Ma
i razzisti ci sono
ancora:
vedi la Lega
GLI
INSULTI ALLA KYENGE, QUELLI A LERNER, L’ALLEANZA CON MARINE LE PEN:
UN’INTERVISTA
DELL’82 PER RICORDARE QUELLO CHE IN TROPPI RIMUOVONO
Il
27 gennaio 1945 le truppe
dell’Armata
Rossa entrarono
nella
città polacca di
Oswiecim
e scoprirono il
campo
di concentramento più
tristemente
noto con il nome di
Auschwitz.
I soldati sovietici trovarono
una
montagna di cadaveri,
ma
anche qualche superstite, la
cui
testimonianza fece scoprire al
mondo,
per la prima volta, l’or -
rore
del genocidio nazista, strumenti
di
tortura e di annientamento:
i
forni crematori. È importante
non
dimenticare il passato
ma
i fatti ci dimostrano invece
che
dimenticare è molto facile.
Nella
“Bell’Italia” esiste un partito,
la
Lega, che senza giri di parole
mette
alla gogna il ministro della
Repubblica
Kyenge, prima paragonandola
a
un orango tango per
il
colore della pelle, poi pubblicando
su
La
Padania i
suoi impegni
pubblici
perché i “padani” sap -
piano
dove poterla contestare; il
poco
onorevole Bonanno dà dell’ebreo
a
Gad Lerner perché aveva
definito
il suo gesto di presentarsi
in
Parlamento con il volto dipinto
di
nero, un atto nazista; il segretario
Salvini
annuncia che alle
Europee
di maggio la Lega sarà
alleata
con il partito xenofobo di
estrema
destra Front National di
Marine
Le Pen. L’intervista di Enzo
Biagi
che il
Fatto Quotidiano
pubblica
alla vigilia del “Giorno
della
Memoria” – istituito per
non
dimenticare le vittime dell’Olocausto
e
in onore di coloro
che,
rischiando la propria vita,
hanno
protetto i perseguitati – è
allo
scrittore Primo Levi, uno dei
pochi
sopravvissuti ad Auschwitz.
L’intervista
andò in onda
su
RaiUno l’8 giugno 1982 nel
programma
Questo
secolo: 1935 e
dintorni,
viaggio negli anni che contano
.
Quando
Mussolini cambiò idea
e
gli italiani divennero ariani
Levi,
nato a Torino nel ’19, fu partigiano
nel
Partito d’Azione in
Val
d’Aosta. Nel dicembre del
1943,
insieme a due compagni,
venne
preso dai fascisti. Prima deportato
nel
campo di concentramento
di
Fossoli, a Carpi, poi, il
22
febbraio del ’44, insieme ad altri
650
ebrei, fu sbattuto dentro un
treno
merci con destinazione Auschwitz.
Solo
in 22 si salvarono.
“L’esperienza
del campo di concentramento
può
venire superata
e
resa indolore, addirittura resa
utile
come tutte le esperienze della
vita.
Ma non si cancella mai”,
scrisse
Levi. L’esperienza vissuta
ad
Auschwitz la raccontò nel libro
Se
questo è un uomo,
pubblicato per
la
prima volta nel 1947.
Biagi
e Levi si conobbero quando
lo
scrittore piemontese con La
tregua,
in
cui raccontò il viaggio di
ritorno
dal lager nazista, vinse,
nel
1963, la prima edizione del
Premio
Campiello. Biagi lo volle
conoscere
perché aveva letto Se
questo
è un uomo,
ed era stato molto
colpito
per la narrazione
asciutta,
piena di particolari, realista.
Il
libro, ripubblicato da Einaudi
nel
1956, aveva avuto un
grande
successo.
Il
Giorno della Memoria ci riporta
alla
mattina del 1938, quando
in
Italia tutto iniziò. Allora Biagi,
diciottenne,
lavorava già in una
redazione.
I quotidiani, ha ricordato
più
volte il grande giornalista,
per
disposizioni ricevute dal
regime
uscirono con questo titolo:
“Le
leggi per la difesa della Razza”.
Il
fascismo voleva mettersi al
passo
con i camerati di Berlino.
Gli
italiani furono invitati, inizialmente
attraverso
la stampa, a
considerare,
che tranne una piccola
minoranza,
appartenevano
alla
razza ariana. “Era un privilegio,
per
la verità, del quale nessuno
si
era mai preoccupato, Mussolini
compreso”,
disse Biagi nella
presentazione
dell’intervista.
Nel
1934 ricevendo uno dei capi
del
sionismo internazionale, alla
presenza
del rabbino di Roma,
parlando
del Führer, il Duce affermò,
a
proposito degli ebrei: “Il
signor
Hitler è un imbecille e un
cialtrone
fanatico, ascoltarlo parlare
è
una tortura, un giorno non
ci
sarà più traccia di lui, gli ebrei
saranno
sempre un grande popolo,
Hitler
è una cosa da ridere non
lo
temete e dite alla vostra gente di
non
averne paura”. Mussolini che
aveva
amato una ragazza ebrea,
Margherita
Sarfatti, non era, inizialmente,
frenato
da pregiudizi,
cambiò
per convenienza, come
tante
altre volte, opinione.
La
sopravvivenza vissuta come
colpa
e il suicidio
Il
6 ottobre 1938, i 60 mila cittadini
italiani
di religione ebraica
seppero
che per loro stava cominciando
una
nuova persecuzione.
Il
Gran Consiglio stabilì che erano
proibiti
i matrimoni misti, gli
ebrei
non dovevano avere industrie
con
più di 100 dipendenti, né
terreni
che superassero un certo
valore,
né domestici ariani, niente
servizio
militare, niente radio,
niente
nome sull’elenco del telefono,
niente
annunci funebri. Li
ributtarono
ancora una volta nel
ghetto.
In Italia 200 professori
persero
la cattedra, 23 mila professionisti
perdettero
il lavoro,
150
tra ufficiali e sottufficiali vennero
congedati,
chiusi i portoni
delle
scuole, che erano di tutti, per
6
mila studenti.
Venne
diffuso il Manifesto
della
Razza
a
firma di dieci illustri
scienziati
nel quale si affermava:
“Gli
ebrei non appartengono alla
Razza
italiana”. L’11 aprile 1987
Levi
morì suicida. Ferdinando
Camon
nel libro Conversazione
con
Primo
Levi ha scritto:
“Dopo Auschwitz
lui
non viveva ma sopravviveva,
che
vivere ancora per lui è
una
colpa, che sulla Terra non c’è
spazio
per le vittime dello Sterminio
e per
chi lo nega”
il fatto quotidiano 26 gennaio 2014
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