venerdì 30 settembre 2011
referendum legge elettorale oltre 1 milione di firme
Referendum, oltre un milione di firme
"E' un miracolo popolare"
I promotori festeggiano: "Successo straordinario". La consegna in Cassazione dei 200 scatoloni. Il via libera arriverà entro il 10 dicembre, poi il passaggio alla Corte costituzionale per l'ammissibilità. Il voto la prossima primavera. Parisi loda il lavoro corale: "Nessuno ormai difende più il Porcellum"
Conferenza stampa del comitato referendario per il referendum sulla legge elettorale (agf)
ROMA - E' "un miracolo popolare": il comitato referendario ha consegnato oggi in Cassazione 200 scatoloni contenenti 1.210.466 firme, raccolte in soli due mesi, per chiedere l'abrogazione dell'attuale legge elettorale, il cosiddetto porcellum 1. Quota ben oltre le 500mila richieste e ben oltre le 700mila considerate la soglia di sicurezza, al netto delle possibili contestazioni in Cassazione. Il presidente del comitato, Andrea Morrone, nel corso di una conferenza stampa alla Camera, festeggia per il risultato, ma ricorda che è "solo l'inizio".
PORCELLUM E MATTARELLUM, SISTEMI A CONFRONTO 2
Il via libera della Cassazione arriverà entro il 10 dicembre, poi ci sarà il passaggio alla Corte costituzionale, che valuterà l'ammissibilità senza poter far riferimento a precedenti referendum sulla legge elettorale, quindi sarà il momento della campagna referendaria e il voto si terrebbe la prossima primavera, tra il 15 aprile e il 15 giugno, sempre che le camere non vengano sciolte anticipatamente. Marrone spiega che questo, quanto a firme raccolte, è "il secondo risultato in assoluto nella storia del referendum". Ringrazia il "gruppo unito" delle forze del comitato 3 e ricorda che "il 10 per cento delle firme è dovuto al contributo dei comuni".
Anche Arturo Parisi non nasconde il proprio entusiasmo ed esalta "il lavoro corale" 4 - di Pd, Idv, Sel, Partito liberale, Popolari (ex asinello) e Rete referendaria di Segni sono stati i promotori dell'iniziativa - parlando di firme sottoscritte dai cittadini "con rabbia e indignazione", ma anche di "speranza" per il futuro. Nessuno ormai "difende più il porcellum", continua l'ex ministro, quindi il prossimo Parlamento non deve essere rieletto con l'attuale legge elettorale. Infine, Antonio Di Pietro esorta la politica a cambiare la legge elettorale: l'Idv pone tre condizioni: "incandidabilità per i condannati; chi è sotto processo non può ricoprire ruoli di governo e chi fa il parlamentare deve sospendere la propria attività professionale".
Il messaggio che viene dai cittadini è "netto e incontrovertibile" ed ha un "valore civile prima ancora che politico: i cittadini vogliono contare, non intendono lasciare una delega in bianco ad una classe politica chiusa in Palazzo sempre più screditato" commenta Nichi Vendola presidente di Sel. "La democrazia nel nostro Paese" aggiunge, "non può più essere umiliata come è successo finora".
(30 settembre 2011)
http://www.repubblica.it/politica/2011/09/30/news/referendum_firme-22463953/?ref=HREA-1
"E' un miracolo popolare"
I promotori festeggiano: "Successo straordinario". La consegna in Cassazione dei 200 scatoloni. Il via libera arriverà entro il 10 dicembre, poi il passaggio alla Corte costituzionale per l'ammissibilità. Il voto la prossima primavera. Parisi loda il lavoro corale: "Nessuno ormai difende più il Porcellum"
Conferenza stampa del comitato referendario per il referendum sulla legge elettorale (agf)
ROMA - E' "un miracolo popolare": il comitato referendario ha consegnato oggi in Cassazione 200 scatoloni contenenti 1.210.466 firme, raccolte in soli due mesi, per chiedere l'abrogazione dell'attuale legge elettorale, il cosiddetto porcellum 1. Quota ben oltre le 500mila richieste e ben oltre le 700mila considerate la soglia di sicurezza, al netto delle possibili contestazioni in Cassazione. Il presidente del comitato, Andrea Morrone, nel corso di una conferenza stampa alla Camera, festeggia per il risultato, ma ricorda che è "solo l'inizio".
PORCELLUM E MATTARELLUM, SISTEMI A CONFRONTO 2
Il via libera della Cassazione arriverà entro il 10 dicembre, poi ci sarà il passaggio alla Corte costituzionale, che valuterà l'ammissibilità senza poter far riferimento a precedenti referendum sulla legge elettorale, quindi sarà il momento della campagna referendaria e il voto si terrebbe la prossima primavera, tra il 15 aprile e il 15 giugno, sempre che le camere non vengano sciolte anticipatamente. Marrone spiega che questo, quanto a firme raccolte, è "il secondo risultato in assoluto nella storia del referendum". Ringrazia il "gruppo unito" delle forze del comitato 3 e ricorda che "il 10 per cento delle firme è dovuto al contributo dei comuni".
Anche Arturo Parisi non nasconde il proprio entusiasmo ed esalta "il lavoro corale" 4 - di Pd, Idv, Sel, Partito liberale, Popolari (ex asinello) e Rete referendaria di Segni sono stati i promotori dell'iniziativa - parlando di firme sottoscritte dai cittadini "con rabbia e indignazione", ma anche di "speranza" per il futuro. Nessuno ormai "difende più il porcellum", continua l'ex ministro, quindi il prossimo Parlamento non deve essere rieletto con l'attuale legge elettorale. Infine, Antonio Di Pietro esorta la politica a cambiare la legge elettorale: l'Idv pone tre condizioni: "incandidabilità per i condannati; chi è sotto processo non può ricoprire ruoli di governo e chi fa il parlamentare deve sospendere la propria attività professionale".
Il messaggio che viene dai cittadini è "netto e incontrovertibile" ed ha un "valore civile prima ancora che politico: i cittadini vogliono contare, non intendono lasciare una delega in bianco ad una classe politica chiusa in Palazzo sempre più screditato" commenta Nichi Vendola presidente di Sel. "La democrazia nel nostro Paese" aggiunge, "non può più essere umiliata come è successo finora".
(30 settembre 2011)
http://www.repubblica.it/politica/2011/09/30/news/referendum_firme-22463953/?ref=HREA-1
la devastazione dei pini a Borgo Pasubio
Questa settimana è morta Wangari Maathai. E' inutile spiegare a chi non la conosce chi era. Come per me è stato inutile tentare di spiegare agli attuali amministratori di Pontinia la storia di Vincenzo Cenname commissariato da sindaco per i suoi ottimi risultati nella raccolta differenziata. Non mi hanno creduto. E' normale per chi si vanta sui giornali dei risultati ottenuti per la differenziata (20% un risultato ben lontano dagli obiettivi che si devono ottenere in materia), mentre il territorio comunale brucia quasi giornalmente. Così le fasce frangivento, gli alberi, nell'indifferenza (sembra dalla mancata prevenzione), così come le decine di cumuli di rifiuti che si trovano lungo strade e canali. La "scoperta" di discariche sotto gli occhi di tutti. Ma anche a Pontinia c'è qualcuno che si vede il TG1 e tenta di imitarlo. Così come gli alberi della Piazza PIO VI, e quelli di Borgo Pasubio.
chiesta proroga riconoscimento edifici rurali
Riconoscimento edifici rurali, chiesta la proroga
Commissione Agricoltura del Senato: termini in contrasto con lo statuto dei diritti del contribuente
di Paola Mammarella
30/09/2011 - Scade oggi il termine per il termine per il riconoscimento degli immobili rurali. Nei giorni scorsi non sono mancate però le richieste di proroga dei termini, che allo stato attuale vengono considerati “gravosi e ingiustificati”.
Si è espressa in questi termini la Commissione Agricoltura del Senato in una risoluzione approvata mercoledì scorso. Il presidente relatore Scarpa Bonazza Buora ha spiegato che la redazione della domanda e dell’autocertificazione sul possesso dei requisiti di ruralità per cinque anni, richiesta per l’attribuzione della categoria A/6 alle abitazioni rurali o D/10 per i fabbricati ruralistrumentali, richiede tempo e attenzione.
A detta del relatore, i termini fissati per la presentazione delle domande sarebbero in contrasto con lo statuto dei diritti del contribuente, secondo il quale le disposizioni tributarie non possono stabilire a carico del contribuente adempimenti con scadenza anteriore al sessantesimo giorno dalla loro entrata in vigore o dall’adozione di provvedimenti attuativi previsti.
Ricordiamo che la possibilità di far riconoscere la ruralità degli edifici è stata introdotta col Decreto Legge Sviluppo 70/2010, che ha rimandato al DM 14 settembre 2011 la definizione delle modalità con cui richiedere la variazione della categoria catastale.
Ai sensi di quanto affermato dalla Commissione Agricoltura del Senato, quindi, la scadenza non potrebbe essere fissata prima della metà di novembre.
D’altra parte, l’Agenzia del Territorio ha già comunicato che il termine del 30 settembre vale per la compilazione informatica delle domande. Il resto della documentazione può essere consegnato, secondo le modalità indicate dal Dm (Leggi Tutto), entro quindici giorni dalla data di acquisizione nel sistema informatico, quindi non oltre il 15 ottobre.
(riproduzione riservata)
http://www.edilportale.com/news/2011/09/normativa/riconoscimento-edifici-rurali-chiesta-la-proroga_24143_15.html
Commissione Agricoltura del Senato: termini in contrasto con lo statuto dei diritti del contribuente
di Paola Mammarella
30/09/2011 - Scade oggi il termine per il termine per il riconoscimento degli immobili rurali. Nei giorni scorsi non sono mancate però le richieste di proroga dei termini, che allo stato attuale vengono considerati “gravosi e ingiustificati”.
Si è espressa in questi termini la Commissione Agricoltura del Senato in una risoluzione approvata mercoledì scorso. Il presidente relatore Scarpa Bonazza Buora ha spiegato che la redazione della domanda e dell’autocertificazione sul possesso dei requisiti di ruralità per cinque anni, richiesta per l’attribuzione della categoria A/6 alle abitazioni rurali o D/10 per i fabbricati ruralistrumentali, richiede tempo e attenzione.
A detta del relatore, i termini fissati per la presentazione delle domande sarebbero in contrasto con lo statuto dei diritti del contribuente, secondo il quale le disposizioni tributarie non possono stabilire a carico del contribuente adempimenti con scadenza anteriore al sessantesimo giorno dalla loro entrata in vigore o dall’adozione di provvedimenti attuativi previsti.
Ricordiamo che la possibilità di far riconoscere la ruralità degli edifici è stata introdotta col Decreto Legge Sviluppo 70/2010, che ha rimandato al DM 14 settembre 2011 la definizione delle modalità con cui richiedere la variazione della categoria catastale.
Ai sensi di quanto affermato dalla Commissione Agricoltura del Senato, quindi, la scadenza non potrebbe essere fissata prima della metà di novembre.
D’altra parte, l’Agenzia del Territorio ha già comunicato che il termine del 30 settembre vale per la compilazione informatica delle domande. Il resto della documentazione può essere consegnato, secondo le modalità indicate dal Dm (Leggi Tutto), entro quindici giorni dalla data di acquisizione nel sistema informatico, quindi non oltre il 15 ottobre.
(riproduzione riservata)
http://www.edilportale.com/news/2011/09/normativa/riconoscimento-edifici-rurali-chiesta-la-proroga_24143_15.html
Roma, Frosinone, Latina gestione acqua e depuratori che non funzionano, bollette salate
Mariachiara Ricciuti
LAZIO. Il garante della Regione denuncia: «Investimenti non più rimandabili». Ma le risorse non ci sono. Allarma il dato delle province di Frosinone e Latina: le utenze non allacciate sono il 32%.
Quando il pesce puzza, puzza dalle testa, recita un proverbio popolare. Ma se il cattivo odore arriva dal mare? Anche qui la causa è a monte, nei depuratori che non funzionano a norma o, peggio ancora, negli scarichi non autorizzati, che sversano i loro liquami direttamente nei fiumi. è quello che succede ancora oggi in molte zone del Lazio, dove la “mala depurazione” delle acque reflue rimane un’emergenza dai mille volti, complessa da gestire e anche da raccontare, ma per cui l’ambiente continua a pagare un prezzo altissimo. Lo certifica l’ultimo Rapporto di Legambiente, che mette il Lazio al sesto posto nella classifica del mare inquinato.
E ora lo conferma anche il Garante del Servizio idrico integrato della Regione: «Sul settore della depurazione - dice - mancano gli investimenti e c’è un ritardo da colmare. Gli interventi sono assolutamente necessari e non procrastinabili, altrimenti si scarica sulle generazioni future non solo il costo del debito pubblico, ma anche quello del risanamento ambientale». Gran parte delle criticità attuali sono un’eredità del passato, quando il servizio di depurazione era nelle mani dei singoli Comuni, ma è un dato di fatto che la mancanza di investimenti e i ritardi e le indecisioni della politica hanno impedito quella “rivoluzione” che ci si aspettava dalla legge Galli e dal passaggio della gestione dei servizi idrici dai Comuni agli Ato, le Autorità d’ambito ottimale. Un passaggio travagliato, ancora oggi incompiuto, che produce frammentarietà nella gestione dei servizi e genera confusione e inadempienze.
Il problema principale resta, su tutto il territorio, quello dell’inefficienza dei depuratori: obsoleti e sottodimensionati rispetto alle esigenze reali di Comuni che intanto hanno visto raddoppiare il numero di abitanti, come nella provincia di Frosinone o in quella di Roma, in Comuni come Monterotondo, Guidonia, Castel Nuovo di Porto o la zona dei Castelli. Va un po’ meglio a Roma città, dove pure a giugno è stato messo sotto sequestro il depuratore di Roma Nord gestito da Acea. I problemi aumentano nel periodo estivo e nelle località balneari, quando i depuratori non riescono a gestire il sovraccarico di lavoro dovuto all’arrivo dei turisti, e vanno in tilt. In questo quadro si salva ancora Sabaudia, città virtuosa sul fronte della depurazione e non a caso bandiera blu del litorale laziale, che insieme a Sperlonga può vantare una rete fognaria separata, che cioè convoglia separatamente le acque piovane da quelle delle abitazioni. Ma è una rarità.
Nella maggior parte dei casi i sistemi sono di tipo misto: basta un acquazzone in più e i depuratori si sovraccaricano. Le irregolarità della depurazione possono essere tante: acque “fuori tabella” o scaricate direttamente al suolo, oppure fanghi derivati da acque industriali che vengono spacciati per fanghi di derivazione domestica e riutilizzati come concimi in agricoltura. Parlano, in tal senso, i numeri di Guardia di Finanza, Corpo Forestale e Carabinieri: da gennaio 2010 fino al mese scorso, ad esempio, le Fiamme Gialle hanno effettuato 58 controlli, di cui 19 con esito irregolare; 12 le persone denunciate e 45 le sanzioni amministrative elevate. L’altra faccia della medaglia della “mala depurazione’ nel Lazio è quella degli scarichi abusivi, conseguenza, a loro volta, di un altro abusivismo, quello edilizio. Nella sola provincia di Roma si contano 115 scarichi di fognature comunali senza depuratore, basta andare a Monterotondo, a Carpineto Romano, Segni e Gorga, nella Valle del Sacco, oppure a Velletri.
Su tutto il territorio provinciale di Frosinone, come rivela l’ultimo Rapporto del Garante idrico, le utenze non allacciate alla fognatura sono addirittura il 32%; stesse percentuali anche nella provincia di Latina. I cittadini, intanto, continuano a pagare in bolletta una quota per un servizio di depurazione non ancora efficiente. A cui si andrà ad aggiungere il peso delle sanzioni in arrivo dall’Europa, proprio per i ritardi nel recepimento della direttiva sulla depurazione.
http://www.terranews.it/news/2011/09/depuratori-e-fogne-servizio-inefficiente-ma-bollette-salate
LAZIO. Il garante della Regione denuncia: «Investimenti non più rimandabili». Ma le risorse non ci sono. Allarma il dato delle province di Frosinone e Latina: le utenze non allacciate sono il 32%.
Quando il pesce puzza, puzza dalle testa, recita un proverbio popolare. Ma se il cattivo odore arriva dal mare? Anche qui la causa è a monte, nei depuratori che non funzionano a norma o, peggio ancora, negli scarichi non autorizzati, che sversano i loro liquami direttamente nei fiumi. è quello che succede ancora oggi in molte zone del Lazio, dove la “mala depurazione” delle acque reflue rimane un’emergenza dai mille volti, complessa da gestire e anche da raccontare, ma per cui l’ambiente continua a pagare un prezzo altissimo. Lo certifica l’ultimo Rapporto di Legambiente, che mette il Lazio al sesto posto nella classifica del mare inquinato.
E ora lo conferma anche il Garante del Servizio idrico integrato della Regione: «Sul settore della depurazione - dice - mancano gli investimenti e c’è un ritardo da colmare. Gli interventi sono assolutamente necessari e non procrastinabili, altrimenti si scarica sulle generazioni future non solo il costo del debito pubblico, ma anche quello del risanamento ambientale». Gran parte delle criticità attuali sono un’eredità del passato, quando il servizio di depurazione era nelle mani dei singoli Comuni, ma è un dato di fatto che la mancanza di investimenti e i ritardi e le indecisioni della politica hanno impedito quella “rivoluzione” che ci si aspettava dalla legge Galli e dal passaggio della gestione dei servizi idrici dai Comuni agli Ato, le Autorità d’ambito ottimale. Un passaggio travagliato, ancora oggi incompiuto, che produce frammentarietà nella gestione dei servizi e genera confusione e inadempienze.
Il problema principale resta, su tutto il territorio, quello dell’inefficienza dei depuratori: obsoleti e sottodimensionati rispetto alle esigenze reali di Comuni che intanto hanno visto raddoppiare il numero di abitanti, come nella provincia di Frosinone o in quella di Roma, in Comuni come Monterotondo, Guidonia, Castel Nuovo di Porto o la zona dei Castelli. Va un po’ meglio a Roma città, dove pure a giugno è stato messo sotto sequestro il depuratore di Roma Nord gestito da Acea. I problemi aumentano nel periodo estivo e nelle località balneari, quando i depuratori non riescono a gestire il sovraccarico di lavoro dovuto all’arrivo dei turisti, e vanno in tilt. In questo quadro si salva ancora Sabaudia, città virtuosa sul fronte della depurazione e non a caso bandiera blu del litorale laziale, che insieme a Sperlonga può vantare una rete fognaria separata, che cioè convoglia separatamente le acque piovane da quelle delle abitazioni. Ma è una rarità.
Nella maggior parte dei casi i sistemi sono di tipo misto: basta un acquazzone in più e i depuratori si sovraccaricano. Le irregolarità della depurazione possono essere tante: acque “fuori tabella” o scaricate direttamente al suolo, oppure fanghi derivati da acque industriali che vengono spacciati per fanghi di derivazione domestica e riutilizzati come concimi in agricoltura. Parlano, in tal senso, i numeri di Guardia di Finanza, Corpo Forestale e Carabinieri: da gennaio 2010 fino al mese scorso, ad esempio, le Fiamme Gialle hanno effettuato 58 controlli, di cui 19 con esito irregolare; 12 le persone denunciate e 45 le sanzioni amministrative elevate. L’altra faccia della medaglia della “mala depurazione’ nel Lazio è quella degli scarichi abusivi, conseguenza, a loro volta, di un altro abusivismo, quello edilizio. Nella sola provincia di Roma si contano 115 scarichi di fognature comunali senza depuratore, basta andare a Monterotondo, a Carpineto Romano, Segni e Gorga, nella Valle del Sacco, oppure a Velletri.
Su tutto il territorio provinciale di Frosinone, come rivela l’ultimo Rapporto del Garante idrico, le utenze non allacciate alla fognatura sono addirittura il 32%; stesse percentuali anche nella provincia di Latina. I cittadini, intanto, continuano a pagare in bolletta una quota per un servizio di depurazione non ancora efficiente. A cui si andrà ad aggiungere il peso delle sanzioni in arrivo dall’Europa, proprio per i ritardi nel recepimento della direttiva sulla depurazione.
http://www.terranews.it/news/2011/09/depuratori-e-fogne-servizio-inefficiente-ma-bollette-salate
lettera a un tunnel mai nato Gelmini e neutrini
Dopo il tunnel che non esiste
Si dimette il portavoce della Gelmini La decisione arriva dopo il comunicato stampa emesso dal ministero dell'Istruzione per congratularsi con il Cern e Istituto Nazionale di fisica nucleare per la scoperta del superamento della velocità della luce, in cui si faceva riferimento a un tunnel tra Ginevra e il Gran Sasso Il ‘tunnel della Gelmini’ miete la prima vittima: Massimo Zennaro, portavoce del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, ha deciso di dimettersi dall’incarico. Una decisione non motivata, ma da mettere in relazione con il comunicato stampa del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca uscito lo scorso 23 settembre. Il Miur si congratulava con il Cern di Ginevra e con l’Istituto Nazionale di fisica nucleare per la scoperta del superamento della velocità della luce, sottolineando come “alla costruzione del tunnel tra il Cern ed i laboratori del Gran Sasso, attraverso il quale si è svolto l’esperimento, l’Italia ha contribuito con uno stanziamento oggi stimabile intorno ai 45 milioni di euro”.
