mercoledì 12 ottobre 2011

Pontinia e la banda della Magliana

I TESORI DELLA MALA. UN ANNO DI INDAGINI PER COLPIRE IL CUORE ECONOMICO DELLA TEMIBILE GANG ROMANA
la banda della magliana perde il bottino
confiscati beni per 100 miliardi: barche, auto, negozi, case, azioni, conti correnti. quei killer di periferia fra mafia e terrorismo. Ferrari e pellicce. il provvedimento ha colpito molte persone: Damiani Maurizio proprietario di una gioielleria e una pellicceria; Casale Rossana proprietaria di posti auto e appartamenti; Gangemi Giampiero proprietario di molti appartamenti; seguono Adamo Salvatore, Del Giorno Francesco, Chioccia Leonilde

------------------------- PUBBLICATO ------------------------------ TITOLO: La Banda della Magliana perde il bottino I TESORI DELLA MALA Un anno di indagini per colpire il cuore economico della temibile gang romana Confiscati beni per 100 miliardi: barche, auto, negozi, case, azioni, conti correnti - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - di ANTONIO MASIA Il tempo dei mitra, delle rapine e degli agguati era ormai finito. Erano rimasti solo le vedove e gli orfani della mattanza, ma soprattutto era rimasta quella montagna di danaro per la quale si erano scannati per anni con ferocia inaudita. Cosi' gli ex rapinatori ormai imbolsiti, superstiti di una guerra durata dieci anni, si erano trasformati in colletti bianchi. Ed avevano cominciato ad investire alla luce del sole: negozi, appartamenti, societa' immobiliari, quote azionarie, appartamenti, azioni. La banda della Magliana era gia' leggenda, una leggenda nera. Ogni tanto arrestavano qualcuno della vecchia guardia, e i cronisti tornavano a frugare negli archivi o nella memoria per cantare di nuovo le turpi gesta del Mucchio selvaggio. E intanto loro in silenzio continuavano ad arricchirsi, ma adesso senza piu' uccidere. Un anno e mezzo fa avevano provato a mettere le mani sul tesoro della banda. La Squadra mobile aveva sequestrato tutti i beni dei colletti bianchi: auto, negozi, conti correnti, barche. Poi la guardia di finanza aveva cominciato a frugare in quell' intrico di societa' , partecipazioni, prestanome. Perche' i sequestri si sa come vanno a finire: che dopo un po' tutto viene restituito ai proprietari, magari con tante scuse. Invece stavolta, dopo mesi di lavoro tutti a tavolino, il sequestro si e' trasformato in confisca: e buona parte di quei beni sono diventati proprieta' dello Stato. Una grossa vittoria, un colpo importante. E ieri a festeggiarlo in Questura c' erano tre degli uomini che per vent' anni avevano combattuto quelli della Magliana. Fernando Masone, che aveva cominciato a farlo da capo della Mobile e adesso si ritrova a fare il Questore di Roma. Nicola Cavaliere, anche lui alla Mobile e oggi capo della Criminalpol Lazio. E Rodolfo Ronconi, giovane poliziotto allora, ora capo della Mobile. Piu' naturalmente gli uomini della Finanza, talpe pazienti che per anni hanno cercato di districare la matassa. Riuscendoci benissimo. "Anni di lavoro in una guerra di cervelli su contrapposti schieramenti di "colletti bianchi", sia dalla parte dello Stato ma anche da quella malavitosa . spiegava il colonnello Di Paolo . nei quali Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, d' intesa con i magistrati, hanno giocato una lunga partita a tavolino per smascherare i patrimoni illeciti. La decisione dei giudici e' la prova inconfutabile della correttezza e della efficacia di queste indagini che, sfruttando le nuove possibilita' date dalla legge con l' inversione dell' onere della prova, hanno portato alla confisca dei beni". Cosi' tutti se ne stavano li' gongolanti, anche per le congratulazioni del ministro degli Interni Mancino, che ha sottolineato "l' alto grado di collaborazione tra la Magistratura e le forze dell' ordine che ha consentito di colpire un' associazione