SOLITI NOMIAutorizzazioni per nuove centrali, che
valgono un miliardo in incentivi, finite a imprese
care alla politica grazie a una legge incostituzionale
LA MAPPA DELL’A F FA R E
Quaranta autorizzazioni (alcune richieste, altre già concesse)
significano enormi profitti per gli imprenditori e
una “r i s c r i t t u ra ” del territorio regionale. Accanto, una
centrale a biogas tedesca Infografica di Pierpaolo Balani/LaPresse
e Marco Palombi
Quando si dice la sfortuna.
Gian Mario Spacca, presidente
Pd della Regione
Marche, non si dà pace: una
leggina, una misera leggina regionale
sul biogas, e la sua giunta rischia di andare
a picco, il suo partito si spacca, i
funzionari della Regione si ritrovano
indagati dalla magistratura insieme ai
suoi amici imprenditori e i comitati locali
e il M5S (primo partito alle Politiche
2013) gli stanno addosso e non
smettono di metterlo in difficoltà. E
pensare che Lombardia e Emilia Romagna
ne hanno una quasi uguale, di
leggina sul biogas, ma solo lui si trova
in questo casino. Il governo Monti gliela
impugnò davanti alla Consulta, che
ha poi dato ragione al governo. Proprio
sfortuna, si rammarica Spacca. In realtà,
la legge 3 del 2012 sul biogas non è
proprio una “leggina”: basti dire che
autorizza centrali che al momento valgono
per i proprietari – di soli contributi
pubblici – circa un miliardo di euro
in 15 anni. Per non parlare dei nomi
dei protagonisti, che danno alla vicenda
un tocco di glamour in più: Spacca,
appunto, Paolo Petrini, ex assessore all’Agricoltura
ora deputato, gli imprenditori
Pesaresi, Tanoni, Lazzarini e altri.
Un quadretto di famiglia che si ritrova
pari pari, come vedremo, nelle
camere di compensazione del potere
regionale e su cui aleggia il nome dei
reucci della zona, i Merloni: ex loro dipendente
il governatore, soci in varie
imprese gli altri. Quella che segue è la
storia del biogas marchigiano: forse un
affare sporco (lo decideranno i giudici),
certo un pasticcio burocratico e
l’ennesimo caso di scarsa autonomia
della politica rispetto agli interessi economici.
Senza passare
dalla Via
Il biogas dovrebbe funzionare come
attività connessa a quella agricola: coi
prodotti di scarto si alimentano piccole
centrali che rendono autonoma
l’azienda, l’eventuale eccedenza di
energia si rivende. Chi decide di impiantare
una centrale di questo genere
ha diritto agli incentivi – soldi pubblici
– erogati dal Gestore del servizio
elettrico nazionale (Gse): in sostanza
è un aiuto al settore agricolo o doveva
esserlo. A questo punto arrivano infatti
le leggine. La Regione Marche, ad
esempio, ha deciso di semplificare le
pratiche burocratiche: gli impianti inferiori
a 1 MegaWatt – dice la norma –
non hanno bisogno di Valutazione
d’impatto ambientale (VIA). Una
volta ottenuti i permessi burocratici,
insomma, si costruisce e basta. Qual è
il problema? Intanto la cosa è in contrasto
con la direttiva europea sul tema
e dunque incostituzionale; in secondo
luogo, una centrale da 1 MW
non è affatto piccola visto che per farla
funzionare bisogna coltivare oltre 300
ettari amais. Se si pensa che la Regione
Marche ha ricevuto una quarantina
di richieste di autorizzazione per
centrali da 0,99 MW – di cui circa venti
concesse o in via di concessione, cui
vanno aggiunti una decina di impianti
già attivi – si capisce che il biogas sta
cambiando la natura stessa del territorio:
niente più agricoltura per produrre
cibo, ma coltivazioni intensive
per produrre energia. Il motivo è semplice:
una centrale da 0,99 MW garantisce
di soli incentivi pubblici all’i mprenditore
2,4 milioni di euro l’anno
per 15 anni. Vale a dire circa 32 milioni
sicuri al momento di posare la
prima pietra: è una speculazione finanziaria
che con l’agricoltura (e la
tutela dell’ambiente) non ha niente in
comune.