Un tunnel che non esiste. L’ufficio stampa del ministero dell’Istruzione aveva cercato di rimediare, sostenendo che “il tunnel di cui si parlava nel comunicato non poteva essere per nessuna ragione inteso come un tunnel che collega materialmente Ginevra con il Gran Sasso”. “Questo era di facile intuizione per tutti – secondo il Miur, e quindi si trattava di una polemica “strumentale”. Zennaro parla di dimissioni “irrevocabili”, anche se l’ex portavoce continerà a svolgere l’incarico di direttore generale del Ministero dell’Istruzione.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/29/dopo-il-tunnel-che-non-esiste-si-dimette-il-portavoce-della-gelmini/160834/
Si dimette il portavoce della Gelmini La decisione arriva dopo il comunicato stampa emesso dal ministero dell'Istruzione per congratularsi con il Cern e Istituto Nazionale di fisica nucleare per la scoperta del superamento della velocità della luce, in cui si faceva riferimento a un tunnel tra Ginevra e il Gran Sasso Il ‘tunnel della Gelmini’ miete la prima vittima: Massimo Zennaro, portavoce del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, ha deciso di dimettersi dall’incarico. Una decisione non motivata, ma da mettere in relazione con il comunicato stampa del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca uscito lo scorso 23 settembre. Il Miur si congratulava con il Cern di Ginevra e con l’Istituto Nazionale di fisica nucleare per la scoperta del superamento della velocità della luce, sottolineando come “alla costruzione del tunnel tra il Cern ed i laboratori del Gran Sasso, attraverso il quale si è svolto l’esperimento, l’Italia ha contribuito con uno stanziamento oggi stimabile intorno ai 45 milioni di euro”.
Un tunnel che non esiste. L’ufficio stampa del ministero dell’Istruzione aveva cercato di rimediare, sostenendo che “il tunnel di cui si parlava nel comunicato non poteva essere per nessuna ragione inteso come un tunnel che collega materialmente Ginevra con il Gran Sasso”. “Questo era di facile intuizione per tutti – secondo il Miur, e quindi si trattava di una polemica “strumentale”. Zennaro parla di dimissioni “irrevocabili”, anche se l’ex portavoce continerà a svolgere l’incarico di direttore generale del Ministero dell’Istruzione.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/29/dopo-il-tunnel-che-non-esiste-si-dimette-il-portavoce-della-gelmini/160834/
giovedì 29 settembre 2011
multe quote latte condannati 16 allevatori
Quote latte, condannati sedici allevatori
Non hanno pagato multe per 100 milioni Pene fino a 5 anni e mezzo di reclusione per una presunta truffa da circa 100 milioni di euro sugli importi non versati allo Stato a partire dall'aprile 2003 dai produttori legati alle cooperative. Il tribunale ha imposto ad alcuni imputati un risarcimento provvisionale di circa 30 milioni di euro all'Agea La sentenza dei giudici milanesi nei confronti dei cosiddetti splafonatori, gli allevatori cioè che producono latte in eccesso superando le quote imposte a livello europeo dall’Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura), è esemplare con quindici agricoltori ritenuti colpevoli di peculato e truffa ai danni dello Stato per cento milioni di euro.
Sì, perché il sistema adoperato fino al 2009 dai “Robin Hood” del latte era quello di non versare i soldi dei contribuenti europei all’Agea, più di cento milioni di euro, ma ridistribuirli tra i produttori, posizione da sempre sostenuta e promossa dalla Lega nord.
Duro il processo, pesante la sentenza. Innanzi tutto le cooperative ‘La Lombarda’ e ‘La Latteria di Milano’ sono state giudicate colpevoli di truffa ai danni dell’erario con una sanzione pecuniaria di 100mila euro a testa, poi quindici i giudicati colpevoli e quattro gli imputati assolti.
La pena più alta è toccata ad Alessio Crippa, il re degli splafonatori, con 5 anni e mezzo di carcere per peculato e truffa. Poco più della metà è toccata al suo braccio destra, Gianluca Paganelli, che sconterà una pena di 2 anni e mezzo di reclusione per truffa.
I restanti quattordici imputati dovranno scontare una pena che va da un anno a un anno e mezzo di reclusione e, per alcuni di loro, è scattato il risarcimento provvisionale all’Agea per una cifra di 30 milioni di euro e beni confiscati per 18 milioni. Cifre esorbitanti che si sommano al risarcimento per le parti civili che verrà stabilito in giudizio separato, comunque con provvisionali fissati a 40.000 per Coldiretti e Confragricoltura Lombardia e tra i 50 ed i 70.000 euro per due cooperative danneggiate da ‘La Lombarda’ e ‘La Latteria di Milano‘.
Al termine di un lungo quanto contestato processo, e di un casus belli tra il ministro Galan e la Lega nord, Confagricoltura esulta definendo la sentenza “epocale e tutta da leggere”. E’ infatti da tempo che l’organizzazione agricola italiana si batte contro gli splafonatori ed è evidente che questa sentenza rappresenti un punto di svolta nella battaglia contro chi elude la normativa europea in materia di produzione di latte.
“Una sentenza- evidenzia una nota di Confagricoltura- dalla quale nessun tribunale e nessun soggetto politico potrà d’ora in poi certamente prescindere nell’affrontare argomenti di gestione politica ed amministrativa del comparto lattiero-caseario italiano. Finalmente viene fatta giustizia delle ragioni, da sempre manifestate dalla stragrande maggioranza dei produttori italiani e da tempo sostenute da Confagricoltura”.
Nonostante una condanna senza precedenti per la categoria, i Cobas si fanno beffe della sentenza e annunciano nuove proteste contro il sistema delle quote latte: “Continuo a ‘sforare’ le quote anche adesso- sostiene Crippa- in Italia viene processato chi va a letto con le donne a casa sua e chi fattura il latte che munge”. L’inchiesta, condotta dal pm Frank Di Maio e poi portata a processo dal collega Maurizio Ascione, aveva portato ai domiciliari Crippa e Paganelli nel febbraio 2009 e al sequestro delle aziende.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/29/quote-latte-condannati-sedici-allevatori-non-hanno-pagato-multe-per-100-milioni/160910/
di Massimo Paradiso
Non hanno pagato multe per 100 milioni Pene fino a 5 anni e mezzo di reclusione per una presunta truffa da circa 100 milioni di euro sugli importi non versati allo Stato a partire dall'aprile 2003 dai produttori legati alle cooperative. Il tribunale ha imposto ad alcuni imputati un risarcimento provvisionale di circa 30 milioni di euro all'Agea La sentenza dei giudici milanesi nei confronti dei cosiddetti splafonatori, gli allevatori cioè che producono latte in eccesso superando le quote imposte a livello europeo dall’Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura), è esemplare con quindici agricoltori ritenuti colpevoli di peculato e truffa ai danni dello Stato per cento milioni di euro.
Sì, perché il sistema adoperato fino al 2009 dai “Robin Hood” del latte era quello di non versare i soldi dei contribuenti europei all’Agea, più di cento milioni di euro, ma ridistribuirli tra i produttori, posizione da sempre sostenuta e promossa dalla Lega nord.
Duro il processo, pesante la sentenza. Innanzi tutto le cooperative ‘La Lombarda’ e ‘La Latteria di Milano’ sono state giudicate colpevoli di truffa ai danni dell’erario con una sanzione pecuniaria di 100mila euro a testa, poi quindici i giudicati colpevoli e quattro gli imputati assolti.
La pena più alta è toccata ad Alessio Crippa, il re degli splafonatori, con 5 anni e mezzo di carcere per peculato e truffa. Poco più della metà è toccata al suo braccio destra, Gianluca Paganelli, che sconterà una pena di 2 anni e mezzo di reclusione per truffa.
I restanti quattordici imputati dovranno scontare una pena che va da un anno a un anno e mezzo di reclusione e, per alcuni di loro, è scattato il risarcimento provvisionale all’Agea per una cifra di 30 milioni di euro e beni confiscati per 18 milioni. Cifre esorbitanti che si sommano al risarcimento per le parti civili che verrà stabilito in giudizio separato, comunque con provvisionali fissati a 40.000 per Coldiretti e Confragricoltura Lombardia e tra i 50 ed i 70.000 euro per due cooperative danneggiate da ‘La Lombarda’ e ‘La Latteria di Milano‘.
Al termine di un lungo quanto contestato processo, e di un casus belli tra il ministro Galan e la Lega nord, Confagricoltura esulta definendo la sentenza “epocale e tutta da leggere”. E’ infatti da tempo che l’organizzazione agricola italiana si batte contro gli splafonatori ed è evidente che questa sentenza rappresenti un punto di svolta nella battaglia contro chi elude la normativa europea in materia di produzione di latte.
“Una sentenza- evidenzia una nota di Confagricoltura- dalla quale nessun tribunale e nessun soggetto politico potrà d’ora in poi certamente prescindere nell’affrontare argomenti di gestione politica ed amministrativa del comparto lattiero-caseario italiano. Finalmente viene fatta giustizia delle ragioni, da sempre manifestate dalla stragrande maggioranza dei produttori italiani e da tempo sostenute da Confagricoltura”.
Nonostante una condanna senza precedenti per la categoria, i Cobas si fanno beffe della sentenza e annunciano nuove proteste contro il sistema delle quote latte: “Continuo a ‘sforare’ le quote anche adesso- sostiene Crippa- in Italia viene processato chi va a letto con le donne a casa sua e chi fattura il latte che munge”. L’inchiesta, condotta dal pm Frank Di Maio e poi portata a processo dal collega Maurizio Ascione, aveva portato ai domiciliari Crippa e Paganelli nel febbraio 2009 e al sequestro delle aziende.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/29/quote-latte-condannati-sedici-allevatori-non-hanno-pagato-multe-per-100-milioni/160910/
di Massimo Paradiso
fac simile richiesta finanziamento metodo Tarantini x Berlusconi
Gentilissimo Cav. Silvio Berlusconi,
apprendo da recenti notizie della Sua particolare indole a volere prestare aiuto alle persone bisognose. So che molto spesso la Sua predisposizione è stata travisata e male interpretata, ma sono sicuro della bontà d'animo in Lei racchiusa.
Vorrei, con questa mia, chiederLe cortesemente di volere concedere anche a me un contributo, essendo in condizioni sfavorevoli per la congiuntura economica negativa.
Vorrei pregarLa di dare disposizione alla Sua segretaria di versarmi la complessiva cifra di € 600.000,00, in contanti, in tranche di € 20.000,00 cadauna, ai sensi del corollario "Tarantini", in eccezione alla normativa antiriciclaggio.
Voglia accettare il mio sincero plauso per la sua complessiva azione amministrativa.
Si coglie l'occasione per porgere rispettosi saluti
apprendo da recenti notizie della Sua particolare indole a volere prestare aiuto alle persone bisognose. So che molto spesso la Sua predisposizione è stata travisata e male interpretata, ma sono sicuro della bontà d'animo in Lei racchiusa.
Vorrei, con questa mia, chiederLe cortesemente di volere concedere anche a me un contributo, essendo in condizioni sfavorevoli per la congiuntura economica negativa.
Vorrei pregarLa di dare disposizione alla Sua segretaria di versarmi la complessiva cifra di € 600.000,00, in contanti, in tranche di € 20.000,00 cadauna, ai sensi del corollario "Tarantini", in eccezione alla normativa antiriciclaggio.
Voglia accettare il mio sincero plauso per la sua complessiva azione amministrativa.
Si coglie l'occasione per porgere rispettosi saluti
stroncati i pini di Borgo Pasubio - Pontinia
Stroncati anche i pini all'ingresso di Pontinia – Borgo Pasubio che sono stati potati, tagliati e scavati anche delle radici http://pontiniaecologia.blogspot.com/2011/09/stroncati-i-pini-di-borgo-pasubio.html . Sicuramente il comune ha la sua motivazione per fare questi lavori. Le attività sono in corso proprio nell'orario di punta (oltre ai vari orari di lavoro, negozi, l'uscita di scuola elementare e materna), già aggravata dalla situazione di emergenza dell'incrocio di Borgo Pausbio più volte segnalata. Aspettiamo solo da 6 anni che la Provincia realizzi la rotatoria. Sicuramente, a differenza di quanto accaduto con le delibere dei poderi contrarie alla normativa, come giustamente ha fatto notare la Soprintendenza, questa volta ci saranno tutte le autorizzazioni e i pareri necessari per legge. Non è un periodo facile per gli alberi nel comune di Pontinia: dopo la strage delle palme causata, sembra, dall'importazione di essenze esotiche e del relativo coleottoro rosso, dopo la malattia che sta decimando gli eucaliptus (anche questi a causa dell'ennesimo parassita proveniente da altri continenti per l'inopinata importazione di essenze incompatibili con il nostro ambiente, i continui roghi delle fasce frangivento nell'indifferenza generale, ecco la stroncatura dei pini. Sicuramente questa volta non si farà l'errore della sostituzione delle palma della piazza Pio VI con essenze non previste dal PTPR, quindi ancora una volta senza tener conto della normativa in materia. Speriamo, quindi, che almeno questa volta dopo i ripetuti errori, disattenzione, mancanza di prevenzione, vengano scelte delle essenze compatibili con il territorio, previste dal PTPR e che non causino ulteriori malattie. Intanto continua il rinvenimento di insetti che sembrerebbero uguali al coleottoro rosso in piazza Pio VI (la piazza della Chiesa) ma non se ne capisce la provenienza, visto che le palme sono state sostituite da un'essenza di cui sui giornali si è letto non attaccabile dal coleottoro rosso.
inutile centrale a biomasse di Russi - Ravenna
Quell’inutile centrale a biomasse "terra" 29 settembre 2011 Gian Luca Baldrati
Energia Il Comune di Russi e la Provincia di Ravenna vogliono l’impianto osteggiato da cittadini, Italia Nostra e Wwf
Come abbiamo già scritto su queste pagine, il 6 luglio scorso il Tar dell’Emilia-Romagna aveva accolto il ricorso presentato da Ravenna Virtuosa/ Clandestino e sottoscritto da Italia Nostra e Wwf nazionali e 130 cittadini contro la centrale a biomasse di Russi da 30 MW. L’accoglimento del ricorso impone allo stesso Tar di esprimersi sul merito ma, soprattutto, comporta una sospensione dei lavori di costruzione della centrale, quantomeno fino alla prima udienza, fissata per il prossimo 1° dicembre. Come in un’improbabile partita a scacchi, Powercrop, l’azienda proponente, ha a sua volta presentato ricorso, questa volta al Consiglio di Stato, contro la sospensione dei lavori.
Fin qui tutto normale. Quello che, però, ha ulteriormente movimentato la “calda estate delle biomasse romagnola” è stata la decisione del Comune di Russi e della provincia di Ravenna di costituirsi anch’essi presso il Consiglio di Stato contro la sospensione, iniziativa che costerà ai cittadini amministrati dai due enti svariate migliaia di euro.
Da notare che nella giunta provinciale, anche gli assessori in quota a Idv, Federazione della sinistra e Sel hanno approvato la decisione.
Viene da chiedersi se, in un periodo di vacche magre come quello che stiamo vivendo, destinato solamente a peggiorare e in cui i tagli del governo, pur salvaguardando i privilegi, costringono gli enti locali a demolire i servizi ai cittadini, questo impegno economico fosse proprio necessario. È comprensibile che Powercrop non molli e si impegni per portare a termine il prima possibile la costruzione della centrale, perché l’affare, circa 60 milioni di euro l’anno, è succoso, ma il Comune e la provincia? Non solo i due enti, insieme alla Regione Emilia-Romagna, pur con forti contestazioni popolari, hanno approvato la centrale, ma sono anche disposti a spendere soldi pubblici, quindi anche di quei cittadini che la centrale non la vogliono, per aiutare l’azienda privata a costruirla?
Invece, per l’altra centrale a biomasse della Bassa Romagna, quella a olio di palma di Conselice (da 49 MW, recentemente ampliata a 58 MW, con un aumento anche ai limiti di emissione), va tutto a gonfie vele, anche se...
La centrale, costruita in barba alle prescrizioni (ricordiamo che il raccordo ferroviario, che doveva essere costruito entro il 31 ottobre 2009 e senza il quale non poteva entrare in esercizio la centrale, non c’è ancora!), preleva la sua materia prima principalmente dal sudest asiatico.
In Asia, il principale esportatore dell’olio di palma utilizzato in tutto il mondo è l’Indonesia, che era una delle nazioni con la più ampia percentuale di territorio ricoperta da foreste vergini. Oggi quelle foreste vengono selvaggiamente abbattute, per far posto alle redditizie (per le multinazionali che le posseggono) coltivazioni di palma da olio.
Risultato: l’Indonesia, a causa del disboscamento, è il terzo emettitore di CO2 in atmosfera, dopo USA e Cina, tanto che l’ONU ha deciso di applicare in questo stato un costoso programma per frenare le deforestazione.
Ad ogni livello si privatizzano gli utili e si socializzano i costi.
Energia Il Comune di Russi e la Provincia di Ravenna vogliono l’impianto osteggiato da cittadini, Italia Nostra e Wwf
Come abbiamo già scritto su queste pagine, il 6 luglio scorso il Tar dell’Emilia-Romagna aveva accolto il ricorso presentato da Ravenna Virtuosa/ Clandestino e sottoscritto da Italia Nostra e Wwf nazionali e 130 cittadini contro la centrale a biomasse di Russi da 30 MW. L’accoglimento del ricorso impone allo stesso Tar di esprimersi sul merito ma, soprattutto, comporta una sospensione dei lavori di costruzione della centrale, quantomeno fino alla prima udienza, fissata per il prossimo 1° dicembre. Come in un’improbabile partita a scacchi, Powercrop, l’azienda proponente, ha a sua volta presentato ricorso, questa volta al Consiglio di Stato, contro la sospensione dei lavori.
Fin qui tutto normale. Quello che, però, ha ulteriormente movimentato la “calda estate delle biomasse romagnola” è stata la decisione del Comune di Russi e della provincia di Ravenna di costituirsi anch’essi presso il Consiglio di Stato contro la sospensione, iniziativa che costerà ai cittadini amministrati dai due enti svariate migliaia di euro.
Da notare che nella giunta provinciale, anche gli assessori in quota a Idv, Federazione della sinistra e Sel hanno approvato la decisione.
Viene da chiedersi se, in un periodo di vacche magre come quello che stiamo vivendo, destinato solamente a peggiorare e in cui i tagli del governo, pur salvaguardando i privilegi, costringono gli enti locali a demolire i servizi ai cittadini, questo impegno economico fosse proprio necessario. È comprensibile che Powercrop non molli e si impegni per portare a termine il prima possibile la costruzione della centrale, perché l’affare, circa 60 milioni di euro l’anno, è succoso, ma il Comune e la provincia? Non solo i due enti, insieme alla Regione Emilia-Romagna, pur con forti contestazioni popolari, hanno approvato la centrale, ma sono anche disposti a spendere soldi pubblici, quindi anche di quei cittadini che la centrale non la vogliono, per aiutare l’azienda privata a costruirla?
Invece, per l’altra centrale a biomasse della Bassa Romagna, quella a olio di palma di Conselice (da 49 MW, recentemente ampliata a 58 MW, con un aumento anche ai limiti di emissione), va tutto a gonfie vele, anche se...
La centrale, costruita in barba alle prescrizioni (ricordiamo che il raccordo ferroviario, che doveva essere costruito entro il 31 ottobre 2009 e senza il quale non poteva entrare in esercizio la centrale, non c’è ancora!), preleva la sua materia prima principalmente dal sudest asiatico.
In Asia, il principale esportatore dell’olio di palma utilizzato in tutto il mondo è l’Indonesia, che era una delle nazioni con la più ampia percentuale di territorio ricoperta da foreste vergini. Oggi quelle foreste vengono selvaggiamente abbattute, per far posto alle redditizie (per le multinazionali che le posseggono) coltivazioni di palma da olio.
Risultato: l’Indonesia, a causa del disboscamento, è il terzo emettitore di CO2 in atmosfera, dopo USA e Cina, tanto che l’ONU ha deciso di applicare in questo stato un costoso programma per frenare le deforestazione.