delinquenziale collegata alla criminalita' organizzata di tipo mafioso e camorristico nonche' ad ambienti dell' eversione di destra". L' elenco delle proprieta' confiscate e' lungo tre pagine. Ma i nomi degli intestatari sono soltanto ventisei. Ne manca uno, pero' . Quello di Giuseppe De Tomasi detto il "chiattone" per via della mole, 56 anni. Lui e' l' unico ad aver conosciuto tutti quelli della banda, l' unico sopravvissuto. Ed e' il vero erede, il cervello finanziario di tutta l' organizzazione. Ma ufficialmente il "chiattone" e' un nullatenente. Cosi' nell' elenco figurano solo i figli Carlo Alberto e Arianna, proprietari di Ferrari, Mercedes, macellerie, societa' immobiliari. Tutta roba di cui non potranno mai piu' tornare in possesso: ora sono beni di proprieta' dello Stato, e lo Stato probabilmente li mettera' all' asta. Un centinaio di miliardi che tornano nelle casse dissanguate dell' Erario. Quanto a De Tomasi, inutile che speri di potersi rifare in qualche modo: per cinque anni lui e i suoi due piu' stretti collaboratori (Tiberio Simmi e Alessio Monselles, noto soprattutto per una sanguinosa rapina al Club Mediterrane' e di Corfu' ) non potranno intraprendere nessun tipo di attivita' commerciale o finanziaria. Sottoposti a sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, il "chiattone" e i suoi compari non potranno chiedere mutui alle banche, ne' licenze commerciali. Non potranno partecipare a gare d' appalto e dovranno tornare a casa ogni sera entro le otto. La mattina non potranno uscire prima delle sette. Quattro anni di sorveglianza speciale invece per Roberto Roberti e Corrado Stramaglia, tre per Mario Mangano. Anche loro titolari di ingenti patrimoni variamente investiti. La lotta contro il "ramo finanziario" della banda era cominciata addirittura nel 1985, quando l' allora vicecapo della Mobile Nicola Cavaliere aveva inviato alla commissione parlamentare Antimafia un rapporto sull' attivita' dell' ormai disciolta masnada. Le pistole sono state appese al chiodo, avvertiva Cavaliere, adesso i superstiti sono tutti impegnati nel riciclaggio e negli investimenti dei miliardi guadagnati in tanti anni di rapine, sequestri e traffico di droga. L' undici aprile del ' 92 la Nona sezione del Tribunale aveva ordinato ufficialmente la confisca dei beni della banda. Ma era solo un ordine generico: bisognava prima sapere quali fossero, questi beni. E l' otto di maggio la guardia di finanza aveva presentato il suo rapporto: il tesoro della Magliana era diviso fra 103 conti bancari, 95 immobili, 51 auto, una barca e 52 pacchetti azionari di altrettante societa' . Un mese dopo otto uomini erano finiti in galera, accusati di associazione a delinquere, usura, truffa e falsificazione di carte di credito. Quello era il sequestro, tutto da verificare. E adesso il sequestro si e' trasformato in confisca. Qualcosa e' stato restituito (perche' non era possibile collegare la proprieta' di un certo bene con un' attivita' criminosa), la maggior parte del malloppo e' stata incamerata: 39 appartamenti, 27 auto, 23 conti correnti, 18 quote societarie, 4 esercizi commerciali, tre ditte individuali. Piu' o meno la meta' dei beni che erano stati "congelati" l' anno scorso. Forse questa e' davvero la fine della banda. Che ha ucciso e rubato per dieci anni, e altri dieci ce ne ha messi per morire. ------------------------- PUBBLICATO ------------------------------ TITOLO: Quei killer di periferia fra mafia e terrorismo MAGLIANA: L' AGENZIA DEL CRIMINE - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - di CESARE DE SIMONE E poi arrivo' la droga. Potrebbe cominciare con questo "incipit", quando qualcuno scrivera' la storia della criminalita' organizzata a Roma, dal dopoguerra, il capitolo certo piu' importante, quello che dalla fine degli anni Settanta giunge fino ad oggi. Il titolo