Le prime centrali sono autorizzate nell’aprile
2012 – Camerata Picena e Castelbellino,
in provincia di Ancona – e
da lì è un profluvio. Solo che non bastava
la leggina di favore, le procedure autorizzative
sono state pure frettolose, inaccurate,
spesso incomplete: il sindaco di
Fano, Stefano Aguzzi, in conferenza dei
servizi è stato costretto a chiamare i carabinieri
per far verbalizzare la sua contrarietà
all’autorizzazione di due centrali
nel suo Comune visto che il dirigente
regionale, Luciano Calvarese, si rifiutava
di mettere la cosa per iscritto. C’è poi
il caso delle fideiussioni fantasma. È obbligatorio,
prima di costruire, mettere
da parte i soldi (sotto forma di fideiussioni
bancarie o assicurative) per quando
bisognerà smantellare le centrali. In
un caso – per un impianto a Jesi – la
garanzia risulta fornita dalla Ansbacher,
banca inglese già indagata per truffa internazionale.
La cosa curiosa è che sul
sito della Ansbacher si legge che il gruppo,
dal 31 ottobre 2011, ha cessato ogni
attività bancaria e, dunque, le garanzie
rilasciate dopo quella data non sono valide:
“Un certo numero di operazioni a
La festa per gli imprenditori del biogas
sembra all’inizio, ma accade l’imponde -
rabile. Nella primavera del 2012, il governo
di Mario Monti fa due cose: prevede
che gli incentivi per le centrali
grandi (tipo 1 MW) siano sensibilmente
ridotti dal 1 gennaio 2013 e impugna
proprio la leggina marchigiana per violazione
del diritto comunitario. Il 22
maggio 2013, come detto, la Corte costituzionale
gli darà ragione: in base alla
direttiva Ue non si possono escludere
screening preliminare e VIA “per mezzo
della mera individuazione di soglie dimensionali”.
Il comitato Terre Nostre
Marche – che è l’artefice di buona parte
dei guai di Spacca – chiede di annullare
le autorizzazioni in autotutela e già che
c’è presenta un esposto alla Corte dei
conti: non è che alla fine ci saranno danni
erariali? Non solo: la deputata del
Movimento 5 Stelle Donatella Agostinelli
– che è anche tra i fondatori del
comitato – invia pure una diffida al Gestore
elettrico per sospendere gli allacci
alla rete e il pagamento dei contributi
pubblici (gli impianti attivi hanno già
incassato la prima rata). Esce pure la notizia
che la Procura di Ancona – siamo al
marzo 2013 – indaga sull’affare biogas.
Panico ad Ancona. Un pezzo dello stesso
Pd comincia a mugugnare, Spacca è
preoccupato. Eppure il presidente non
fa la cosa più ovvia: cancellare le autorizzazioni
rilasciate con una legge incostituzionale
e darne semmai di nuove.
C’è il problema, infatti, che i nuovi incentivi
post-Monti non sono convenienti
come i vecchi. Pensa che ti ripensa,
il governatore trova la soluzione: il 16
dicembre 2013 firma una nuova delibera
che rinnova le autorizzazioni in essere,
consentendo così una sorta di Via
postuma, successiva persino alla costruzione
degli impianti. Il comitato Terre
Nostre l’ha definita “un pacco di Natale”.
Quando la sfortuna s’accanisce, però,
sono dolori e Spacca ormai è come
Fantozzi: non solo il Consiglio regionale
s’è rifiutato di approvare il Pacco di
Natale in tutta fretta come chiedeva lui,
ma il Consiglio di Stato – con una sentenza
del 19 febbraio innescata dalla solita
denuncia di Terre Nostre – ha escluso
(per un impianto a Osimo) che una
VIA postuma possa sanare l’illegalità
iniziale. Ora la Giunta marchigiana rischia
seriamente di saltare in aria.