Ad ogni livello si privatizzano gli utili e si socializzano i costi.
protesta in piazza contro la legge bavaglio sul web e il blog
INTERCETTAZIONI
Anche la Cgil in campo
contro la legge bavaglio
Il sindacato partecipa attivamente alla mobilitazione. "Invece di parlare di lavoro e sviluppo, la maggioranza intasa il Parlamento con provvedimenti utili solo a salvare Berlusconi dai suoi processi"
Susanna Camusso, leader della Cgil
DA SEMPRE “parte del movimento”. Per difendere la libertà d'informazione e lottare contro ogni forma di bavaglio alla stampa e all'attività della magistratura. La Cgil è in campo. Da oggi, per partecipare alla manifestazione prevista in piazza del Pantheon, Roma, dalle 15 alle 18. E, se sarà necessario, anche “nelle prossime settimane: marcheremo a uomo i passaggi parlamentari del disegno di legge sulle intercettazioni”, dice Fulvio Fammoni. Perchè “invece di parlare di lavoro e sviluppo, la maggioranza intasa il Parlamento con provvedimenti utili solo a salvare Silvio Berlusconi dai suoi processi”.
Una maggioranza impazzita, che invoca la tutela della privacy come principio guida del ddl sulle intercettazioni. “Una cosa assurda”, continua Fammoni. “Questo provvedimento non ha niente a che fare con la privacy. Basta far caso a una cosa: viene riattivato solo quando emergono problemi di carattere giudiziario relativi al presidente del Consiglio”. Una situazione torbida, resa ambigua dalla strategia del Governo: “Sembra che si utilizzi la crisi, il fatto che i cittadini sono impegnati a pensare a come arrivare alla fine del mese, per continuare l'affondo verso la libertà d'informazione”. La legge Bavaglio “è solo un pezzo di un'iniziativa più generale che mette insieme le censure, i tagli e il depotenziamento del servizio pubblico, gli interventi sui giornalisti”.
Poi i temi della giustizia, le “interferenze, indebite, dell'esecutivo sulla magistratura”. Una violazione della separazione dei poteri che passa attraverso le norme che prevedono “la sostituzione del pm se solo emerge qualche notizia relativa all'inchiesta che sta curando”. E ancora le nuove regole “ammazza-blog”. E la norma D'Addario. Ovvero: il divieto di utilizzare registrazioni definite “fraudolente”. Fammoni: “Pensiemo a chi viene taglieggiato e registra le minacce che subisce. Se passa questo testo cosa farà, chiederà il permesso a chi lo ricatta per utilizzare la registrazione? Siamo alle comiche...”.
Ancora sulla privacy. “Discutiamo di privacy per quanto riguarda i cittadini, ma facciamo delle differenze per chi ricopre un incarico pubblico”. Perchè al di là del privato del premier, “ci interessa sapere che il presidente del Consiglio invita un possibile indagato a restare fuori dal Paese per non subire un processo. Ci interessano le risate della cricca pochi minuti dopo il terremoto de L'Aquila”. Poi i dubbi di incostituzionalità, la certezza che il ddl sulle intercettazioni contenga norme che “vanno contro tutti i principi della Carta”.
Infine la mobilitazione. Con l'invito rivolto dal maggior sindacato italiano a tutti i cittadini. “Abbiamo già fermato questa legge più volte. E attraverso la mobilitazione dei cittadini per il referendum dello scorso giugno abbiamo mandato un messaggio chiaro alla politica: ci sono beni comuni, come l'informazione, che non vanno toccati”.
(29 settembre 2011)
http://www.repubblica.it/politica/2011/09/29/news/cgil_e_legge_bavaglio-22354111/?ref=HREC1-1
Anche la Cgil in campo
contro la legge bavaglio
Il sindacato partecipa attivamente alla mobilitazione. "Invece di parlare di lavoro e sviluppo, la maggioranza intasa il Parlamento con provvedimenti utili solo a salvare Berlusconi dai suoi processi"
Susanna Camusso, leader della Cgil
DA SEMPRE “parte del movimento”. Per difendere la libertà d'informazione e lottare contro ogni forma di bavaglio alla stampa e all'attività della magistratura. La Cgil è in campo. Da oggi, per partecipare alla manifestazione prevista in piazza del Pantheon, Roma, dalle 15 alle 18. E, se sarà necessario, anche “nelle prossime settimane: marcheremo a uomo i passaggi parlamentari del disegno di legge sulle intercettazioni”, dice Fulvio Fammoni. Perchè “invece di parlare di lavoro e sviluppo, la maggioranza intasa il Parlamento con provvedimenti utili solo a salvare Silvio Berlusconi dai suoi processi”.
Una maggioranza impazzita, che invoca la tutela della privacy come principio guida del ddl sulle intercettazioni. “Una cosa assurda”, continua Fammoni. “Questo provvedimento non ha niente a che fare con la privacy. Basta far caso a una cosa: viene riattivato solo quando emergono problemi di carattere giudiziario relativi al presidente del Consiglio”. Una situazione torbida, resa ambigua dalla strategia del Governo: “Sembra che si utilizzi la crisi, il fatto che i cittadini sono impegnati a pensare a come arrivare alla fine del mese, per continuare l'affondo verso la libertà d'informazione”. La legge Bavaglio “è solo un pezzo di un'iniziativa più generale che mette insieme le censure, i tagli e il depotenziamento del servizio pubblico, gli interventi sui giornalisti”.
Poi i temi della giustizia, le “interferenze, indebite, dell'esecutivo sulla magistratura”. Una violazione della separazione dei poteri che passa attraverso le norme che prevedono “la sostituzione del pm se solo emerge qualche notizia relativa all'inchiesta che sta curando”. E ancora le nuove regole “ammazza-blog”. E la norma D'Addario. Ovvero: il divieto di utilizzare registrazioni definite “fraudolente”. Fammoni: “Pensiemo a chi viene taglieggiato e registra le minacce che subisce. Se passa questo testo cosa farà, chiederà il permesso a chi lo ricatta per utilizzare la registrazione? Siamo alle comiche...”.
Ancora sulla privacy. “Discutiamo di privacy per quanto riguarda i cittadini, ma facciamo delle differenze per chi ricopre un incarico pubblico”. Perchè al di là del privato del premier, “ci interessa sapere che il presidente del Consiglio invita un possibile indagato a restare fuori dal Paese per non subire un processo. Ci interessano le risate della cricca pochi minuti dopo il terremoto de L'Aquila”. Poi i dubbi di incostituzionalità, la certezza che il ddl sulle intercettazioni contenga norme che “vanno contro tutti i principi della Carta”.
Infine la mobilitazione. Con l'invito rivolto dal maggior sindacato italiano a tutti i cittadini. “Abbiamo già fermato questa legge più volte. E attraverso la mobilitazione dei cittadini per il referendum dello scorso giugno abbiamo mandato un messaggio chiaro alla politica: ci sono beni comuni, come l'informazione, che non vanno toccati”.
(29 settembre 2011)
http://www.repubblica.it/politica/2011/09/29/news/cgil_e_legge_bavaglio-22354111/?ref=HREC1-1
Tav, il libro nero dell'alta velocità, orgia di appalti
Il libro nero dell’alta velocità Capitolo 6 – I costi veri dell’Alta velocità La gigantesca orgia di appalti dell’Alta velocità è stata pagata finora, e sarà ancora pagata per molti anni, dai pendolari. Il calcolo prodotto nel sesto capitolo di “Il libro nero dell’alta velocità” è impressionante nella sua semplicità. Il progetto varato nel 1991 sarà completato se va bene nel 2020, e secondo le stime più attendibili costerà 96,8 miliardi di euro. Da dove escono questi soldi? Secondo Ivan Cicconi solo un terzo della cifra risulta stanziata nei bilanci dello Stato di questi anni. Un altro terzo è costituito da prestiti delle banche, oggi a carico di Fs. E il terzo che manca? Rivela Cicconi: “Lo Stato ogni anno con il contratto di programma trasferisce alle FS le risorse necessarie per garantire il servizio ferroviario universale: nel periodo di riferimento mediamente una cifra di circa 4 miliardi di euro all’anno.
Bene, ogni anno i boiardi delle società di Stato hanno sottratto circa un quarto di queste risorse al servizio universale per coprire i costi per realizzare le infrastrutture, nodi e linee aeree, e per acquistare il materiale rotabile, ETR 500, per il servizio Alta velocità. Tutti i cittadini italiani hanno pagato, stanno pagando e pagheranno la bugia del finanziamento privato, mentre, per offrire un servizio di mobilità veloce al 5 per cento degli utenti ferroviari, al restante 95 per cento sono stati e saranno scippati circa un miliardo di euro ogni anno, per trent’anni”.
Non è azzardato prevedere che i contribuenti italiani dovranno fare i conti con la voragine Tav per altri decenni. Nessun contratto risalente al 1991 è stato ancora chiuso, su ogni tratta costruita dai cosiddetti “general contractor” c’è un’imponente massa di contenziosi aperti sui costi da riconoscere. E soprattutto, come Cicconi spiega in dettaglio nel sesto capitolo, è ancora tutta da scrivere la pagina dei nodi urbani, cioè le opere di penetrazione e attraversamento delle città: Milano, Bologna, Firenze. Interventi costosissimi, complicatissimi, sui quali ancora, dopo vent’anni, “si naviga a vista”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/28/il-libro-nero-dell%E2%80%99alta-velocita-capitolo-6-%E2%80%93-i-costi-veri-dellalta-velocita/160615/
Il libro nero dell’alta velocità capitolo 6 – i costi veri dell'alta velocità
http://www.slideshare.net/ilfattoquotidiano/il-libro-nero-dellalta-velocit-capitolo-6-i-costi-veri-dellalta-velocit
Bene, ogni anno i boiardi delle società di Stato hanno sottratto circa un quarto di queste risorse al servizio universale per coprire i costi per realizzare le infrastrutture, nodi e linee aeree, e per acquistare il materiale rotabile, ETR 500, per il servizio Alta velocità. Tutti i cittadini italiani hanno pagato, stanno pagando e pagheranno la bugia del finanziamento privato, mentre, per offrire un servizio di mobilità veloce al 5 per cento degli utenti ferroviari, al restante 95 per cento sono stati e saranno scippati circa un miliardo di euro ogni anno, per trent’anni”.
Non è azzardato prevedere che i contribuenti italiani dovranno fare i conti con la voragine Tav per altri decenni. Nessun contratto risalente al 1991 è stato ancora chiuso, su ogni tratta costruita dai cosiddetti “general contractor” c’è un’imponente massa di contenziosi aperti sui costi da riconoscere. E soprattutto, come Cicconi spiega in dettaglio nel sesto capitolo, è ancora tutta da scrivere la pagina dei nodi urbani, cioè le opere di penetrazione e attraversamento delle città: Milano, Bologna, Firenze. Interventi costosissimi, complicatissimi, sui quali ancora, dopo vent’anni, “si naviga a vista”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/28/il-libro-nero-dell%E2%80%99alta-velocita-capitolo-6-%E2%80%93-i-costi-veri-dellalta-velocita/160615/
Il libro nero dell’alta velocità capitolo 6 – i costi veri dell'alta velocità
http://www.slideshare.net/ilfattoquotidiano/il-libro-nero-dellalta-velocit-capitolo-6-i-costi-veri-dellalta-velocit
Matteoli contestato dall'Ance: andate via, fate fallire le imprese
Matteoli contestato all’Ance: “Vergogna, andate via, state facendo fallire le imprese” Il ministro delle Infrastrutture, da ospite d'onore a presenza indesiderata all'assemblea dei costruttori, ha risposto alle critiche dell'associazione sui decreti a costo zero: "Soldi non ce ne sono, il finanziamento avviene attraverso la defiscalizzazione"Il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti contestato durante l’assemblea dell’associazione dei costruttori edili. Ovvero da coloro che contavano, e non poco, sulle promesse di sviluppo annunciate a più riprese dal governo di cui fa parte. E’ successo stamane ad Altero Matteoli che, intervenuto al tradizionale meeting annuale dell’Ance, è stato duramente apostrofato da alcuni partecipanti alla manifestazione. Da ospite d’onore, quindi, a presenza indesiderata.
Al momento di salire sul palco per il discorso d’ordinanza sugli interventi e le misure messe in atto dal governo sul fronte delle infrastrutture, dalla platea si sono levati prima commenti ironici (“Bravo”, “quelle parole non le hai scritte tu, ma prima di venire potevi almeno leggerle”), poi fischi e urla inequivocabili all’indirizzo del ministro, specie da parte dei giovani imprenditori nel campo dell’edilizia. “Vergogna, basta, andate via, state facendo fallire le imprese” hanno gridato i contestatori, che poi hanno invitato i presenti ad abbandonare l’aula. Matteoli, da par sua, in un primo momento ha dovuto interrompere il suo discorso, per poi riprenderlo davanti a una sala con evidenti vuoti. “Mi rendo conto del momento difficile – ha detto Matteoli -, i costruttori hanno tutta la mia solidarietà, ma sono abituato a ben altro”.
In apertura d’assemblea, invece, era stato il presidente dell’Ance, Paolo Buzzetti, a elencare le conseguenze della crisi nel settore dell’edilizia: 230mila posti di lavoro persi dall’inizio della crisi, 350mila se si considera anche l’indotto. E, soprattutto, crescita nulla anche nel 2012, specie “in assenza di misure che possano produrre effetti immediati sulla produzione”. Tradotto: ennesima riduzione degli investimenti in costruzioni del 3,2%.
Da questi numeri, evidentemente, è nata l’azione dei contestatori, spiegata da Sandro Catalano, presidente dei Giovani dell’Ance di Trapani: “Il ministro è venuto senza sapere di cosa doveva parlare. E’ venuto qui senza portare risposte né proposte, così ci ha confermato che non c’è niente in pentola per il futuro. Le imprese rischiano di fermarsi, ci aspettavamo qualche novità e invece abbiamo solo tasse”.
Acqua sul fuoco della contestazione dal sindaco di Roma Gianni Alemanno, secondo cui “erano in cinque a fischiare, non facciamo il solito scherzetto, la maggior parte della gente è rimasta in sala e lo ha ascoltato con rispetto. E’ chiaro che anche i costruttori si aspettano delle risposte”. Diverso il discorso per Ermete Realacci, responsabile Pd per la green economy. “Anche per i costruttori il re è nudo- ha detto l’esponente dei democratici – . Il governo degli impegni mancati è arrivato al capolinea e per chiunque, a maggior ragione nella grave crisi che si sta attraversando, è diventato intollerabile sentire enunciare elenchi di bugie e promesse non mantenute”. Per quanto riguarda le proposte utili a superare il momento, Realacci ha le idee chiare: “Ci auguriamo, almeno per quel che riguarda il settore dell’edilizia, che venga stabilizzato il credito di imposta del 55% per le spese destinate agli interventi di risparmio ed efficienza energetica del patrimonio immobiliare nazionale – ha detto – . E’ stata la misura anticiclica di gran lunga più importante che è stata attivata in questi anni e che rischia di finire a dicembre di quest’anno se non sarà stabilizzata. Ma anche in questo caso, dal governo non si ha finora nessuna rassicurazione”.
Sulle misure da approvare “al massimo in dieci giorni”, tuttavia, il titolare del dicastero di Porta Pia ha poi spiegato i provvedimento in corso di studio, rispondendo così alle critiche del presidente Ance, Paolo Buzzetti, che contestava l’ipotesi di decreti a costo zero. “Soldi non ce ne sono, il finanziamento avviene attraverso la defiscalizzazione – ha detto Matteoli -. Le risorse sono indirette ma sono sempre risorse. Noi stiamo lavorando per scrivere il decreto dopo di che andremo a incontrare le Regioni e l’Anci”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/28/matteoli-contestato-allance-vergogna-andate-via-state-facendo-fallire-le-imprese/160545/
Al momento di salire sul palco per il discorso d’ordinanza sugli interventi e le misure messe in atto dal governo sul fronte delle infrastrutture, dalla platea si sono levati prima commenti ironici (“Bravo”, “quelle parole non le hai scritte tu, ma prima di venire potevi almeno leggerle”), poi fischi e urla inequivocabili all’indirizzo del ministro, specie da parte dei giovani imprenditori nel campo dell’edilizia. “Vergogna, basta, andate via, state facendo fallire le imprese” hanno gridato i contestatori, che poi hanno invitato i presenti ad abbandonare l’aula. Matteoli, da par sua, in un primo momento ha dovuto interrompere il suo discorso, per poi riprenderlo davanti a una sala con evidenti vuoti. “Mi rendo conto del momento difficile – ha detto Matteoli -, i costruttori hanno tutta la mia solidarietà, ma sono abituato a ben altro”.
In apertura d’assemblea, invece, era stato il presidente dell’Ance, Paolo Buzzetti, a elencare le conseguenze della crisi nel settore dell’edilizia: 230mila posti di lavoro persi dall’inizio della crisi, 350mila se si considera anche l’indotto. E, soprattutto, crescita nulla anche nel 2012, specie “in assenza di misure che possano produrre effetti immediati sulla produzione”. Tradotto: ennesima riduzione degli investimenti in costruzioni del 3,2%.
Da questi numeri, evidentemente, è nata l’azione dei contestatori, spiegata da Sandro Catalano, presidente dei Giovani dell’Ance di Trapani: “Il ministro è venuto senza sapere di cosa doveva parlare. E’ venuto qui senza portare risposte né proposte, così ci ha confermato che non c’è niente in pentola per il futuro. Le imprese rischiano di fermarsi, ci aspettavamo qualche novità e invece abbiamo solo tasse”.
Acqua sul fuoco della contestazione dal sindaco di Roma Gianni Alemanno, secondo cui “erano in cinque a fischiare, non facciamo il solito scherzetto, la maggior parte della gente è rimasta in sala e lo ha ascoltato con rispetto. E’ chiaro che anche i costruttori si aspettano delle risposte”. Diverso il discorso per Ermete Realacci, responsabile Pd per la green economy. “Anche per i costruttori il re è nudo- ha detto l’esponente dei democratici – . Il governo degli impegni mancati è arrivato al capolinea e per chiunque, a maggior ragione nella grave crisi che si sta attraversando, è diventato intollerabile sentire enunciare elenchi di bugie e promesse non mantenute”. Per quanto riguarda le proposte utili a superare il momento, Realacci ha le idee chiare: “Ci auguriamo, almeno per quel che riguarda il settore dell’edilizia, che venga stabilizzato il credito di imposta del 55% per le spese destinate agli interventi di risparmio ed efficienza energetica del patrimonio immobiliare nazionale – ha detto – . E’ stata la misura anticiclica di gran lunga più importante che è stata attivata in questi anni e che rischia di finire a dicembre di quest’anno se non sarà stabilizzata. Ma anche in questo caso, dal governo non si ha finora nessuna rassicurazione”.
Sulle misure da approvare “al massimo in dieci giorni”, tuttavia, il titolare del dicastero di Porta Pia ha poi spiegato i provvedimento in corso di studio, rispondendo così alle critiche del presidente Ance, Paolo Buzzetti, che contestava l’ipotesi di decreti a costo zero. “Soldi non ce ne sono, il finanziamento avviene attraverso la defiscalizzazione – ha detto Matteoli -. Le risorse sono indirette ma sono sempre risorse. Noi stiamo lavorando per scrivere il decreto dopo di che andremo a incontrare le Regioni e l’Anci”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/28/matteoli-contestato-allance-vergogna-andate-via-state-facendo-fallire-le-imprese/160545/
mercoledì 28 settembre 2011
consegnate le firme legge elettorale raccolte a Pontinia
Sono state consegnate oltre 160 firme raccolte a Pontinia per i quesiti referendari per abrogare la legge elettorale “porcellum” che impedisce la scelta dei candidati che vengono imposti da 5-6 segretari o proprietari di partiti che decidono la composizione del parlamento. Nonostante i problemi burocratici che hanno impedito per 2 settimane l'esercizio democratico c'è stata una buona risposta dei cittadini stanchi del costante e crescente degrado, di una casta politica che sta portando il paese alla rovina. Ancora una volta hanno aderito cittadini al di là dell'appartenenza o dell'area politica di riferimento. L'iniziativa è stata resa possibile dalla consueta disponibilità dell'assessore Patrizia Sperlonga sempre in prima linea per le iniziative democratiche. Solo rifondazione comunista si è dichiarata contraria ai 2 quesiti. Continua invece la raccolta di firme per la proposta di legge per l'abolizione delle province. Si può continuare a firmare nell'ufficio elettorale durante l'orario di ufficio (9-12 la mattina dal lunedì al venerdì), il martedì e il giovedì pomeriggio dalle 15 alle 17.
agricoltura, Agea una truffa da 27 milioni
AGEA Una truffa da 27 milioni, il Fatto quotidiano 28 settembre 2011
È di 27milioni di euro l’ammontare della truffa messa a segno da 133 persone tra funzionari, imprenditori e contadini, ai danni dell’Agea. In 133 ieri sono stati rinviati a giudizio dalla procura di Roma con l’accusa di associazione a delinquere, falso in atti pubblici e truffa aggravata. Secondo gli inquirenti, quali insider, tre funzionari dell’ente, avrebbero inventato una serie di progetti con la consapevolezza che questi sarebbero stati approvati: una volta erogati i soldi pubblici, li depositavano sui conti correnti dei prestanome. Così, dal 2002 fino al giugno del 2006, sarebbero stati derubati circa 27 milioni di fondi che l’Unione Europea, tramite l’Agea, distribuiva ai produttori agricoli.