e' scontato: "la banda della Magliana". Una sorta di mito per qualche giovane rampante delle nuove "paranze" malavitose nelle nuove zone di confine dell' illegalita' urbana come Tor Bella Monaca, Laurentino 38, Primavalle, San Basilio; ma bestia nera di tanti investigatori e magistrati che hanno contrastato l' offensiva del crimine nella Roma degli anni 80, dove la violenza delle gang correva parallela a quella dei gruppi di fuoco terroristici. Dal 1978 all' 86, in realta' , la "banda della Magliana" ha costituito lo spezzone piu' compatto e pericoloso della malavita organizzata romana, affermandosi come la struttura tipo di una nuova delinquenza urbana che aveva ormai decisamente rotto i ponti con tutti gli schemi e i "codici d' onore" delle vecchie bande di Trastevere, di Testaccio, di Monti. Fu proprio il business droga, coi suoi enormi guadagni, a costituire l' occasione storica di questo passaggio dal vecchio al nuovo. Quando, nel marzo 1986, inizio' nel bunker del Foro Italico il primo maxi processo alla banda (54 imputati, accuse che andavano da 14 omicidi ai traffici internazionali di droga e armi) fu chiaro sin dalle prime battute quale tipo di organizzazione criminale fosse connessa ai boss della Magliana: collegamenti stretti con mafia, ' ndrangheta e camorra; legami operativi con frange del terrorismo nero e coi trafficanti internazionali di armi; rapporti con ambienti insospettabili dell' alta finanza mitteleuropea per imponenti operazioni di riciclaggio. Insomma, quella che dal nome appariva come una sorta di banda di periferia, capace tutt' al piu' di rapine negli uffici postali, estorsioni a bottegai e furti nei magazzini di elettrodomestici, si dimostrava invece una vera e propria holding del crimine, che andava in Thailandia e Colombia ad acquistare droga grezza, in Libano e Siria a comprare armi, che trattava alla pari con insospettabili finanzieri del Nord, che apriva conti in banche svizzere e linee di credito a Panama e in Liberia. E quando incappava in qualche contenzioso mandava a risolverlo un killer dalla pistola col silenziatore. Persino l' allora alto commissario antimafia, Domenico Sica, indico' in un suo rapporto all' inizio del 1988 la "banda della Magliana" come il miglior esempio italiano di "agenzia del crimine a piu' clienti": da Cosa nostra al terrorismo nero, dai servizi segreti deviati di Francesco Pazienza all' "Anonima sequestri" sarda, dall' alta finanza implicata nel crack dell' Ambrosiano ai "narcos" colombiani. E piu' di recente, il Pm Lupacchini ha scritto in un dossier sulla nascita della banda: "A quel tempo a Roma si registro' la tendenza degli elementi di spicco della malavita locale a costituirsi in associazione. Sino ad allora i romani, dediti ai reati contro il patrimonio come furti, rapine, estorsioni, avevano consentito ad elementi stranieri come i Marsigliesi di gestire affari piu' lucrosi, dal traffico di droga ai sequestri di persona. Una volta presa coscienza della forza che deriva dal vincolo associativo fu agevole per i romani riappropriarsi dei commerci criminali, abbandonando definitivamente il ruolo marginale al quale erano stati relegati in precedenza" Un solo esempio: il boss Danilo Abbruciati, che insieme a Franco Giuseppucci detto er negro aveva di fatto costituito il nucleo originario della banda, venne ammazzato nell' aprile ' 82 mentre, in trasferta a Milano insieme a un complice, cercava di gambizzare il vicepresidente del Banco Ambrosiano Roberto Rosone, appena succeduto a Calvi. Gli sparo' un colpo solo ma preciso il vigilante che faceva da guardia del corpo al banchiere.

Masia Antonio, De Simone Cesare

Pagina 47
(2 ottobre 1993) - Corriere della Sera
http://archiviostorico.corriere.it/1993/ottobre/02/banda_della_magliana_perde_bottino_co_10_9310027199.shtml

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