Tanta protervia del potere regionale
forse si spiega coi nomi che hanno deciso
di investire nel biogas marchigiano.
Non si tratta, come sarebbe lecito
aspettarsi, di aziende agricole, ma di alcuni
tra i nomi più rilevanti dell’im -
prenditoria marchigiana. Il grosso af-fare del biogas, insomma, è terreno di
pascolo dei soliti noti: i Pesaresi (tanto
il capostipite Mario quanto il figlio
Paolo, sempre impeccabilmente abbronzato,
forse per via della sua passione
per gli yacht ), i Lazzarini di Morrovalle
(Lorenzo e Alessandro, fondamentali
perché hanno portato in dote i
loro terreni), l’avvocato recanatese
Paolo Tanoni e - indirettamente -
Francesco Merloni, un pezzo dell’ari -
stocrazia imprenditoriale della regione,
peraltro sposato con una Lazzarini.
I primi tre sono tutti soci nell’impresa
del biogas e di casa nei salotti buoni del
potere regionale come Fondazione
Marche, dove sotto la presidenza di
Merloni, si ritrovano tutti: Lazzarini,
Tanoni, Pesaresi e pure Gian Mario
Spacca, consigliere per conto della Regione.
Anche in Marche Capital – so -
cietà nata per “cogliere l’opportunità
offerta dai programmi comunitari che
finanziavano l’avviamento di venture
capital per le Pmi”–si ritrovano gli stessi
nomi. E pure nelle autorizzazioni per
il biogas. Una dozzina almeno sono finite
a società dal nome quasi identico:
Vbio1, Vbio2 e così via. Di chi sono?
Sono di proprietà della Viridis Energia,
ma gli altri ci sono tutti: tra i 13 avvisi
di garanzia inviati nel marzo scorso ci
sono gli imprenditori di cui vi abbiamo
parlato e i tre funzionari regionali
responsabili del procedimento. Questi
ultimi – Luciano Calvarese, Sandro
Cossignani eMauro Moretti – s e c o ndo
l’accusa avrebbero in realtà partecipato
all’affare in veste di soci occulti
dei bio-imprenditori: persino l’a n z i ana
madre di Cossignani risulterebbe
socia dei Lazzarini in due centrali.
Le ipotesi di reato non sono leggere:
si va dall’associazione a
delinquere finalizzata alla
truffa in giù. Spacca, Petrini
e il resto della Giunta regionale
non risultano
coinvolti e si dichiarano
anzi “parte lesa”, va ricordato
però che Calvarese
ha dichiarato
pubblicamente che
“la fretta” con cui
aveva chiuso il procedimento
autorizzativo
sul biogas gli era
stata imposta dai suoi
referenti politici. Non risulta sia
stato smentito.
alla cui guida si succedono proprio
Paolo Pesaresi e Antonio Lazzarini; la
Viridis, a sua volta, è partecipata al 50
per cento dalla Lagi Energia dei fratelli
Lazzarini e da Echidna spa, che invece è
di proprietà di Mario Pesaresi e Paolo
Tanoni. Piccola curiosità: la Echidna
risulta socia anche di New Energy Development,
una holding in cui figurano
tra gli altri Francesco Merloni, ancora
Pesaresi e pure Marche Capital.
C’è un particolare, infine, che legittima
il sospetto che la tavola - per così dire -
fosse apparecchiata fin dall’inizio: tutte
le società Vbio furono create prima
della legge regionale sul biogas ed erano
inattive al momento di presentare la
richiesta di autorizzazione.
Non manca nemmeno un’inchiesta
giudiziaria sullo scandalo delle autorizzazioni
per il biogas, nata a seguito
degli esposti del comitato Terre Nostre
e del M5S alla Guardia di Finanza.
La Procura di Ancona sta per chiudere
le indagini e finora si è ben guardata
dal coinvolgere la politica regionale, Il fatto quotidiano 26 febbraio 2014