Contributi questi che venivano concessi a chi rinunciava alle semine, per far fronte alla sovrapproduzione. Nell’architettare la truffa sarebbero stati utilizzati i sigilli contraffatti e prodotto falsi documentali, inducendo in errore l’ufficio esecuzione pagamenti. Finché non sono scattate le indagini della Procura. Valeria Pacelli
È di 27milioni di euro l’ammontare della truffa messa a segno da 133 persone tra funzionari, imprenditori e contadini, ai danni dell’Agea. In 133 ieri sono stati rinviati a giudizio dalla procura di Roma con l’accusa di associazione a delinquere, falso in atti pubblici e truffa aggravata. Secondo gli inquirenti, quali insider, tre funzionari dell’ente, avrebbero inventato una serie di progetti con la consapevolezza che questi sarebbero stati approvati: una volta erogati i soldi pubblici, li depositavano sui conti correnti dei prestanome. Così, dal 2002 fino al giugno del 2006, sarebbero stati derubati circa 27 milioni di fondi che l’Unione Europea, tramite l’Agea, distribuiva ai produttori agricoli.
Contributi questi che venivano concessi a chi rinunciava alle semine, per far fronte alla sovrapproduzione. Nell’architettare la truffa sarebbero stati utilizzati i sigilli contraffatti e prodotto falsi documentali, inducendo in errore l’ufficio esecuzione pagamenti. Finché non sono scattate le indagini della Procura. Valeria Pacelli
oggi a Roma manifestazione contro discariche e inceneritori
mercoledì 28 settembre · 14.30 - 17.00
Consiglio Regionale del Lazio Via della Pisana 1301
Sui RIFIUTI, la Regione Lazio sta portando avanti proposte che vedono i nostri territori minacciati da discariche e inceneritori.
Queste sono soluzioni VECCHIE e OBSOLETE che favoriscono solo il partito trasversale della discarica-inceneritore.
DICIAMO NO ALLA DISTRUZIONE DEL NOSTRO TERRITORIO, ALLA SVALUTAZIONE DELLE NOSTRE ABITAZIONI, ALLE MINACCE PER LA NOSTRA SALUTE, ALLO SPERPERO DI DENARO PUBBLICO!
NO agli inceneritori ad Albano, a Fiumicino e OVUNQUE!
SI alla riduzione dei rifiuti!
SI alla raccolta differenziata!
SI alla chiusura della discarica e del gassificatore di Malagrotta!
NO all'insensato ampliamento a Testa di Cane!
Consiglio Regionale del Lazio Via della Pisana 1301
Sui RIFIUTI, la Regione Lazio sta portando avanti proposte che vedono i nostri territori minacciati da discariche e inceneritori.
Queste sono soluzioni VECCHIE e OBSOLETE che favoriscono solo il partito trasversale della discarica-inceneritore.
DICIAMO NO ALLA DISTRUZIONE DEL NOSTRO TERRITORIO, ALLA SVALUTAZIONE DELLE NOSTRE ABITAZIONI, ALLE MINACCE PER LA NOSTRA SALUTE, ALLO SPERPERO DI DENARO PUBBLICO!
NO agli inceneritori ad Albano, a Fiumicino e OVUNQUE!
SI alla riduzione dei rifiuti!
SI alla raccolta differenziata!
SI alla chiusura della discarica e del gassificatore di Malagrotta!
NO all'insensato ampliamento a Testa di Cane!
martedì 27 settembre 2011
il disastro ambientale di Malagrotta, la denuncia dei verdi
Chiude la discarica di Malagrotta
Resta lo spettro del disastro ambientale A novanta giorni dallo stop, gioco delle parti tra Alemanno, Polverini e il proprietario Cerroni su ciò che diventerà la zona. I verdi hanno presentato un dossier sull'inquinamento nell'area circostante e la procura ha aperto un'inchiesta per omicidio colposo dopo la morte di quattro persone che vivevano lì vicinoLa discarica romana di Malagrotta Lui ha ‘consigliato’, loro non lo smentiscono, ma valutano. Sulla gestione dei rifiuti a Roma e nel Lazio, la partita è aperta. Da una parte Manlio Cerroni, signore dei rifiuti, e dall’altra Renata Polverini e Gianni Alemanno. Un fatto sembra certo: nel prossimo dicembre Malagrotta chiude e proprio oggi i Verdi hanno presentato un dossier sull’inquinamento dell’area intorno alla discarica. Sul dopo Malagrotta è a lavoro il commissario-prefetto Giuseppe Pecoraro, ma Cerroni ha già messo in campo le sue proposte.
Alemanno, sindaco della Capitale, non prende le distanze: “Si farà la migliore scelta ambientale e tecnica. Ci sono delle indicazioni precise della Regione ed è il prefetto che deve scegliere. Quindi il campo è aperto ad ogni soluzione”. Anche a quelle di Cerroni, del suo scacchiere di imprese, discariche e triangolazioni societarie. Il patron di Malagrotta era stato chiaro: “Ho tutto pronto, anche i prossimi siti” . Un’ipoteca sul futuro dopo 30 anni di dominio assoluto nel settore. I Verdi, proprio oggi, hanno manifestato davanti alla regione Lazio esponendo uno striscone: “Mai più Malagrotta” e presentato un dossier dell’Ispra, rimasto riservato, che evidenzia l’inquinamento dell’area che ospita anche la discarica.
Nei giorni scorsi la Procura di Roma, dopo diversi esposti, ha aperto un’indagine per omicidio colposo con l’obiettivo di fare luce sulla morte di 4 persone, tra il 2008 e il 2010 e se i decessi sono causati dalle esalazioni del sito. Manlio Cerroni ha sempre ribadito correttezza di operato ed eslcuso ogni possibile inquinamento prodotto dalla discarica che gestisce. Ma rispondendo al dossier presentato dai Verdi, Renata Polverini ha confermato il dato: “L’inquinamento di Malagrotta lo certifica l’Ue, con la quale noi stiamo lavorando e con il contributo del prefetto procederemo alla sua chiusura. L’Ue ci ha già sanzionato grazie al lavoro che non è stato fatto da governi sostenuti anche dai Verdi”.
Ispra malagrotta report monitoraggio preliminare acque malagrotta finaldraft
http://www.slideshare.net/ilfattoquotidiano/ispra-malagrotta-report-monitoraggio-preliminare-acque-malagrotta-finaldraft
Il problema, denunciano proprio i Verdi, è che il lavoro dell’Ispra, l’istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, sarebbe stato di fatto occultato. “La governatrice dice che i dati erano già noti – sottolinea Angelo Bonelli, il presidente nazionale del Sole che ride - , ma perché non ha reso pubblico questo studio dal quale emerge l’inquinamento delle falde acquifere da metalli pesanti, mercurio e da un’altra sostanza la N-burtilbenzenesolfinammide?”. L’area di Malagrotta ospita anche un inceneritore per rifiuti sanitari e una raffineria oltre alla ‘discussa’ discarica. I Verdi temono che il previsto stop alla chiusura del prossimo dicembre sia un bluff e ci possa essere un possibile ampliamento. « Bisogna evidenziare – conclude Bonelli – che il piano rifiuti non è stato ancora approvato dal consiglio regionale. Prevede la differenziata porta a porta mentre l’Ama, la società comunale, punta il suo piano industriale sulla raccolta con cassonetti». I risultati si vedono, la differenziata a Roma è sotto il 25%, gli stessi dati di Napoli. Napoli: l’incubo che il Lazio non riesce a scongiurare.
Studio ambientale sull'area di malagrotta 19 ottobre 2010
http://www.slideshare.net/ilfattoquotidiano/studio-ambientale-sullarea-di-malagrotta-19-ottobre-2010
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/27/la-discarica-di-malagrotta-chiude-a-dicembre-ma-la-partita-sul-futuro-del-sito-e-gia-aperta/160364/
Studio ambientale sull'area di malagrotta 19 ottobre 2010
http://www.terranews.it/news/2011/09/il-disastro-ambientale-dell%E2%80%99area-di-malagrotta
Alessandro De Pascale
DOSSIER. I Verdi rendono pubblica un’indagine dell’Ispra sull’inquinamento causato dalla discarica della Capitale, la più grande d’Europa: «Il mercurio è in tutte le matrici analizzate».
La tabella forse più esemplificativa, quella che rende meglio l’idea del “disastro Malagrotta”, si chiama «indicatore di pressione ambientale». È soltanto una delle decine di centinaia di tavole contenute nelle oltre 700 pagine dello studio condotto nel 2010 dall’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), per conto del ministero dell’Ambiente. È l’indagine più completa mai realizzata. Se ne erano perse le tracce fino a ieri. Giorno in cui i Verdi si sono recati alla Regione Lazio per consegnare simbolicamente il lavoro al governatore Renata Polverini, che però non ha voluto ricevere la delegazione. Ma grazie a questa iniziativa, il dossier Ispra è finalmente diventato pubblico. L’obiettivo dell’indagine era «accertare la natura, la composizione e i livelli di inquinamento nell’atmosfera e nella falda acquifera nell’area industriale di Malagrotta-Valle Galeria».
La zona periferica della Capitale, dove si trova la discarica più grande d’Europa, un inceneritore per rifiuti ospedalieri anche pericolosi, un gassificatore Cdr, due impianti per il trattamento meccanico-biologico della spazzatura e una raffineria dell’Eni. I dati riportati nella tabella di cui parlavamo prima, risalgono al 2005. Prendono in considerazione le emissioni pro capite nell’area, dalle quali «emerge una situazione critica», con valori «nettamente superiori a quelli di riferimento nazionale per quasi per tutti gli inquinanti considerati». I livelli di inquinamento dell’area in questione (appena 10 chilometri quadri), sono comparabili a quelli dell’intera città di Taranto. Superano infatti anche quelli di città come Venezia, Genova, Brindisi, Livorno e Brescia. Perché a Malagrotta c’è «una diffusa contaminazione da metalli e composti organici: il mercurio è presente in tutte le matrici ambientali analizzate».
Per non parlare dei «possibili effetti di miscelamento tra le acque sotterranee e il percolato della discarica». In pratica l’invaso di Malagrotta starebbe portando in falda il suo micidiale carico di composti tossici: «Maggiormente diffusi sono metalli e metalloidi, quali arsenico, ferro, manganese e nichel, altre sostanze inorganiche quali il boro, e idrocarburi aromatici, principalmente benzene, composti clorurati cancerogeni, clorobenzeni, fenoli e idrocarburi». C’è poi la raffineria Eni che, a causa di «perdite accertate di idrocarburi dagli impianti», ha contaminato le acque con «concentrazioni particolarmente elevate». Tra la documentazione raccolta dai Verdi c’è una lettera, scritta lo scorso 7 luglio dal direttore generale del ministero dell’Ambiente, Marco Lupo, e indirizzata a tutti i soggetti pubblici e privati coinvolti.
«La missiva fa un sunto dei risultati dell’indagine ma non fa riferimento ad allegati», fa subito notare Nando Bonessio, presidente dei Verdi del Lazio. «Lo studio sembra quindi non essere stato inviato. Eppure i risultati sono chiari. La situazione è grave e impone stop e bonifica immediati». Il Sole che ride aveva portato in Consiglio regionale, nel dicembre 2010, un ordine del giorno che impegnava la giunta «a predisporre entro 6 mesi uno studio propedeutico finalizzato alla dichiarazione di area ad elevato rischio di crisi ambientale per l’area di Malagrotta». La richiesta è stata approvata dal Consiglio «ma non dalla giunta Polverini», ricorda Bonessio. «La dichiarazione è importante, perché renderebbe impossibile aggiungere qualsiasi altro impianto inquinante, compresa una discarica.
Malagrotta ha già dato, ora basta, bisogna tutelare la salute di decine di migliaia di cittadini». Per chiudere l’invaso e trovare siti alternativi, il Consiglio dei ministri ha nominato il prefetto Giuseppe Pecoraro commissario straordinario. «Gli hanno dato 45 giorni di tempo, ne sono già trascorsi una ventina. Chiediamo al commissario di tenere conto di questo studio, perché temiamo che qualcuno gli abbia prospettato che c’è una via breve per risolvere il problema rifiuti: costruire nuovi inceneritori e discariche. Una strada che rischia di provocare forti scontri sociali. Il commissario deve convincere le istituzioni a cambiare radicalmente la gestione dei rifiuti. Cosa che purtroppo non sta accadendo», conclude Bonessio.
Resta lo spettro del disastro ambientale A novanta giorni dallo stop, gioco delle parti tra Alemanno, Polverini e il proprietario Cerroni su ciò che diventerà la zona. I verdi hanno presentato un dossier sull'inquinamento nell'area circostante e la procura ha aperto un'inchiesta per omicidio colposo dopo la morte di quattro persone che vivevano lì vicinoLa discarica romana di Malagrotta Lui ha ‘consigliato’, loro non lo smentiscono, ma valutano. Sulla gestione dei rifiuti a Roma e nel Lazio, la partita è aperta. Da una parte Manlio Cerroni, signore dei rifiuti, e dall’altra Renata Polverini e Gianni Alemanno. Un fatto sembra certo: nel prossimo dicembre Malagrotta chiude e proprio oggi i Verdi hanno presentato un dossier sull’inquinamento dell’area intorno alla discarica. Sul dopo Malagrotta è a lavoro il commissario-prefetto Giuseppe Pecoraro, ma Cerroni ha già messo in campo le sue proposte.
Alemanno, sindaco della Capitale, non prende le distanze: “Si farà la migliore scelta ambientale e tecnica. Ci sono delle indicazioni precise della Regione ed è il prefetto che deve scegliere. Quindi il campo è aperto ad ogni soluzione”. Anche a quelle di Cerroni, del suo scacchiere di imprese, discariche e triangolazioni societarie. Il patron di Malagrotta era stato chiaro: “Ho tutto pronto, anche i prossimi siti” . Un’ipoteca sul futuro dopo 30 anni di dominio assoluto nel settore. I Verdi, proprio oggi, hanno manifestato davanti alla regione Lazio esponendo uno striscone: “Mai più Malagrotta” e presentato un dossier dell’Ispra, rimasto riservato, che evidenzia l’inquinamento dell’area che ospita anche la discarica.
Nei giorni scorsi la Procura di Roma, dopo diversi esposti, ha aperto un’indagine per omicidio colposo con l’obiettivo di fare luce sulla morte di 4 persone, tra il 2008 e il 2010 e se i decessi sono causati dalle esalazioni del sito. Manlio Cerroni ha sempre ribadito correttezza di operato ed eslcuso ogni possibile inquinamento prodotto dalla discarica che gestisce. Ma rispondendo al dossier presentato dai Verdi, Renata Polverini ha confermato il dato: “L’inquinamento di Malagrotta lo certifica l’Ue, con la quale noi stiamo lavorando e con il contributo del prefetto procederemo alla sua chiusura. L’Ue ci ha già sanzionato grazie al lavoro che non è stato fatto da governi sostenuti anche dai Verdi”.
Ispra malagrotta report monitoraggio preliminare acque malagrotta finaldraft
http://www.slideshare.net/ilfattoquotidiano/ispra-malagrotta-report-monitoraggio-preliminare-acque-malagrotta-finaldraft
Il problema, denunciano proprio i Verdi, è che il lavoro dell’Ispra, l’istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, sarebbe stato di fatto occultato. “La governatrice dice che i dati erano già noti – sottolinea Angelo Bonelli, il presidente nazionale del Sole che ride - , ma perché non ha reso pubblico questo studio dal quale emerge l’inquinamento delle falde acquifere da metalli pesanti, mercurio e da un’altra sostanza la N-burtilbenzenesolfinammide?”. L’area di Malagrotta ospita anche un inceneritore per rifiuti sanitari e una raffineria oltre alla ‘discussa’ discarica. I Verdi temono che il previsto stop alla chiusura del prossimo dicembre sia un bluff e ci possa essere un possibile ampliamento. « Bisogna evidenziare – conclude Bonelli – che il piano rifiuti non è stato ancora approvato dal consiglio regionale. Prevede la differenziata porta a porta mentre l’Ama, la società comunale, punta il suo piano industriale sulla raccolta con cassonetti». I risultati si vedono, la differenziata a Roma è sotto il 25%, gli stessi dati di Napoli. Napoli: l’incubo che il Lazio non riesce a scongiurare.
Studio ambientale sull'area di malagrotta 19 ottobre 2010
http://www.slideshare.net/ilfattoquotidiano/studio-ambientale-sullarea-di-malagrotta-19-ottobre-2010
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/27/la-discarica-di-malagrotta-chiude-a-dicembre-ma-la-partita-sul-futuro-del-sito-e-gia-aperta/160364/
Studio ambientale sull'area di malagrotta 19 ottobre 2010
http://www.terranews.it/news/2011/09/il-disastro-ambientale-dell%E2%80%99area-di-malagrotta
Alessandro De Pascale
DOSSIER. I Verdi rendono pubblica un’indagine dell’Ispra sull’inquinamento causato dalla discarica della Capitale, la più grande d’Europa: «Il mercurio è in tutte le matrici analizzate».
La tabella forse più esemplificativa, quella che rende meglio l’idea del “disastro Malagrotta”, si chiama «indicatore di pressione ambientale». È soltanto una delle decine di centinaia di tavole contenute nelle oltre 700 pagine dello studio condotto nel 2010 dall’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), per conto del ministero dell’Ambiente. È l’indagine più completa mai realizzata. Se ne erano perse le tracce fino a ieri. Giorno in cui i Verdi si sono recati alla Regione Lazio per consegnare simbolicamente il lavoro al governatore Renata Polverini, che però non ha voluto ricevere la delegazione. Ma grazie a questa iniziativa, il dossier Ispra è finalmente diventato pubblico. L’obiettivo dell’indagine era «accertare la natura, la composizione e i livelli di inquinamento nell’atmosfera e nella falda acquifera nell’area industriale di Malagrotta-Valle Galeria».
La zona periferica della Capitale, dove si trova la discarica più grande d’Europa, un inceneritore per rifiuti ospedalieri anche pericolosi, un gassificatore Cdr, due impianti per il trattamento meccanico-biologico della spazzatura e una raffineria dell’Eni. I dati riportati nella tabella di cui parlavamo prima, risalgono al 2005. Prendono in considerazione le emissioni pro capite nell’area, dalle quali «emerge una situazione critica», con valori «nettamente superiori a quelli di riferimento nazionale per quasi per tutti gli inquinanti considerati». I livelli di inquinamento dell’area in questione (appena 10 chilometri quadri), sono comparabili a quelli dell’intera città di Taranto. Superano infatti anche quelli di città come Venezia, Genova, Brindisi, Livorno e Brescia. Perché a Malagrotta c’è «una diffusa contaminazione da metalli e composti organici: il mercurio è presente in tutte le matrici ambientali analizzate».
Per non parlare dei «possibili effetti di miscelamento tra le acque sotterranee e il percolato della discarica». In pratica l’invaso di Malagrotta starebbe portando in falda il suo micidiale carico di composti tossici: «Maggiormente diffusi sono metalli e metalloidi, quali arsenico, ferro, manganese e nichel, altre sostanze inorganiche quali il boro, e idrocarburi aromatici, principalmente benzene, composti clorurati cancerogeni, clorobenzeni, fenoli e idrocarburi». C’è poi la raffineria Eni che, a causa di «perdite accertate di idrocarburi dagli impianti», ha contaminato le acque con «concentrazioni particolarmente elevate». Tra la documentazione raccolta dai Verdi c’è una lettera, scritta lo scorso 7 luglio dal direttore generale del ministero dell’Ambiente, Marco Lupo, e indirizzata a tutti i soggetti pubblici e privati coinvolti.
«La missiva fa un sunto dei risultati dell’indagine ma non fa riferimento ad allegati», fa subito notare Nando Bonessio, presidente dei Verdi del Lazio. «Lo studio sembra quindi non essere stato inviato. Eppure i risultati sono chiari. La situazione è grave e impone stop e bonifica immediati». Il Sole che ride aveva portato in Consiglio regionale, nel dicembre 2010, un ordine del giorno che impegnava la giunta «a predisporre entro 6 mesi uno studio propedeutico finalizzato alla dichiarazione di area ad elevato rischio di crisi ambientale per l’area di Malagrotta». La richiesta è stata approvata dal Consiglio «ma non dalla giunta Polverini», ricorda Bonessio. «La dichiarazione è importante, perché renderebbe impossibile aggiungere qualsiasi altro impianto inquinante, compresa una discarica.
