggiamo: “Si
toglie l’analisi di Piazzardi
e si mettono i nostri
valori ‘corretti’…”.
Analisi sulle acque:
Pb, correggere valore…
Piazzardi”. E soprattutto,
sul “piano di caratterizzazione”
per Bussi, ecco la strategia:
L’inquinamento non esce,
non c’è emergenza, ma bonifica
da risolvere con le autorità…”.
È questo il tenore degli
atti in possesso dell’accusa. Il
dipendente Montedison Gabriele
Toto, nel 2011, pochi
mesi prima di morire, descrive
ai pm un reparto del polo in
industriale:
operai sostituiti
spesso, perché ammalati di
cancro alla vescica, proprio lì,
dove erano a contatto con la
benzidina per produrre un colorante.
Pochi giorni fa Marco
Lombardo, presidente della
Lega italiana tumori di Pescara,
per molti anni primario del
reparto di Oncologia, ha dichiarato:
Nella zona di Bussi
abbiamo rilevato una maggiore
concentrazione di tumori
urologici rispetto al resto dell'Abruzzo:
in quel territorio,
l’incidenza di neoplasie alla
vescica è sicuramente superiore
al resto della regione”.
TOTO RACCONTA agli inquirenti
scene raccapriccianti. Dice
d’aver visto una lepre, con
due leprotti, brucare l’erba nell’area
della discarica: l’animale
muore sotto i suoi occhi in pochi
minuti. Eppure, già nel
1972, l’assessore pescarese
Giovanni Contratti aveva denunciato
il comportamento tenuto
da Montedison. In una
lettera interna alla Montedison,
un dirigente, dopo un incontro
con l’assessore comunale,
avverte che “l’atmosfera è
cambiata” e che “Contratti andrà
fino in fondo”. Era il 1972 e
l’assessore intimava alla Montedison
di dissotterrare i veleni.
Quattro anni dopo, come
dimostra una lettera mostrata
in aula dai pm, alcuni dirigenti
Montedison segnalano che il
materiale è fortemente acido:
c'è il rischio che i cassoni di cemento
vengano addirittura disgregati.
Ma bisogna aspettare
il 2007 perché il disastro venga
alla luce e gli abruzzesi inizino
a sapere. L’istituto superiore di
Sanità, nei suoi documenti, denuncia
che la popolazione non
è stata adeguatamente informata.
Tra i pochi a denunciare,
c’era Augusto De Sanctis, del
Forum Abruzzese dei Movimenti
per l’Acqua, che oggi
chiede di “monitorare tutta la
valle e avviare le azioni di disinquinamento”.

il fatto quotidiano 5 aprile 2014

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