Malagrotta ha già dato, ora basta, bisogna tutelare la salute di decine di migliaia di cittadini». Per chiudere l’invaso e trovare siti alternativi, il Consiglio dei ministri ha nominato il prefetto Giuseppe Pecoraro commissario straordinario. «Gli hanno dato 45 giorni di tempo, ne sono già trascorsi una ventina. Chiediamo al commissario di tenere conto di questo studio, perché temiamo che qualcuno gli abbia prospettato che c’è una via breve per risolvere il problema rifiuti: costruire nuovi inceneritori e discariche. Una strada che rischia di provocare forti scontri sociali. Il commissario deve convincere le istituzioni a cambiare radicalmente la gestione dei rifiuti. Cosa che purtroppo non sta accadendo», conclude Bonessio.
lo scandalo della centrale a turbogas di Scandale - Crotone
AFFARE TURBOGAS STANGATA E FUGA ALL’ESTERO
Un giro da 80 milioni di euro attorno alla centrale elettrica di Crotone
Indagato l’ex amministratore delegato della banca Barclays Italia, De Stasio, per truffa e violenza
il fatto quotidiano 27 settembre 2011
di Antonio Massari
Un uomo da 32 milioni di euro. Un affare che potrebbe valerne novanta.
Dietro la perquisizione di Vittorio Maria de Stasio, ex amministratore delegato in Italia di Barclays Bank, c’è la morsa investigativa della procura di Crotone, che da tempo sta indagando sulla costruzione della centrale a Turbogas, costruita a Scandale, in Calabria, poi venduta al colosso spagnolo Endesa e alla Asm Brescia. De Stasio ha lasciato il suo posto in Barclays ad agosto: una decisione, presa dalla banca, piuttosto dura anche nei modi poiché, secondo le indiscrezioni, i vertici di Barclays gli avrebbero fatto trovare già pronti per il trasloco tutti gli effetti personali.
I pm Pierpaolo Bruni e Luisiana Di Vittorio hanno rintracciato i flussi di denaro verso De Stasio che, passando anche per il principato di Monaco, transitavano sul conto di Aldo Bonaldi. Parliamo dell’imprenditore che nel 2004 ottenne, dal ministero delle Attività produttive, l’autorizzazione per costruire la centrale.
Bonaldi è attualmente latitante all’estero: la procura di Crotone ha disposto il suo arresto a marzo e l’imprenditore non è mai rientrato in Italia.
I PM BRUNI e Di Vittorio hanno scoperto che il gruppo legato a Bonaldi – oltre ai 20 milioni di finanziamenti pubblici – ha usufruito, tra maggio 2007 e gennaio 2008, di finanziamenti per 12,5 milioni dalla Barclays bank. L’ex ad di Barclays bank, Vittorio de Stasio – indagato per truffa e associazione per delinquere – secondo l’accusa, avrebbe “impedito agli organismi deputati al controllo” la necessaria “verifica della reale consistenza patrimoniale e finanziaria delle società riconducibili a Bonaldi”.
Insomma, le due società di Bonaldi – la Italiana Commissionaria Legnami Spa e la Immobiltecno srl – hanno ottenuto il finanziamento senza controlli bancari.
Il rientro del finanziamento non s’è poi verificato, visto che la banca ha dovuto segnare l’operazione tra i crediti in sofferenza.
Se non bastasse, De Stasio è accusato anche di violenza e minacce con cui riusciva a evitare i controlli della banca sulle società di Bonaldi.
Il punto più interessante, però, è che le società dell’imprenditore latitante ottenevano, tra il 2005 e il 2006, 20 milioni di finanziamenti dalla banca Bibop Carire. Le società che intascavano i prestiti, anche questi mai restituiti, erano Eurosviluppo industriale e Consorzio Eurosviluppo, interessate e coinvolte nell’affare della centrale. La Bibop Carire, in quegli anni, era diretta proprio da De Stasio.
A CHIUDERE il cerchio investigativo, infine, la rogatoria che ha consentito alla procura di trovare, sul conto monegasco di Bonaldi, la traccia dei bonifici versati a De Stasio: 325mila euro tra il 2007 e il 2008. Strana coincidenza: i 325mila euro sono esattamente al 10 per cento dei 32,5 milioni concessi al gruppo Bonaldi dalle banche dirette da De Stasio. Un ulteriore significativo dettaglio che si inserisce nella sequenza che può riservare ancora molte sorprese.
Per comprendere l'intero affare, infatti, bisogna ricordare, come si legge negli atti del fascicolo, che “Bonaldi, in associazione al Baroni, al Carchivi, all’Argentini ed al Mercuri”, ha utilizzato un “contratto di Programma”come “strumento” per ottenere “l’autorizzazione unica alla costruzione della centrale da 800 MW in Scandale, unico vero business per lui”. E ancora: “Dopo il rilascio dell’autorizzazione, cede la società, per circa 40 milioni di Euro ... agli acquirenti Endesa e Asm Brescia”. E quindi: ai 20 milioni di finanziamenti pubblici, ai 20 milioni ottenuti dalla Bibop Carire (senza contare gli ulteriori 18 ottenuti da Barclays), si aggiungono i 40 della vendita della centrale. Un affare – nato dalla “semplice autorizzazione” a costruire – che vale dunque almeno 80 milioni di euro. E un’inchiesta che vede, tra gli indagati, Roberto Mercuri, oggi collaboratore del vicepresidente di Unicredit Fabrizio Palenzona di cui ora è anche cognato. Nel 2004 Mercuri, invece, risultava intimo amico del sottosegretario al ministero delle Attività produttive: Pino Galati, Udc. E proprio quel ministero nel 2004 dispose l'autorizzazione a costruire la centrale intorno a cui ruota l’inchiesta .
E nel febbraio 2004, ben prima dell'autorizzazione ministeriale, Mercuri chiede un fido alla Bipop Carire per acquistare il 36 per cento di una società, la Fin.ind.int, con sede in Lussemburgo,per poterla controllare al 100 per cento. La Fin.ind.int detiene il 66 per cento della Eurosviluppo industriale, cioé la società di Bonaldi: l’affare – almeno in apparenza – inizia a passare nelle mani di Mercuri. E la Bipop Carire nel 2004 era diretta De Stasio.
NELLA BIBOP Carire di Brescia, infine, Mercuri aveva una cassetta di sicurezza. De Stasio risulta in contatti con lui nel maggio 2005, pochi giorni prima che Mercuri venisse fermato, al valico di Brogeda, con ben 3,5 milioni di euro in contanti che stava portando in Lussemburgo.
Un giro da 80 milioni di euro attorno alla centrale elettrica di Crotone
Indagato l’ex amministratore delegato della banca Barclays Italia, De Stasio, per truffa e violenza
il fatto quotidiano 27 settembre 2011
di Antonio Massari
Un uomo da 32 milioni di euro. Un affare che potrebbe valerne novanta.
Dietro la perquisizione di Vittorio Maria de Stasio, ex amministratore delegato in Italia di Barclays Bank, c’è la morsa investigativa della procura di Crotone, che da tempo sta indagando sulla costruzione della centrale a Turbogas, costruita a Scandale, in Calabria, poi venduta al colosso spagnolo Endesa e alla Asm Brescia. De Stasio ha lasciato il suo posto in Barclays ad agosto: una decisione, presa dalla banca, piuttosto dura anche nei modi poiché, secondo le indiscrezioni, i vertici di Barclays gli avrebbero fatto trovare già pronti per il trasloco tutti gli effetti personali.
I pm Pierpaolo Bruni e Luisiana Di Vittorio hanno rintracciato i flussi di denaro verso De Stasio che, passando anche per il principato di Monaco, transitavano sul conto di Aldo Bonaldi. Parliamo dell’imprenditore che nel 2004 ottenne, dal ministero delle Attività produttive, l’autorizzazione per costruire la centrale.
Bonaldi è attualmente latitante all’estero: la procura di Crotone ha disposto il suo arresto a marzo e l’imprenditore non è mai rientrato in Italia.
I PM BRUNI e Di Vittorio hanno scoperto che il gruppo legato a Bonaldi – oltre ai 20 milioni di finanziamenti pubblici – ha usufruito, tra maggio 2007 e gennaio 2008, di finanziamenti per 12,5 milioni dalla Barclays bank. L’ex ad di Barclays bank, Vittorio de Stasio – indagato per truffa e associazione per delinquere – secondo l’accusa, avrebbe “impedito agli organismi deputati al controllo” la necessaria “verifica della reale consistenza patrimoniale e finanziaria delle società riconducibili a Bonaldi”.
Insomma, le due società di Bonaldi – la Italiana Commissionaria Legnami Spa e la Immobiltecno srl – hanno ottenuto il finanziamento senza controlli bancari.
Il rientro del finanziamento non s’è poi verificato, visto che la banca ha dovuto segnare l’operazione tra i crediti in sofferenza.
Se non bastasse, De Stasio è accusato anche di violenza e minacce con cui riusciva a evitare i controlli della banca sulle società di Bonaldi.
Il punto più interessante, però, è che le società dell’imprenditore latitante ottenevano, tra il 2005 e il 2006, 20 milioni di finanziamenti dalla banca Bibop Carire. Le società che intascavano i prestiti, anche questi mai restituiti, erano Eurosviluppo industriale e Consorzio Eurosviluppo, interessate e coinvolte nell’affare della centrale. La Bibop Carire, in quegli anni, era diretta proprio da De Stasio.
A CHIUDERE il cerchio investigativo, infine, la rogatoria che ha consentito alla procura di trovare, sul conto monegasco di Bonaldi, la traccia dei bonifici versati a De Stasio: 325mila euro tra il 2007 e il 2008. Strana coincidenza: i 325mila euro sono esattamente al 10 per cento dei 32,5 milioni concessi al gruppo Bonaldi dalle banche dirette da De Stasio. Un ulteriore significativo dettaglio che si inserisce nella sequenza che può riservare ancora molte sorprese.
Per comprendere l'intero affare, infatti, bisogna ricordare, come si legge negli atti del fascicolo, che “Bonaldi, in associazione al Baroni, al Carchivi, all’Argentini ed al Mercuri”, ha utilizzato un “contratto di Programma”come “strumento” per ottenere “l’autorizzazione unica alla costruzione della centrale da 800 MW in Scandale, unico vero business per lui”. E ancora: “Dopo il rilascio dell’autorizzazione, cede la società, per circa 40 milioni di Euro ... agli acquirenti Endesa e Asm Brescia”. E quindi: ai 20 milioni di finanziamenti pubblici, ai 20 milioni ottenuti dalla Bibop Carire (senza contare gli ulteriori 18 ottenuti da Barclays), si aggiungono i 40 della vendita della centrale. Un affare – nato dalla “semplice autorizzazione” a costruire – che vale dunque almeno 80 milioni di euro. E un’inchiesta che vede, tra gli indagati, Roberto Mercuri, oggi collaboratore del vicepresidente di Unicredit Fabrizio Palenzona di cui ora è anche cognato. Nel 2004 Mercuri, invece, risultava intimo amico del sottosegretario al ministero delle Attività produttive: Pino Galati, Udc. E proprio quel ministero nel 2004 dispose l'autorizzazione a costruire la centrale intorno a cui ruota l’inchiesta .
E nel febbraio 2004, ben prima dell'autorizzazione ministeriale, Mercuri chiede un fido alla Bipop Carire per acquistare il 36 per cento di una società, la Fin.ind.int, con sede in Lussemburgo,per poterla controllare al 100 per cento. La Fin.ind.int detiene il 66 per cento della Eurosviluppo industriale, cioé la società di Bonaldi: l’affare – almeno in apparenza – inizia a passare nelle mani di Mercuri. E la Bipop Carire nel 2004 era diretta De Stasio.
NELLA BIBOP Carire di Brescia, infine, Mercuri aveva una cassetta di sicurezza. De Stasio risulta in contatti con lui nel maggio 2005, pochi giorni prima che Mercuri venisse fermato, al valico di Brogeda, con ben 3,5 milioni di euro in contanti che stava portando in Lussemburgo.
Pontinia, Libera la legalità
http://www.youtube.com/watch?v=1wkdLj7JfDc&feature=player_embedded
il video dalla tv blog del Cantiere Creativo http://cantierecreativotvblog.blogspot.com/search/label/ambiente%20e%20territorio
il video dalla tv blog del Cantiere Creativo http://cantierecreativotvblog.blogspot.com/search/label/ambiente%20e%20territorio
Ventotene WWF assemblea soci Lazio
Quest'anno l'Assemblea Soci Lazio si svolgerà a Ventotene dal 30 settembre al 2 ottobre. L'obiettivo è quello di creare un momento di confronto e scambio con tutti i Soci del Lazio.
Per partecipare è necessario inviare la Scheda di partecipazione a lazio@wwf.it oppure via fax allo 0684497207 entro il 23 settembre.
PROGRAMMA (provvisorio)
VENERDI’ 30 SETTEMBRE
11.30 Arrivo e registrazione presentazione programma definitivo
13.00 Brunch (pasto leggero)
15.00 Saluti istituzionali
15.30 Workshop "Le piccole isole e la conservazione della biodiversità"
• Ruolo delle Aree protette
• Importanza delle isole mediterranee nella la conservazione internazionale
• Le Aree marine protette come fonte di restocking per la pesca
• Il Progetto Piccole Isole: 23 anni di inanellamento a Ventotene e nel Mediterraneo
• Isole e uccelli marini minacciati
18.30 Attività varie (sportive e culturali) in via di definizione- visita sito archeologico di Villa Giulia
20.30 Cena
SABATO 1 OTTOBRE
9.30 WWF LAZIO: presentazione delle attività e resoconto.
11.30 coffee break a
11.50 Ripresa dei lavori (naturalistiche culturali ) in via di definizione
13.30 Pranzo
15.00 Attività naturalistiche in via di definizione - inanellamento
17.00 attività varie (sportive e culturali) in via di definizione – visita presso il Museo della Migrazione e Cisterne
20.30 Cena in piazza
DOMENICA 2 OTTOBRE
9.30 Gita all ’isola S. Stefano e all’ex carcere
13.30 Buffet e saluti
15.00 o 16.30 Rientro
L'Assemblea WWF Lazio è stata realizzata con il patrocinio del comune di Ventotene e il contributo dell'Area Marina Protetta e Riserva Naturale Statale Isole di Ventotene e S.Stefano e dell'associazione AVIAP
Per partecipare è necessario inviare la Scheda di partecipazione a lazio@wwf.it oppure via fax allo 0684497207 entro il 23 settembre.
PROGRAMMA (provvisorio)
VENERDI’ 30 SETTEMBRE
11.30 Arrivo e registrazione presentazione programma definitivo
13.00 Brunch (pasto leggero)
15.00 Saluti istituzionali
15.30 Workshop "Le piccole isole e la conservazione della biodiversità"
• Ruolo delle Aree protette
• Importanza delle isole mediterranee nella la conservazione internazionale
• Le Aree marine protette come fonte di restocking per la pesca
• Il Progetto Piccole Isole: 23 anni di inanellamento a Ventotene e nel Mediterraneo
• Isole e uccelli marini minacciati
18.30 Attività varie (sportive e culturali) in via di definizione- visita sito archeologico di Villa Giulia
20.30 Cena
SABATO 1 OTTOBRE
9.30 WWF LAZIO: presentazione delle attività e resoconto.
11.30 coffee break a
11.50 Ripresa dei lavori (naturalistiche culturali ) in via di definizione
13.30 Pranzo
15.00 Attività naturalistiche in via di definizione - inanellamento
17.00 attività varie (sportive e culturali) in via di definizione – visita presso il Museo della Migrazione e Cisterne
20.30 Cena in piazza
DOMENICA 2 OTTOBRE
9.30 Gita all ’isola S. Stefano e all’ex carcere
13.30 Buffet e saluti
15.00 o 16.30 Rientro
L'Assemblea WWF Lazio è stata realizzata con il patrocinio del comune di Ventotene e il contributo dell'Area Marina Protetta e Riserva Naturale Statale Isole di Ventotene e S.Stefano e dell'associazione AVIAP
festival di giornalismo internazionale a Ferrara
Ciao Giorgio,
quest'anno anche Greenpeace parteciperà al Festival di Giornalismo organizzato dal settimanale "Internazionale" a Ferrara. Un weekend di incontri, dibattiti e documentari con grandi ospiti da tutto il mondo.
Venerdì 30 settembre alle 19.00 Giorgia Monti, campagna Mare Greenpeace Italia, e Ike Teuling, campagna Nucleare Greenpeace International, parteciperanno al dibattito "C'era una volta Fukushima. Tutto quello che dovreste sapere sulla catastrofe in Giappone".
Sabato 1 ottobre ore 18.30 ci sarà Kumi Naidoo, direttore di Greenpeace International, che racconterà la sua lunga storia di attivismo, nell'incontro "Rainbow Warrior. Dalla lotta all'apartheid alle battaglie per l'ambiente".
A seguire il concerto in piazza di world music di Amadou e Mariam e il dj set di Jovanotti.
Se ti interessano gli incontri, ma non puoi raggiungerci a Ferrara, potrai seguire la diretta streaming sul nostro sito, su Facebook e via Twitter (#Ferrara2011).
Grazie!
Greenpeace Italia
quest'anno anche Greenpeace parteciperà al Festival di Giornalismo organizzato dal settimanale "Internazionale" a Ferrara. Un weekend di incontri, dibattiti e documentari con grandi ospiti da tutto il mondo.
Venerdì 30 settembre alle 19.00 Giorgia Monti, campagna Mare Greenpeace Italia, e Ike Teuling, campagna Nucleare Greenpeace International, parteciperanno al dibattito "C'era una volta Fukushima. Tutto quello che dovreste sapere sulla catastrofe in Giappone".
Sabato 1 ottobre ore 18.30 ci sarà Kumi Naidoo, direttore di Greenpeace International, che racconterà la sua lunga storia di attivismo, nell'incontro "Rainbow Warrior. Dalla lotta all'apartheid alle battaglie per l'ambiente".
A seguire il concerto in piazza di world music di Amadou e Mariam e il dj set di Jovanotti.
Se ti interessano gli incontri, ma non puoi raggiungerci a Ferrara, potrai seguire la diretta streaming sul nostro sito, su Facebook e via Twitter (#Ferrara2011).
Grazie!
Greenpeace Italia
Sep impianto di compostaggio a Mazzocchio Pontinia, la storia
1. parte "Il settimanale di Latina" del 17 settembre 2011
Tra i problemi ambientali di Pontinia è riemerso periodicamente il problema dell'impianto di compostaggio realizzato nell'area industriale di Mazzocchio. Tale impianto secondo i cittadini, i diversi comitati locali (di Pontinia, ma anche di Sonnino e Priverno a poche centinaia di metri dalla zona industriale), le aziende della zona avrebbe provocato emissioni moleste. In altre parola la cosiddetta “puzza” che in certi periodi si è sentita anche a decine di km di distanza, nello stesso centro abitato di Pontinia. L'ultimo periodo ha visto la chiusura dell'impianto in seguito al sopralluogo del consigliere provinciale (residente a Cori) Nuglio, interessato da alcuni cittadini della zona. Nuglio è stato accompagnato da Eligio Tombolillo (che oltre a sindaco è anche consigliere provinciale) e sarebbero stati segnalati alcuni adeguamenti. L'ennesima chiusura temporanea ha registrato una forte presa di posizione dell'assessore comunale di Pontinia, Patrizia Sperlonga dichiarando che non avrebbe votato nessun altro documento in favore della società che gestisce l'impianto. Infatti, nonostante le diverse richieste, segnalazioni, denunce, anche chiusure deliberate dal comune di Pontinia, lo stesso vi conferisce (ad un prezzo notevolmente più basso rispetto a quello di mercato) la parte umida dei rifiuti. Conferire a Mazzocchio anziché ad altri centri analoghi della zona (tra Aprilia e Nettuno) consente un risparmio mensile di 3.000 €. Per comprendere l'irrisorietà del risparmio la raccolta differenziata a Pontinia ha raggiunto il 20% (1/3) rispetto ai limiti di legge risparmiando 100 mila euro, rispetto al conferimento in discarica. Quindi arrivando alla quota di legge Pontinia, anche conferendo altrove risparmierebbe l'anno oltre 250 mila euro, con la vecchia tariffa, oggi aumentata del 17% e di cui nessuno parla. I politici locali della destra hanno cercato di alimentare una polemica inutile sulle colpe dimenticando che l'impianto è stato autorizzato dalla Regione Lazio proprio quando era presidente Storace (fino al 2005) e sindaco Mochi (dal maggio 2003 al dicembre 2005). Quello che dispiace leggere sono le polemiche fine a sé stesse e non una proposta e un'analisi seria e costruttiva per la risoluzione del problema. Previsto da chi scrive, ancora una volta inascoltato, già dalla seconda metà degli anni '80. E gli stessi polemisti dimostrano di non conoscere, oltre alla tecnica, nemmeno le date. La richiesta di autorizzazione per l'impianto di compostaggio inizia nel 2002, mentre l'iter burocratico di autorizzazione (che dura 5 anni) si perfeziona nel periodo agosto 2003 – agosto 2004. La prima autorizzazione era del 18/08/2003, nonostante le prescrizioni ostative del comune di Pontinia (giunta di sinistra sindaco Tombolillo). La Regione imponeva il rispetto di 25 prescrizioni. Secondo la società proponente e il suo tecnico a tale prescrizioni si adempiva il 18/8/2004. L'azienda, senza alcun controllo, dichiarava l'inizio del trattamento per la produzione di compost il 13/01/2004. Sempre la stessa società dichiara di iniziare a produrre compost di qualità nei primi mesi del 2005.
2. parte "Il settimanale di Latina" del 24 settembre 2011
L'autorizzazione concessa all'impianto di compostaggio prevedeva il conferimento da parte di industrie agro alimentari (scarti di vegetali e materiale inutilizzabile), fanghi da aziende agricole, industrie di vario genere (legno, pannelli. Segatura, trucioli), iniziano a conferire i comuni di Ceccano, Pomezia, Gaeta, Sabaudia, Sermoneta, Sonnino, Alatri, Piglio con rifiuti solidi urbani organici, vari Enti (comunità montane, Fiuggi terme) sempre con rifiuti solidi urbani. L'attività anziché iniziare in apposito stabilimento o sito industriale realizzato con le caratteristiche specifiche veniva installato in una parte di un vecchio capannone industriale già della Pressati legno. Secondo gli accertamenti, sopratutto da parte dell'Arpa Lazio, nel periodo marzo 2005 – novembre 2007, individuavano alcune anomalie e mancato rispetto della prescrizioni tra l'altro di: ambiente lavorativo non coibentato, inattivazione del sistema di abbattimento di odori, inosservanza della prescritta gestione del sistema di scarico delle acque industriali, compost raccolto all'aperto senza la dovuta copertura, presenza di percolato all'interno e all'esterno dello stabilimento. In seguito a tali accertamenti dal settembre 2004 ai primi mesi del 2005 l'impianto non produceva compost. Una parte del compost sparso su un terreno della zona veniva accusato di emissioni maleodoranti. Nel mese di marzo 2005 arrivano le prime lamentele dei cittadini di Mazzocchio, cui seguiva la diffida del vice sindaco dell'epoca , il 12/05/2005, e del capo settore del comune di Pontinia a far cessare le emissioni maleodoranti con modalità e mezzi conformi alle leggi in materia. Il 19/05/2005 arriva l'ordinanza del sindaco di far cessare immediatamente e comunque entro 8 giorni, qualsiasi emissione in atmosfera di aeriformi maleodoranti. Il 27/5/2005 il consorzio per lo sviluppo industriale denunciava il gestore dell'impianto di compostaggio per uno scarico abusivo di liquami. Il 16/6/05 l'Arpa Lazio rilevava l'inadeguato abbattimento di odori, eccessive quantità di materiale stoccato, movimentazioni irregolari di materiale, mancanza del rispetto dei tempi di lavorazione, prodotto che non poteva essere definito ammendante, nemmeno compost di qualità. Il sindaco di Pontinia il 24/6/05 emetteva l'ordinanza di sospensione dell'attività produttiva. Il 18/7/05 in seguito ad autocertificazione degli adempimenti il sindaco revocava tale ordinanza. Il presidente della Regione Marrazzo chiedeva il 7/7/05 ulteriori verifiche all'impianto chiedendo al sindaco di valutare la revoca della seconda ordinanza (che revocava la 1.). A questo punto Marrazzo imponeva altre 8 prescrizioni. Il Sindaco di Pontinia chiedeva, dopo la lettera di Marrazzo, all'Arpa Lazio il monitoraggio delle esalazioni il 20/7/05 con un telefax urgente. Difatti all'urgenza dopo oltre 3 mesi, l'Arpa Lazio rispondeva che “la nostra struttura non esegue analisi e verifiche di odori molesti”. Il 12/12/05 alcuni cittadini presentavano ricorso al Tribunale contro l'impianto di compostaggio.
Tra i problemi ambientali di Pontinia è riemerso periodicamente il problema dell'impianto di compostaggio realizzato nell'area industriale di Mazzocchio. Tale impianto secondo i cittadini, i diversi comitati locali (di Pontinia, ma anche di Sonnino e Priverno a poche centinaia di metri dalla zona industriale), le aziende della zona avrebbe provocato emissioni moleste. In altre parola la cosiddetta “puzza” che in certi periodi si è sentita anche a decine di km di distanza, nello stesso centro abitato di Pontinia. L'ultimo periodo ha visto la chiusura dell'impianto in seguito al sopralluogo del consigliere provinciale (residente a Cori) Nuglio, interessato da alcuni cittadini della zona. Nuglio è stato accompagnato da Eligio Tombolillo (che oltre a sindaco è anche consigliere provinciale) e sarebbero stati segnalati alcuni adeguamenti. L'ennesima chiusura temporanea ha registrato una forte presa di posizione dell'assessore comunale di Pontinia, Patrizia Sperlonga dichiarando che non avrebbe votato nessun altro documento in favore della società che gestisce l'impianto. Infatti, nonostante le diverse richieste, segnalazioni, denunce, anche chiusure deliberate dal comune di Pontinia, lo stesso vi conferisce (ad un prezzo notevolmente più basso rispetto a quello di mercato) la parte umida dei rifiuti. Conferire a Mazzocchio anziché ad altri centri analoghi della zona (tra Aprilia e Nettuno) consente un risparmio mensile di 3.000 €. Per comprendere l'irrisorietà del risparmio la raccolta differenziata a Pontinia ha raggiunto il 20% (1/3) rispetto ai limiti di legge risparmiando 100 mila euro, rispetto al conferimento in discarica. Quindi arrivando alla quota di legge Pontinia, anche conferendo altrove risparmierebbe l'anno oltre 250 mila euro, con la vecchia tariffa, oggi aumentata del 17% e di cui nessuno parla. I politici locali della destra hanno cercato di alimentare una polemica inutile sulle colpe dimenticando che l'impianto è stato autorizzato dalla Regione Lazio proprio quando era presidente Storace (fino al 2005) e sindaco Mochi (dal maggio 2003 al dicembre 2005). Quello che dispiace leggere sono le polemiche fine a sé stesse e non una proposta e un'analisi seria e costruttiva per la risoluzione del problema. Previsto da chi scrive, ancora una volta inascoltato, già dalla seconda metà degli anni '80. E gli stessi polemisti dimostrano di non conoscere, oltre alla tecnica, nemmeno le date. La richiesta di autorizzazione per l'impianto di compostaggio inizia nel 2002, mentre l'iter burocratico di autorizzazione (che dura 5 anni) si perfeziona nel periodo agosto 2003 – agosto 2004. La prima autorizzazione era del 18/08/2003, nonostante le prescrizioni ostative del comune di Pontinia (giunta di sinistra sindaco Tombolillo). La Regione imponeva il rispetto di 25 prescrizioni. Secondo la società proponente e il suo tecnico a tale prescrizioni si adempiva il 18/8/2004. L'azienda, senza alcun controllo, dichiarava l'inizio del trattamento per la produzione di compost il 13/01/2004. Sempre la stessa società dichiara di iniziare a produrre compost di qualità nei primi mesi del 2005.
2. parte "Il settimanale di Latina" del 24 settembre 2011
L'autorizzazione concessa all'impianto di compostaggio prevedeva il conferimento da parte di industrie agro alimentari (scarti di vegetali e materiale inutilizzabile), fanghi da aziende agricole, industrie di vario genere (legno, pannelli. Segatura, trucioli), iniziano a conferire i comuni di Ceccano, Pomezia, Gaeta, Sabaudia, Sermoneta, Sonnino, Alatri, Piglio con rifiuti solidi urbani organici, vari Enti (comunità montane, Fiuggi terme) sempre con rifiuti solidi urbani. L'attività anziché iniziare in apposito stabilimento o sito industriale realizzato con le caratteristiche specifiche veniva installato in una parte di un vecchio capannone industriale già della Pressati legno. Secondo gli accertamenti, sopratutto da parte dell'Arpa Lazio, nel periodo marzo 2005 – novembre 2007, individuavano alcune anomalie e mancato rispetto della prescrizioni tra l'altro di: ambiente lavorativo non coibentato, inattivazione del sistema di abbattimento di odori, inosservanza della prescritta gestione del sistema di scarico delle acque industriali, compost raccolto all'aperto senza la dovuta copertura, presenza di percolato all'interno e all'esterno dello stabilimento. In seguito a tali accertamenti dal settembre 2004 ai primi mesi del 2005 l'impianto non produceva compost. Una parte del compost sparso su un terreno della zona veniva accusato di emissioni maleodoranti. Nel mese di marzo 2005 arrivano le prime lamentele dei cittadini di Mazzocchio, cui seguiva la diffida del vice sindaco dell'epoca , il 12/05/2005, e del capo settore del comune di Pontinia a far cessare le emissioni maleodoranti con modalità e mezzi conformi alle leggi in materia. Il 19/05/2005 arriva l'ordinanza del sindaco di far cessare immediatamente e comunque entro 8 giorni, qualsiasi emissione in atmosfera di aeriformi maleodoranti. Il 27/5/2005 il consorzio per lo sviluppo industriale denunciava il gestore dell'impianto di compostaggio per uno scarico abusivo di liquami. Il 16/6/05 l'Arpa Lazio rilevava l'inadeguato abbattimento di odori, eccessive quantità di materiale stoccato, movimentazioni irregolari di materiale, mancanza del rispetto dei tempi di lavorazione, prodotto che non poteva essere definito ammendante, nemmeno compost di qualità. Il sindaco di Pontinia il 24/6/05 emetteva l'ordinanza di sospensione dell'attività produttiva. Il 18/7/05 in seguito ad autocertificazione degli adempimenti il sindaco revocava tale ordinanza. Il presidente della Regione Marrazzo chiedeva il 7/7/05 ulteriori verifiche all'impianto chiedendo al sindaco di valutare la revoca della seconda ordinanza (che revocava la 1.). A questo punto Marrazzo imponeva altre 8 prescrizioni. Il Sindaco di Pontinia chiedeva, dopo la lettera di Marrazzo, all'Arpa Lazio il monitoraggio delle esalazioni il 20/7/05 con un telefax urgente. Difatti all'urgenza dopo oltre 3 mesi, l'Arpa Lazio rispondeva che “la nostra struttura non esegue analisi e verifiche di odori molesti”. Il 12/12/05 alcuni cittadini presentavano ricorso al Tribunale contro l'impianto di compostaggio.
Sabaudia, lago di Paola progetto di risanamento
Intenso scambio di informazioni in questi giorni tra Ente Parco e ARPA Lazio (Sezione di Latina) per cercare di comprendere in modo approfondito quale sia la situazione ambientale del Lago di Paola e degli altri laghi costieri alla luce della crisi di questi ultimi giorni con un’intensa moria di pesci, che pare superiore agli analoghi eventi degli anni scorsi nella stessa stagione.
L’ARPA ha infatti fornito all’Ente i propri dati relativi ai parametri chimico-fisici e al fitoplancton dei laghi di Fogliano e Monaci, che verranno utilizzati insieme agli altri monitoraggi degli anni scorsi per definire la pianificazione della gestione di questi corpi idrici nell’ambito del Piano del Parco.
L’Ente Parco invece ha trasmesso all’ARPA una serie di analisi relativa alle acque e al sedimento del Lago di Paola, svolte su propria committenza da una società specializzata tra il 2009 e il 2011: le indagini erano indirizzate a definire un quadro di riferimento conoscitivo aggiornato della situazione ambientale del Lago ai fini della pianificazione del Parco, ed in particolare allo sviluppo delle previsioni del Piano che – come è noto – è in corso di elaborazione da parte dell’Ente. Tali informazioni potranno essere utili nell’ambito dei programmi di monitoraggio ex 2000/60/CE delle acque di transizione che sta portando avanti l’ARPA.
Sebbene tali analisi, svolte dalla Società Q&A di Roma, non abbiano una particolare utilità per definire le specifiche cause delle morie di questi giorni, da esse sono emersi una serie di campanelli di allarme rispetto a possibili fonti di inquinamento di vario genere presenti attualmente o nel recente passato.
Mentre le acque non presentano concentrazioni di sostanze inquinanti tra quelle considerate (metalli pesanti, solventi organici aromatici, alifatici clorurati cancerogeni, pesticidi, DDD, DDT, DDE, antiparassitari del ciclodiene), lo studio invece conclude che “la concentrazione elevata di enterococchi indica che il lago probabilmente riceve ancora acque reflue domestiche”. Inoltre certamente significativa e da tenere sotto controllo la rilevazione di metalli (Cromo, Nichel e Piombo) nei sedimenti, certamente dovuta alle attività industriali ed artigianali pregresse, che superano in modo significativo i valori degli standard di qualità stabiliti dal D.N. n. 260 del 08/11/2010, nonché il superamento di standard di qualità in alcuni punti del lago (quelli campionati sono cinque) per gli idrocarburi policiclici armatici (provenienti in genere dalla combustione incompleta di combustibili fossili o altre sostanze organiche). E’ da precisare che la presenza di queste sostanze presenti nei sedimenti, cioè depositate in alcuni tratti sul fondo del lago, non può essere messa in relazione con le morie dei pesci di questi giorni.
Le indagini con la sonda multiparametrica nella colonna d’acqua hanno confermato la presenza di ampie aree con frequenti condizioni di anossia sul fondo del Lago, che probabilmente sono proprio la causa della crisi di questi giorni, tipica della fine dell’estate, ma aggravata dalle attuali condizioni di temperatura e meteo. Significativi anche i primi riscontri sulla presenza di ossigeno da cui risulta l’estrema criticità del Lago di Paola nelle zone prossime al Ponte di Sabaudia (meno di un quarto di ossigeno rispetto alla condizione ottimale) e la problematicità della zona di Caterattino (poco più di un terzo dei valori ottimali); migliore la situazione in prossimità del Canale Romano (oltre la metà di ossigeno rispetto le condizioni ottimali).
“L’emergenza di questi giorni sprona tutti gli enti coinvolti, in collaborazione tra di loro, a definire un progetto generale di gestione e risanamento del Lago di Paola su basi di sostenibilità ambientale” ha dichiarato il Presidente dell’Ente Parco, Gaetano Benedetto.
“Solo un’azione coordinata e di medio-lungo termine, che può trovare nel Piano del Parco il proprio inquadramento strategico, è in grado di dare una soluzione ad un problema così complesso e di questa scala. A Tal fine dovranno essere effettuate ulteriori azioni per verificare l’esistenza di eventuali punti di scarico illegali, e poi sia attività di monitoraggio e prevenzione, sia di gestione idrica del sistema con particolar riguardo ad un’analisi della funzionalità dei canali di sbocco al mare. ” conclude il Presidente dell’area protetta.
www.dimmidipiu.it
L’ARPA ha infatti fornito all’Ente i propri dati relativi ai parametri chimico-fisici e al fitoplancton dei laghi di Fogliano e Monaci, che verranno utilizzati insieme agli altri monitoraggi degli anni scorsi per definire la pianificazione della gestione di questi corpi idrici nell’ambito del Piano del Parco.
L’Ente Parco invece ha trasmesso all’ARPA una serie di analisi relativa alle acque e al sedimento del Lago di Paola, svolte su propria committenza da una società specializzata tra il 2009 e il 2011: le indagini erano indirizzate a definire un quadro di riferimento conoscitivo aggiornato della situazione ambientale del Lago ai fini della pianificazione del Parco, ed in particolare allo sviluppo delle previsioni del Piano che – come è noto – è in corso di elaborazione da parte dell’Ente. Tali informazioni potranno essere utili nell’ambito dei programmi di monitoraggio ex 2000/60/CE delle acque di transizione che sta portando avanti l’ARPA.
Sebbene tali analisi, svolte dalla Società Q&A di Roma, non abbiano una particolare utilità per definire le specifiche cause delle morie di questi giorni, da esse sono emersi una serie di campanelli di allarme rispetto a possibili fonti di inquinamento di vario genere presenti attualmente o nel recente passato.
Mentre le acque non presentano concentrazioni di sostanze inquinanti tra quelle considerate (metalli pesanti, solventi organici aromatici, alifatici clorurati cancerogeni, pesticidi, DDD, DDT, DDE, antiparassitari del ciclodiene), lo studio invece conclude che “la concentrazione elevata di enterococchi indica che il lago probabilmente riceve ancora acque reflue domestiche”. Inoltre certamente significativa e da tenere sotto controllo la rilevazione di metalli (Cromo, Nichel e Piombo) nei sedimenti, certamente dovuta alle attività industriali ed artigianali pregresse, che superano in modo significativo i valori degli standard di qualità stabiliti dal D.N. n. 260 del 08/11/2010, nonché il superamento di standard di qualità in alcuni punti del lago (quelli campionati sono cinque) per gli idrocarburi policiclici armatici (provenienti in genere dalla combustione incompleta di combustibili fossili o altre sostanze organiche). E’ da precisare che la presenza di queste sostanze presenti nei sedimenti, cioè depositate in alcuni tratti sul fondo del lago, non può essere messa in relazione con le morie dei pesci di questi giorni.
Le indagini con la sonda multiparametrica nella colonna d’acqua hanno confermato la presenza di ampie aree con frequenti condizioni di anossia sul fondo del Lago, che probabilmente sono proprio la causa della crisi di questi giorni, tipica della fine dell’estate, ma aggravata dalle attuali condizioni di temperatura e meteo. Significativi anche i primi riscontri sulla presenza di ossigeno da cui risulta l’estrema criticità del Lago di Paola nelle zone prossime al Ponte di Sabaudia (meno di un quarto di ossigeno rispetto alla condizione ottimale) e la problematicità della zona di Caterattino (poco più di un terzo dei valori ottimali); migliore la situazione in prossimità del Canale Romano (oltre la metà di ossigeno rispetto le condizioni ottimali).
“L’emergenza di questi giorni sprona tutti gli enti coinvolti, in collaborazione tra di loro, a definire un progetto generale di gestione e risanamento del Lago di Paola su basi di sostenibilità ambientale” ha dichiarato il Presidente dell’Ente Parco, Gaetano Benedetto.
“Solo un’azione coordinata e di medio-lungo termine, che può trovare nel Piano del Parco il proprio inquadramento strategico, è in grado di dare una soluzione ad un problema così complesso e di questa scala. A Tal fine dovranno essere effettuate ulteriori azioni per verificare l’esistenza di eventuali punti di scarico illegali, e poi sia attività di monitoraggio e prevenzione, sia di gestione idrica del sistema con particolar riguardo ad un’analisi della funzionalità dei canali di sbocco al mare. ” conclude il Presidente dell’area protetta.
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acqua pubblica e referendum a Napoli torna la gestione pubblica
A Napoli l’acqua ritorna “bene comune”
La Arin spa diventa il consorzio pubblico Abc La città del sindaco De Magistris rivendica il primato nell'attuazione del referendum di giugno, che il governo Berlusconi vorrebbe disattendere. Gli utili del servizio idrico saranno reinvestiti e le tariffe saranno adattate al reddito degli utenti. E il Comune spingerà a bere dal rubinetto invece che dalla bottigliaMentre il governo Berlusconi prova a vanificare l’esito referendario, e le parole del ministro Maurizio Sacconi ne sono una riprova, la città di Napoli si adegua alla volontà popolare e ripubblicizza la società di gestione dell’acqua. L’assessore ai Beni comuni Alberto Lucarelli, già protagonista della battaglia referendaria, rimarca il primato: “Siamo la prima amministrazione in Italia che rende attiva la volontà cittadina che si è espressa col referendum del giugno scorso”.
La giunta De Magistris ha approvato una delibera che trasforma l’Arin, società di gestione delle risorse idriche in Abc, “Acqua bene comune”. Una trasformazione sostanziale, oltre che nominativa: si passa da una spa a un’azienda speciale di diritto pubblico, come prevede lo statuto approvato, frutto di tre mesi di consultazioni con esperti dei vari settori, con mondo accademico e movimenti.
“Non ci sono costi aggiuntivi in questa operazione – spiega Riccardo Realfonzo, assessore al Bilancio del comune di Napoli – ma cambia per intero la filosofia di gestione. Si passa da una logica utilitaristica a un’altra che ha la finalità del pareggio di bilancio. Gli utili andranno in investimenti, le tariffe saranno modulate su criteri di reddito e livelli di consumo, garantendo un quantitativo minimo giornaliero alle famiglie meno abbienti”. L’Arin ha una situazione finanziaria solida, ha chiuso con un utile di 4 milioni di euro, anche se vanta crediti con diversi comuni dell’area napoletana, indebitati per decine di milioni di euro con la futura Abc.
Un altro cambiamento si avrà nella gestione: il nuovo consiglio di amministrazione sarà composto da cinque persone, tre tecnici e due esponenti dei movimenti ambientalisti. La delibera, che ora dovrà passare il vaglio del consiglio comunale, prevede la costituzione di un comitato di sorveglianza composto da rappresentati degli utenti e dagli stessi lavoratori. “Dovremo accompagnare tutto questo a una campagna di sensibilizzazione sulla qualità dell’acqua ‘del sindaco’ – continua Realfonzo - migliore di quella in bottiglia e più economica”.
Aumenteranno anche le fontane in città dove poter bere l’acqua, con il risparmio per i cittadini, ma anche per l’ambiente, visto il grado di impatto della classica ‘bottiglina’. Ma il governo non arretra, l’articolo 4 contenuto nell’ultima manovra approvata apre nuovamente le porte ai privati nelle società comunali che gestiscono servizi pubblici: “Abbiamo analizzato quell’articolo della manovra – conclude Realfonzo – e siamo contrari a questa linea governativa. Vogliamo che Napoli diventi un laboratorio anche di un’altra economia. In tempi come questi, le privatizzazioni hanno evidenziato il loro fallimento, sono solo occasioni di profitto che si accompagnano, soprattutto nel Mezzogiorno, a sprechi, esternalizzazioni, e spoliazioni dei centri di controllo”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/26/a-napoli-lacqua-ritorna-bene-comune-la-irin-spa-diventa-il-consorzio-pubblico-abc/160101/
La Arin spa diventa il consorzio pubblico Abc La città del sindaco De Magistris rivendica il primato nell'attuazione del referendum di giugno, che il governo Berlusconi vorrebbe disattendere. Gli utili del servizio idrico saranno reinvestiti e le tariffe saranno adattate al reddito degli utenti. E il Comune spingerà a bere dal rubinetto invece che dalla bottigliaMentre il governo Berlusconi prova a vanificare l’esito referendario, e le parole del ministro Maurizio Sacconi ne sono una riprova, la città di Napoli si adegua alla volontà popolare e ripubblicizza la società di gestione dell’acqua. L’assessore ai Beni comuni Alberto Lucarelli, già protagonista della battaglia referendaria, rimarca il primato: “Siamo la prima amministrazione in Italia che rende attiva la volontà cittadina che si è espressa col referendum del giugno scorso”.
La giunta De Magistris ha approvato una delibera che trasforma l’Arin, società di gestione delle risorse idriche in Abc, “Acqua bene comune”. Una trasformazione sostanziale, oltre che nominativa: si passa da una spa a un’azienda speciale di diritto pubblico, come prevede lo statuto approvato, frutto di tre mesi di consultazioni con esperti dei vari settori, con mondo accademico e movimenti.
“Non ci sono costi aggiuntivi in questa operazione – spiega Riccardo Realfonzo, assessore al Bilancio del comune di Napoli – ma cambia per intero la filosofia di gestione. Si passa da una logica utilitaristica a un’altra che ha la finalità del pareggio di bilancio. Gli utili andranno in investimenti, le tariffe saranno modulate su criteri di reddito e livelli di consumo, garantendo un quantitativo minimo giornaliero alle famiglie meno abbienti”. L’Arin ha una situazione finanziaria solida, ha chiuso con un utile di 4 milioni di euro, anche se vanta crediti con diversi comuni dell’area napoletana, indebitati per decine di milioni di euro con la futura Abc.
Un altro cambiamento si avrà nella gestione: il nuovo consiglio di amministrazione sarà composto da cinque persone, tre tecnici e due esponenti dei movimenti ambientalisti. La delibera, che ora dovrà passare il vaglio del consiglio comunale, prevede la costituzione di un comitato di sorveglianza composto da rappresentati degli utenti e dagli stessi lavoratori. “Dovremo accompagnare tutto questo a una campagna di sensibilizzazione sulla qualità dell’acqua ‘del sindaco’ – continua Realfonzo - migliore di quella in bottiglia e più economica”.
Aumenteranno anche le fontane in città dove poter bere l’acqua, con il risparmio per i cittadini, ma anche per l’ambiente, visto il grado di impatto della classica ‘bottiglina’. Ma il governo non arretra, l’articolo 4 contenuto nell’ultima manovra approvata apre nuovamente le porte ai privati nelle società comunali che gestiscono servizi pubblici: “Abbiamo analizzato quell’articolo della manovra – conclude Realfonzo – e siamo contrari a questa linea governativa. Vogliamo che Napoli diventi un laboratorio anche di un’altra economia. In tempi come questi, le privatizzazioni hanno evidenziato il loro fallimento, sono solo occasioni di profitto che si accompagnano, soprattutto nel Mezzogiorno, a sprechi, esternalizzazioni, e spoliazioni dei centri di controllo”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/26/a-napoli-lacqua-ritorna-bene-comune-la-irin-spa-diventa-il-consorzio-pubblico-abc/160101/
contro la devastante autostrada in Amazzonia
Bolivia, l’autostrada amazzonica
mina il consenso di Morales La polizia ha interrotto in maniera violenta una marcia pacifica contro la costruzione della mega-opera. Sullo sfondo della protesta emergono le divisioni sempre più profonde fra il presidente e le comunità indigene che furono essenziali per la sua elezioneChe il progetto della nuova autostrada amazzonica sarebbe diventato una rogna per il presidente boliviano Evo Morales lo si era capito a Manaus, Brasile, a metà agosto. Lì, durante il vertice internazionale dei popoli indigeni del bacino amazzonico Nelly Romero, leader Guaranì della Cidob, la federazione dei popoli indigeni dell’Amazzonia boliviana, aveva tenuto un discorso molto duro contro Morales, primo presidente indigeno della storia latinoamericana, accusandolo di aver tradito l’ispirazione originaria del suo governo e anche la fiducia dei movimenti indigeni boliviani, che tanto si erano mobilitati per la sua vittoria elettorale.
Il progetto contestato dai guaranì e dagli altri popoli dell’Amazzonia boliviana (l’oriente del paese, quasi un terzo della superficie totale) è quello del ramo boliviano del futuro collegamento autostradale che da Manaus, in Brasile, dovrebbe arrivare fino a Manta, porto ecuadoriano sul Pacifico. Un pezzo del tratto boliviano, quello che va dalla città di Cochabamba, alle pendici dell’altopiano andino, fino alla città di San Ignacio de Moxos, in Amazzonia, dovrebbe attraversare l’area del Territorio indigeno e parco naturale Isiboro Sécure (Tipnis), una zona dove vivono 16 comunità indigene, per un totale di circa 50 mila persone. Da queste comunità è partita la protesta contro il governo, accusato di perseguire una politica favorevole alle industrie minerarie e alle grandi opere che contrasta con i principi di difesa della Pachamama (la Madre terra) sanciti anche nella nuova costituzione boliviana, approvata con un referendum promosso dal governo a febbraio del 2009. L’intero progetto, peraltro, viene finanziato dal Brasile e realizzato da un’azienda brasiliana.
La protesta ha assunto la forma di una marcia pacifica, partita poco dopo metà agosto dalla città di Trinidad, capoluogo del dipartimento del Beni (nord est della Bolivia) e che avrebbe dovuto concludersi nella capitale La Paz, 500 chilometri dopo. Ieri, però, a 250 chilometri dall’arrivo, la marcia è stata interrotta dalla polizia in tenuta antisommossa. La polizia ha intercettato la colonna di manifestanti nella cittadina di Yucumo, a nordest di La Paz. La motivazione ufficiale che ha spinto il governo a schierare i reparti antisommossa è che a Yucumo alcune centinaia di persone favorevoli al progetto di autostrada avevano bloccato con una barricata la strada su cui procedevano gli indigeni amazzonici. La polizia avrebbe dovuto prevenire scontri tra i due gruppi, ma l’effetto immediato è stato che la marcia di protesta è stata interrotta. Secondo la stampa boliviana, negli scontri tra polizia e manifestanti ci sono stati alcuni feriti, ma non ci sono dati ufficiali in merito. Circa 500 poliziotti hanno attaccato, secondo il racconto di alcuni testimoni, l’accampamento provvisorio messo in piedi dai manifestanti che stavano per riprendere la marcia. Rolando Villena, difensore civico boliviano, ha criticato l’operazione avvenuta con un uso eccessivo della forza: “Ci sono stati bambini feriti e madri disperse. Questo non è l’aspetto che la democrazia dovrebbe avere”.
Due giorni fa era stato il ministro degli esteri boliviano, David Choquehuanca a cercare un incontro con i manifestanti. Choquehuanca, però, era stato brevemente “costretto” a fare un tratto di strada con i manifestanti e poi rapidamente rilasciato. “Vogliono risolvere la cosa con il dialogo”, aveva detto il ministro dopo aver lasciato il corteo. La strada, però, è già in costruzione e il governo Morales ha deciso di giocare un’altra carta per disinnescare una protesta imbarazzante. “Chiederemo ai cittadini del dipartimento di Cochabamba e del Beni che cosa ne pensano del progetto – ha detto domenica il presidente – Se diranno di sì, allora studieremo il miglior percorso possibile e con il minor impatto ambientale”. Il referendum, però, è un’arma a doppio taglio. Se da un lato, infatti, Morales può essere relativamente sicuro di vincere, soprattutto perché il dipartimento di Cochabamba – più favorevole al progetto e più filogovernativo – è molto più popoloso di quello del Beni, dall’altro la campagna referendaria farà emergere le divisioni ormai profonde tra il governo e una parte consistente dei movimenti indigeni, specialmente quelli che contestano a Morales di avere più a cuore gli interessi degli aymara e dei quechua, i due popoli principali dell’Altopiano, a cui il presidente appartiene e da cui trae la sua più importante base di consenso.
di Joseph Zarlingo
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/26/bolivia-lautostrada-amazzonicamina-il-consenso-di-morales/160123/
mina il consenso di Morales La polizia ha interrotto in maniera violenta una marcia pacifica contro la costruzione della mega-opera. Sullo sfondo della protesta emergono le divisioni sempre più profonde fra il presidente e le comunità indigene che furono essenziali per la sua elezioneChe il progetto della nuova autostrada amazzonica sarebbe diventato una rogna per il presidente boliviano Evo Morales lo si era capito a Manaus, Brasile, a metà agosto. Lì, durante il vertice internazionale dei popoli indigeni del bacino amazzonico Nelly Romero, leader Guaranì della Cidob, la federazione dei popoli indigeni dell’Amazzonia boliviana, aveva tenuto un discorso molto duro contro Morales, primo presidente indigeno della storia latinoamericana, accusandolo di aver tradito l’ispirazione originaria del suo governo e anche la fiducia dei movimenti indigeni boliviani, che tanto si erano mobilitati per la sua vittoria elettorale.
Il progetto contestato dai guaranì e dagli altri popoli dell’Amazzonia boliviana (l’oriente del paese, quasi un terzo della superficie totale) è quello del ramo boliviano del futuro collegamento autostradale che da Manaus, in Brasile, dovrebbe arrivare fino a Manta, porto ecuadoriano sul Pacifico. Un pezzo del tratto boliviano, quello che va dalla città di Cochabamba, alle pendici dell’altopiano andino, fino alla città di San Ignacio de Moxos, in Amazzonia, dovrebbe attraversare l’area del Territorio indigeno e parco naturale Isiboro Sécure (Tipnis), una zona dove vivono 16 comunità indigene, per un totale di circa 50 mila persone. Da queste comunità è partita la protesta contro il governo, accusato di perseguire una politica favorevole alle industrie minerarie e alle grandi opere che contrasta con i principi di difesa della Pachamama (la Madre terra) sanciti anche nella nuova costituzione boliviana, approvata con un referendum promosso dal governo a febbraio del 2009. L’intero progetto, peraltro, viene finanziato dal Brasile e realizzato da un’azienda brasiliana.
La protesta ha assunto la forma di una marcia pacifica, partita poco dopo metà agosto dalla città di Trinidad, capoluogo del dipartimento del Beni (nord est della Bolivia) e che avrebbe dovuto concludersi nella capitale La Paz, 500 chilometri dopo. Ieri, però, a 250 chilometri dall’arrivo, la marcia è stata interrotta dalla polizia in tenuta antisommossa. La polizia ha intercettato la colonna di manifestanti nella cittadina di Yucumo, a nordest di La Paz. La motivazione ufficiale che ha spinto il governo a schierare i reparti antisommossa è che a Yucumo alcune centinaia di persone favorevoli al progetto di autostrada avevano bloccato con una barricata la strada su cui procedevano gli indigeni amazzonici. La polizia avrebbe dovuto prevenire scontri tra i due gruppi, ma l’effetto immediato è stato che la marcia di protesta è stata interrotta. Secondo la stampa boliviana, negli scontri tra polizia e manifestanti ci sono stati alcuni feriti, ma non ci sono dati ufficiali in merito. Circa 500 poliziotti hanno attaccato, secondo il racconto di alcuni testimoni, l’accampamento provvisorio messo in piedi dai manifestanti che stavano per riprendere la marcia. Rolando Villena, difensore civico boliviano, ha criticato l’operazione avvenuta con un uso eccessivo della forza: “Ci sono stati bambini feriti e madri disperse. Questo non è l’aspetto che la democrazia dovrebbe avere”.
Due giorni fa era stato il ministro degli esteri boliviano, David Choquehuanca a cercare un incontro con i manifestanti. Choquehuanca, però, era stato brevemente “costretto” a fare un tratto di strada con i manifestanti e poi rapidamente rilasciato. “Vogliono risolvere la cosa con il dialogo”, aveva detto il ministro dopo aver lasciato il corteo. La strada, però, è già in costruzione e il governo Morales ha deciso di giocare un’altra carta per disinnescare una protesta imbarazzante. “Chiederemo ai cittadini del dipartimento di Cochabamba e del Beni che cosa ne pensano del progetto – ha detto domenica il presidente – Se diranno di sì, allora studieremo il miglior percorso possibile e con il minor impatto ambientale”. Il referendum, però, è un’arma a doppio taglio. Se da un lato, infatti, Morales può essere relativamente sicuro di vincere, soprattutto perché il dipartimento di Cochabamba – più favorevole al progetto e più filogovernativo – è molto più popoloso di quello del Beni, dall’altro la campagna referendaria farà emergere le divisioni ormai profonde tra il governo e una parte consistente dei movimenti indigeni, specialmente quelli che contestano a Morales di avere più a cuore gli interessi degli aymara e dei quechua, i due popoli principali dell’Altopiano, a cui il presidente appartiene e da cui trae la sua più importante base di consenso.
di Joseph Zarlingo
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/26/bolivia-lautostrada-amazzonicamina-il-consenso-di-morales/160123/
Marea nera nel golfo del Messico, colpa della Bp
Marea Nera: per il Dipartimento degli Interni americano, Bp è responsabile del disastro Dopo quasi 17 mesi di indagine, l’agenzia governativa non ha più dubbi: per tagliare costi e tempi a causa di un buco milionario nel budget, Bp era consapevole dei rischi che portarono al più grave disastro petrolifero della storiaL'incendio della piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico il 21 aprile 2010 Le società petrolifere Bp, Transocean e Halliburton sono responsabili dell’incidente del 20 aprile 2010 presso la piattaforma Deepwater Horizon, in cui persero la vita 11 uomini ed altri 16 rimasero feriti. Un’esplosione che, per i successivi 87 giorni, portò quasi 5 milioni di barili di petrolio a riversarsi nelle acque del Golfo del Messico. A stabilirlo è il rapporto finale del Bureau of Ocean Energy Management, Regulation and Enforcement (Boemre), agenzia facente capo al Dipartimento degli Interni del governo Usa, per cui le tre società “hanno violato diverse leggi federali sulla sicurezza offshore”.
Dopo quasi 17 mesi di indagine, dunque, l’agenzia governativa non ha più dubbi: per tagliare costi e tempi a causa di un buco nel budget di alcune decine di milioni di dollari, Bp prese consapevolmente i rischi che portarono al più grave disastro petrolifero della storia. Le accuse sono gravissime: impreparazione, negligenza ed avidità, legate tanto al desiderio dei dirigenti di risparmiare sui costi quanto all’imprudenza di alcuni tecnici. “Se i lavoratori fossero stati maggiormente vigili – si legge nel rapporto – la portata del disastro sarebbe stata inferiore”.
La causa principale dell’esplosione sarebbe da attribuire al cedimento di una barriera di cemento nel pozzo Macondo, diretta conseguenza di “una cattiva gestione dei rischi e a cambiamenti dei piani all’ultimo minuto”. I motivi restano ignoti, ma gli investigatori federali sono perentori: “Pur sapendo di questo difetto nel rivestimento di cemento, Bp non ne ha fissato di aggiuntivo, né ha applicato barriere meccaniche nel pozzo”. Nelle 217 pagine del rapporto, che ripercorrono quanto accadde quel tragico 20 aprile, si legge che “la perdita di vite nel sito Macondo il 20 aprile 2010 e il conseguente inquinamento del Golfo del Messico durante l’estate del 2010” sono stati il risultato, oltre che della “pessima gestione del rischio”, anche “delle inosservanze nel controllo degli indicatori critici, dell’inadeguato controllo dei pozzi e dell’insufficiente formazione di risposta alle emergenze”.
Il colosso britannico è ritenuto il principale responsabile dell’accaduto, in quanto operatore preposto al controllo di tutte le attività svolte presso la piattaforma, inclusi il corretto funzionamento della strumentazione e la tutela dell’ambiente. Ma è colpevole anche Transocean, proprietaria della Deepwater Horizon, che ha mostrato enormi lacune soprattutto nella gestione della sicurezza del personale. La società appaltatrice Halliburton, contractor della Bp, è invece ritenuta responsabile dei problemi legati ai lavori di cementazione e del fallimento di alcune attività di monitoraggio condotte da una sua controllata, la Sperry Sun.
Bp ha già destinato più di 40 miliardi di dollari in risarcimenti, opere di compensazione e di restauro. Una cifra che, se sommata alle denunce ricevute dalle centinaia di persone colpite o rovinate dalla “marea nera”, rappresenta solo una parte delle spese che la multinazionale dovrà ancora affrontare. Soprattutto ora che anche il governo di Washington, spesso complice della compagnia petrolifera nel minimizzare gli effetti dell’incidente, non ha più dubbi sul fatto che sia essa la principale responsabile dell’accaduto. Da parte sua, attraverso le parole del portavoce Scott Dean, Bp fa sapere che “riconosce il suo ruolo nell’incidente, e sta portando avanti iniziative concrete per aumentare la sicurezza”. Ma ora si attende febbraio, quando grazie ad una class action avviata da singoli cittadini e dagli Stati bagnati dalle acque del Golfo, costituitisi parte civile, si terrà il processo legale contro le tre compagnie. Un fatto che, come afferma David M. Uhlmann, ex capo del Dipartimento di Giustizia ambientale, molto probabilmente porterà Bp, Halliburton e Transocean a “sostenere accuse penali rilevanti, oltre che dover rimborsare somme ingenti legate ai danni creati”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/27/marea-nera-per-il-dipartimento-degli-interni-americano-bp-e-responsabile-del-disastro/160257/
Dopo quasi 17 mesi di indagine, dunque, l’agenzia governativa non ha più dubbi: per tagliare costi e tempi a causa di un buco nel budget di alcune decine di milioni di dollari, Bp prese consapevolmente i rischi che portarono al più grave disastro petrolifero della storia. Le accuse sono gravissime: impreparazione, negligenza ed avidità, legate tanto al desiderio dei dirigenti di risparmiare sui costi quanto all’imprudenza di alcuni tecnici. “Se i lavoratori fossero stati maggiormente vigili – si legge nel rapporto – la portata del disastro sarebbe stata inferiore”.
La causa principale dell’esplosione sarebbe da attribuire al cedimento di una barriera di cemento nel pozzo Macondo, diretta conseguenza di “una cattiva gestione dei rischi e a cambiamenti dei piani all’ultimo minuto”. I motivi restano ignoti, ma gli investigatori federali sono perentori: “Pur sapendo di questo difetto nel rivestimento di cemento, Bp non ne ha fissato di aggiuntivo, né ha applicato barriere meccaniche nel pozzo”. Nelle 217 pagine del rapporto, che ripercorrono quanto accadde quel tragico 20 aprile, si legge che “la perdita di vite nel sito Macondo il 20 aprile 2010 e il conseguente inquinamento del Golfo del Messico durante l’estate del 2010” sono stati il risultato, oltre che della “pessima gestione del rischio”, anche “delle inosservanze nel controllo degli indicatori critici, dell’inadeguato controllo dei pozzi e dell’insufficiente formazione di risposta alle emergenze”.
Il colosso britannico è ritenuto il principale responsabile dell’accaduto, in quanto operatore preposto al controllo di tutte le attività svolte presso la piattaforma, inclusi il corretto funzionamento della strumentazione e la tutela dell’ambiente. Ma è colpevole anche Transocean, proprietaria della Deepwater Horizon, che ha mostrato enormi lacune soprattutto nella gestione della sicurezza del personale. La società appaltatrice Halliburton, contractor della Bp, è invece ritenuta responsabile dei problemi legati ai lavori di cementazione e del fallimento di alcune attività di monitoraggio condotte da una sua controllata, la Sperry Sun.
Bp ha già destinato più di 40 miliardi di dollari in risarcimenti, opere di compensazione e di restauro. Una cifra che, se sommata alle denunce ricevute dalle centinaia di persone colpite o rovinate dalla “marea nera”, rappresenta solo una parte delle spese che la multinazionale dovrà ancora affrontare. Soprattutto ora che anche il governo di Washington, spesso complice della compagnia petrolifera nel minimizzare gli effetti dell’incidente, non ha più dubbi sul fatto che sia essa la principale responsabile dell’accaduto. Da parte sua, attraverso le parole del portavoce Scott Dean, Bp fa sapere che “riconosce il suo ruolo nell’incidente, e sta portando avanti iniziative concrete per aumentare la sicurezza”. Ma ora si attende febbraio, quando grazie ad una class action avviata da singoli cittadini e dagli Stati bagnati dalle acque del Golfo, costituitisi parte civile, si terrà il processo legale contro le tre compagnie. Un fatto che, come afferma David M. Uhlmann, ex capo del Dipartimento di Giustizia ambientale, molto probabilmente porterà Bp, Halliburton e Transocean a “sostenere accuse penali rilevanti, oltre che dover rimborsare somme ingenti legate ai danni creati”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/27/marea-nera-per-il-dipartimento-degli-interni-americano-bp-e-responsabile-del-disastro/160257/
lunedì 26 settembre 2011
Mai più Malagrotta, domani in nome del popolo inquinato
Domani, martedì 27 ore 12.50 piazza Oderico da Pordenone presso giunta regione Lazio via C.Colombo, manifestazione contro l'inquinamento di Malagrotta in nome del popolo inquinato. Mai più Malagrotta. Saranno presenti i verdi con il presente nazionale Angelo Bonelli. Sarà consegnato alla presidente Polverini un documento shock sui livelli di inquinamento.
in memoria di Wangari Maathai "abbracciamo gli alberi"
È impossibile rimanere immobili…
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Quando stamattina ho letto sul giornale che Wangari Maathai era morta, ho sentito una stretta al cuore. Se potessi tornare indietro nel tempo, a quand’ero bambina, alla domanda “cosa vuoi fare da grande?” risponderei: “Avere il coraggio, la forza e lo sguardo di Wangari Maathai”.
Ho sentito parlare di lei per la prima volta in un articolo che mia madre, con insistenza, mi consigliava di leggere. Wangari Maathai è diventata, nel mio immaginario, l’eroina perfetta. La prima donna laureata dell’intero continente africano, per tutta la sua vita ha sostenuto che “è impossibile rimanere immobili quando dentro di te sai cosa è necessario fare”.
Nel bellissimo saggio di Giuseppe Barbera “Abbracciare gli alberi” (Mondadori, 2009) l’autore scrive “Milioni di anni fa siamo scesi dagli alberi e da allora passiamo gran parte del nostro tempo a tagliarli o bruciarli…”. Wangari no…lei ha fatto quello che era necessario fare: piantare milioni di alberi autoctoni insieme a centinaia di donne del “Green Belt Movement” per opporsi alla distruzione delle risorse forestali, combattere la povertà e ridare dignità alle donne nelle aree rurali del suo paese.
Lei e le sue compagne sono state ripetutamente picchiate, arrestate, minacciate e mortificate dal regime kenyota di Moi per tantissimi anni. La sua determinazione e il suo coraggio l’hanno fatta diventare una delle donne più ammirate dell’intero continente africano e un premio Nobel per la pace nel 2004.
Fate un piccolo sforzo. Provate a guardare Wangari, alla sua vita! Con me ha funzionato…e non riesco più a rimanere immobile.
Chiara Campione, responsabile campagna Foreste
http://www.greenpeace.org/italy/it/News1/blog/impossibile-rimanere-immobili/blog/37034/
video
http://www.ansa.it/web/notizie/videogallery/mondo/2011/09/26/visualizza_new.html_698398576.html?what=&from=18&nentries=18
altro video
http://tv.repubblica.it/mondo/addio-a-wangari-maathai-nel-2004-nobel-per-la-pace/76778?video
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Quando stamattina ho letto sul giornale che Wangari Maathai era morta, ho sentito una stretta al cuore. Se potessi tornare indietro nel tempo, a quand’ero bambina, alla domanda “cosa vuoi fare da grande?” risponderei: “Avere il coraggio, la forza e lo sguardo di Wangari Maathai”.
Ho sentito parlare di lei per la prima volta in un articolo che mia madre, con insistenza, mi consigliava di leggere. Wangari Maathai è diventata, nel mio immaginario, l’eroina perfetta. La prima donna laureata dell’intero continente africano, per tutta la sua vita ha sostenuto che “è impossibile rimanere immobili quando dentro di te sai cosa è necessario fare”.
Nel bellissimo saggio di Giuseppe Barbera “Abbracciare gli alberi” (Mondadori, 2009) l’autore scrive “Milioni di anni fa siamo scesi dagli alberi e da allora passiamo gran parte del nostro tempo a tagliarli o bruciarli…”. Wangari no…lei ha fatto quello che era necessario fare: piantare milioni di alberi autoctoni insieme a centinaia di donne del “Green Belt Movement” per opporsi alla distruzione delle risorse forestali, combattere la povertà e ridare dignità alle donne nelle aree rurali del suo paese.
Lei e le sue compagne sono state ripetutamente picchiate, arrestate, minacciate e mortificate dal regime kenyota di Moi per tantissimi anni. La sua determinazione e il suo coraggio l’hanno fatta diventare una delle donne più ammirate dell’intero continente africano e un premio Nobel per la pace nel 2004.
Fate un piccolo sforzo. Provate a guardare Wangari, alla sua vita! Con me ha funzionato…e non riesco più a rimanere immobile.
Chiara Campione, responsabile campagna Foreste
http://www.greenpeace.org/italy/it/News1/blog/impossibile-rimanere-immobili/blog/37034/
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ipotesi di sottoscrizione per Tombolillo sindaco
Pontinia non riesce a liberarsi del modo di fare politica di qualcuno che, non riuscendo a vincere le elezioni democraticamente, tenta la via giudiziaria. Diversi sono stati i casi a livello nazionale, dagli arresti della commissione urbanistica, alle esplosioni, occupazione dell'ufficio del sindaco, della sede comunale e dell'aula consiliare, le proteste per il progetto della porcilaia, la sentenza storica sulla preconcessione relativa, per arrivare al 1. dissesto rivelatosi inesistente (secondo la corte dei conti e il ministero). Senza contare i progetti incompatibili con il territorio (centrali a turbogas, biomasse, l'inceneritore, l'impianto di compostaggio) arrivando ai giorni nostri con le interrogazioni parlamentari (centrali fotovoltaiche in agricoltura al posto della fertile coltivazione), alle discariche, roghi, rinvenimento di fanghi e addirittura sostanze tossiche e diossina. Infine la sentenza in 2. grado della corte dei conti che avrebbe condannato solo alcuni amministratori per un “danno” difficile da comprendere (ammesso che ci sia stato) ancora più del dissesto inesistente. I cittadini sono sconcertati da questo modo di fare (si fa per dire) politica colpendo o tentando di colpire in modo personale anche duramente chi ha il consenso dei cittadini. Questo modo di procedere che ha portato a questa sentenza viene visto come un avvertimento a chi vuol fare politica per il bene comune. Per questo motivo è fondamentale, come era già stato contro il dissesto rivelatosi inesistente, la reazione dei cittadini, della parte sana, democratica, civile, sociale, liberale della comunità. Di quella parte che costruisce la solidarietà, la rete delle buone intenzioni e dei valori condivisi. Per questi motivi oltre alla solidarietà umana espressa da tanti verso chi è stato colpito per la sua attività pubblica e per fare da argine contro i progetti incompatibili alcuni cittadini stanno pensando di procedere alla sottoscrizione per far fronte all'incomprensibile richiesta di pagamento di “danni” che nessuno ha compreso. Si sta pensando infatti alle modalità stabilite per legge per procedere a questa sottoscrizione, comprese iniziative pubbliche di sostegno al Sindaco dottor Eligio Tombolillo affinchè a Pontinia vengano garantite la governabilità e la democrazia. Oltre alle considerazioni sulle persone e sugli obiettivi, sull'attuazione del programma elettorale per un comune virtuoso, l'eventuale dimissione oggi creerebbe indubbi danni economici e sociali da scongiurare. Chi cerca la crisi sembra cercare ancora una volta il tanto peggio per la comunità solo per un incarico che oggi è precluso dal risultato delle elezioni democratiche.
piano casa Lazio, illegittimo secondo l'opposizione
Piano Casa Lazio, l'opposizione denuncia l'illegittimità
Dal Consigliere regionale e capogruppo dei Verdi sollecitazioni ai Ministri Galan e Prestigiacomo per impugnare la legge regionale
di Paola Mammarella
26/09/2011 - In vigore da circa un mese, il nuovo Piano Casa Lazio (http://www.edilportale.com/normativa/legge-regionale/2011/10/regione-lazio-modifiche-alla-legge-regionale-11-agosto-2009-n.-21-%28misure-straordinarie-per-il-settore_11843.html)
è già sotto accusa per illegittimità costituzionale. Il Consigliere regionale e capogruppo dei Verdi Angelo Bonelli ha inviato due lettere ai ministri dei Beni Culturali e dell'Ambiente per sottolineare aspetti controversi ed eventualmente procedere all’impugnativa del testo.
Nella lettera (http://www.casaportale.com/public/uploads/24063-pdf1.pdf)
al Ministro per i Beni Culturali Galan, Bonelli sottolinea la possibilità di intervenire nelle aree di interesse archeologico non vincolate con un provvedimento dell’Amministrazione competente. Se dopo l’accertamento emerge l’inesistenza di beni da tutelare, la realizzazione degli interventi non necessita di autorizzazione paesaggistica.
Per il capogruppo dei Verdi le disposizioni rappresentano un’invadenza delle competenze statali sulla tutela ambientale. Le ripetute deroghe ai Piani territoriali paesistici e al Piano territoriale paesistico regionale violerebbe a suo parere l’articolo 9 della Costituzione.
Le stesse considerazioni sono state espresse sulla possibilità di intervenire in deroga nei territori costieri e nelle aree caratterizzate da fiumi, foreste e montagne. Ambiti che, afferma Bonelli, sono tutelati dalle norme statali.
Sulla stessa falsariga la lettera inviata al Ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, nella quale il capogruppo dei Verdi pone l’accento sugli interventi consentiti nelle zone B in regime di salvaguardia delle aree naturali protette e sulla realizzazione di impianti sportivi nelle zone A di salvaguardia, individuate come aree di interesse naturalistico, paesaggistico e culturale, con limitato grado di antropizzazione.
A detta di Bonelli, i contenuti sarebbero in contrasto col principio della tutela minima, previsto dalla Legge 394/1991, e violerebbero l’articolo 117 della Costituzione, sconfinando nella competenza dello Stato, dal momento che l’ambiente costituisce un ambito di interesse pubblico.
Anche se, conclude Bonelli, la Regione ha una competenza concorrente con lo Stato in materia di governo del territorio, le norme locali non possono derogare alle disposizioni statali.
I Ministri sono stati quindi invitati a effettuare le valutazioni del caso per poi eventualmente procedere all’impugnativa del nuovo Piano Casa.
(riproduzione riservata)
Dal Consigliere regionale e capogruppo dei Verdi sollecitazioni ai Ministri Galan e Prestigiacomo per impugnare la legge regionale
di Paola Mammarella
26/09/2011 - In vigore da circa un mese, il nuovo Piano Casa Lazio (http://www.edilportale.com/normativa/legge-regionale/2011/10/regione-lazio-modifiche-alla-legge-regionale-11-agosto-2009-n.-21-%28misure-straordinarie-per-il-settore_11843.html)
è già sotto accusa per illegittimità costituzionale. Il Consigliere regionale e capogruppo dei Verdi Angelo Bonelli ha inviato due lettere ai ministri dei Beni Culturali e dell'Ambiente per sottolineare aspetti controversi ed eventualmente procedere all’impugnativa del testo.
Nella lettera (http://www.casaportale.com/public/uploads/24063-pdf1.pdf)
al Ministro per i Beni Culturali Galan, Bonelli sottolinea la possibilità di intervenire nelle aree di interesse archeologico non vincolate con un provvedimento dell’Amministrazione competente. Se dopo l’accertamento emerge l’inesistenza di beni da tutelare, la realizzazione degli interventi non necessita di autorizzazione paesaggistica.
Per il capogruppo dei Verdi le disposizioni rappresentano un’invadenza delle competenze statali sulla tutela ambientale. Le ripetute deroghe ai Piani territoriali paesistici e al Piano territoriale paesistico regionale violerebbe a suo parere l’articolo 9 della Costituzione.
Le stesse considerazioni sono state espresse sulla possibilità di intervenire in deroga nei territori costieri e nelle aree caratterizzate da fiumi, foreste e montagne. Ambiti che, afferma Bonelli, sono tutelati dalle norme statali.
Sulla stessa falsariga la lettera inviata al Ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, nella quale il capogruppo dei Verdi pone l’accento sugli interventi consentiti nelle zone B in regime di salvaguardia delle aree naturali protette e sulla realizzazione di impianti sportivi nelle zone A di salvaguardia, individuate come aree di interesse naturalistico, paesaggistico e culturale, con limitato grado di antropizzazione.
A detta di Bonelli, i contenuti sarebbero in contrasto col principio della tutela minima, previsto dalla Legge 394/1991, e violerebbero l’articolo 117 della Costituzione, sconfinando nella competenza dello Stato, dal momento che l’ambiente costituisce un ambito di interesse pubblico.
Anche se, conclude Bonelli, la Regione ha una competenza concorrente con lo Stato in materia di governo del territorio, le norme locali non possono derogare alle disposizioni statali.
I Ministri sono stati quindi invitati a effettuare le valutazioni del caso per poi eventualmente procedere all’impugnativa del nuovo Piano Casa.
(riproduzione riservata)
internet, bavaglio al web con norma ammazza blog
Bavaglio al web col ddl intercettazioni
ritorna la norma "ammazza blog"
Il governo ripresenterà lo stesso disegno di legge, inclusa la disposizione che obbliga i gestori di un sito a modificare i contenuti pubblicati se oggetto di richieste di rettifica. Nessuna possibilità di replica e multe salate. In Rete riparte la mobilitazione. Di Pietro sul web: "Non staremo con le mani in mano"
Il premier Silvio Berlusconi
ROMA - Il governo torna alla carica sul ddl intercettazioni, fortemente voluto dal premier Silvio Berlusconi. Una questione su cui l'esecutivo è orientato a porre la fiducia, bloccando la via a ogni eventuale emendamento. Ma il disegno di legge attualmente allo studio contiene ancora la norma 1 (http://www.repubblica.it/politica/2010/07/27/news/legge_bavaglio_tempi-5853771/index.html?ref=search)
cosiddetta "ammazza blog", una disposizione per cui, letteralmente, ogni gestore di "sito informatico" ha l'obbligo di rettificare ogni contenuto pubblicato sulla base di una semplice richiesta di soggetti che si ritengano lesi dal contenuto in questione. Non c'è possibilità di replica, chi non rettifica paga fino a 12mila euro di multa.
Una misura che metterebbe in ginocchio la libertà di espressione sulla Rete, e anche le finanze di chi rifiutasse di rettificare, senza possibilità di opposizione, ciò ha ritenuto di pubblicare. Senza contare l'accostamento di blog individuali a testate registrate, in un calderone di differenze sostanziali tra contenuti personali, opinioni ed editoria vera e propria.
Ai fini della pubblicazione della rettifica, non importa se il ricorso sia fondato: è sufficiente la richiesta perché il blog, sito, giornale online o quale che sia il soggetto "pubblicante" sia obbligato a rettificare. Ecco il testo: "Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono".
Al di là delle diffamazioni e degli insulti, ogni contenuto sul web diventerebbe potenzialmente censurabile, con l'invio di una semplice mail. E sul ddl intercettazioni, il governo ha particolarmente fretta: il documento potrebbe passare così com'è entro pochi giorni. Un caso unico in Europa che, come in passato 2, sta già allarmando il popolo del web e mobilitando i cittadini in favore della difesa della libertà di informazione, come già accaduto ai tempi della contestata delibera AgCom. 3
Sulla sua pagina di Facebook, il presidente dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, scrive che "Il governo prova ancora una volta a mettere il bavaglio al web. Il ddl intercettazioni, infatti, prevede anche che qualunque blog, sito, portale o social network riceva una richiesta da soggetti che si ritengano lesi da un contenuto pubblicato, sia obbligato a rettificare entro 48 ore. E' la solita norma 'ammazza blog'. La rete si sta già ribellando e state certi che anche noi dell'IdV non staremo con le mani in mano".
(25 settembre 2011)
http://www.repubblica.it/tecnologia/2011/09/25/news/bavaglio_al_web_torna_il_rischio_ammazza_blog_nel_ddl_intercettazioni-22204808/
ritorna la norma "ammazza blog"
Il governo ripresenterà lo stesso disegno di legge, inclusa la disposizione che obbliga i gestori di un sito a modificare i contenuti pubblicati se oggetto di richieste di rettifica. Nessuna possibilità di replica e multe salate. In Rete riparte la mobilitazione. Di Pietro sul web: "Non staremo con le mani in mano"
Il premier Silvio Berlusconi
ROMA - Il governo torna alla carica sul ddl intercettazioni, fortemente voluto dal premier Silvio Berlusconi. Una questione su cui l'esecutivo è orientato a porre la fiducia, bloccando la via a ogni eventuale emendamento. Ma il disegno di legge attualmente allo studio contiene ancora la norma 1 (http://www.repubblica.it/politica/2010/07/27/news/legge_bavaglio_tempi-5853771/index.html?ref=search)
cosiddetta "ammazza blog", una disposizione per cui, letteralmente, ogni gestore di "sito informatico" ha l'obbligo di rettificare ogni contenuto pubblicato sulla base di una semplice richiesta di soggetti che si ritengano lesi dal contenuto in questione. Non c'è possibilità di replica, chi non rettifica paga fino a 12mila euro di multa.
Una misura che metterebbe in ginocchio la libertà di espressione sulla Rete, e anche le finanze di chi rifiutasse di rettificare, senza possibilità di opposizione, ciò ha ritenuto di pubblicare. Senza contare l'accostamento di blog individuali a testate registrate, in un calderone di differenze sostanziali tra contenuti personali, opinioni ed editoria vera e propria.
Ai fini della pubblicazione della rettifica, non importa se il ricorso sia fondato: è sufficiente la richiesta perché il blog, sito, giornale online o quale che sia il soggetto "pubblicante" sia obbligato a rettificare. Ecco il testo: "Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono".
Al di là delle diffamazioni e degli insulti, ogni contenuto sul web diventerebbe potenzialmente censurabile, con l'invio di una semplice mail. E sul ddl intercettazioni, il governo ha particolarmente fretta: il documento potrebbe passare così com'è entro pochi giorni. Un caso unico in Europa che, come in passato 2, sta già allarmando il popolo del web e mobilitando i cittadini in favore della difesa della libertà di informazione, come già accaduto ai tempi della contestata delibera AgCom. 3
Sulla sua pagina di Facebook, il presidente dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, scrive che "Il governo prova ancora una volta a mettere il bavaglio al web. Il ddl intercettazioni, infatti, prevede anche che qualunque blog, sito, portale o social network riceva una richiesta da soggetti che si ritengano lesi da un contenuto pubblicato, sia obbligato a rettificare entro 48 ore. E' la solita norma 'ammazza blog'. La rete si sta già ribellando e state certi che anche noi dell'IdV non staremo con le mani in mano".
(25 settembre 2011)
http://www.repubblica.it/tecnologia/2011/09/25/news/bavaglio_al_web_torna_il_rischio_ammazza_blog_nel_ddl_intercettazioni-22204808/
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