Ama e «Raffineria di Roma» finiscono nel fascicolo di inchiesta sui quattro omicidi colposi per l’inquinamento della falda acquifera sottostante la discarica di Malagrotta. Le due aziende sono coinvolte nello stesso procedimento a carico della Giovi, la società che gestiva la discarica.
Così ha deciso la procura di Roma che ha unificato due inchieste separate, quella per omicidio e quella per l’inquinamento, in un’unica indagine parallela a quella sul «sistema rifiuti» del «Supremo» Manlio Cerroni. L’ipotesi preliminare del sostituto procuratore Alberto Galanti è che il supposto inquinamento della falda acquifera, possa aver influenzato lo stato di salute di quattro persone nella zona della Valle Galeria, poi ammalatesi per un contatto con le sostanze tossiche.
Farmaci scaduti di Ama
Secondo il capo d’imputazione relativo all’omicidio, avrebbero, «nelle loro rispettive qualifiche di legali rappresentanti di opifici industriali insistenti nell’area di Malagrotta, anche in concorso ovvero cooperazione colposa con altre persone, contaminato i terreni e falde acquifere circostanti e sottostanti l’area interessata - tra l’altro - dalla Raffineria di Roma spa e dall’impianto di incenerimento di rifiuti ospedalieri e farmaci scaduti dell’Ama, corresponsabili delle emissioni inquinanti da cui derivavano la morte e le lesioni in danno di soggetti residenti o comunque operanti nella medesima zona». Agli atti - che conta anche un’accurata denuncia dell’associazione Codici che fa luce sul decesso di 80 persone - è finita anche la consulenza dei periti del Consiglio di Stato.
Ordinanza di Alemanno
Il procedimento amministrativo nasce su impulso dell’amministratore della Giovi, Francesco Rando, indagato per lesioni colpose e omicidio colposo. Il manager impugnò la delibera dell’allora sindaco di Roma Gianni Alemanno, la numero 255 del 2010, che aveva imposto la messa in sicurezza del sito di Malagrotta. Il primo grado, davanti al Tar Lazio, si concluse con la vittoria della Giovi, grazie alla consulenza dell’allora perito dei magistrati amministrativi, Massimo Grisolia, consulente - guarda caso - anche del “Supremo” Manlio Cerroni. Il provvedimento, però, fu impugnato dal Comune di Roma Capitale e da Codici davanti al Consiglio di Stato. Ed è proprio nell’appello che c’è stato il colpo di scena. I periti dei magistrati, i professori Giuseppe Genon, Mariachiara Zanetti e Rajandra Sethi, del Dipartimento di ingegneria dell’ambiente, del territorio e delle infrastrutture del Politecnico di Torino, hanno dato risultati diametralmente opposti alla consulenza di primo grado di Grisolia.
Acqua cancerogena
In particolare, hanno affermato che «il confronto tra i dati di monitoraggio chimico dell’acqua di falda superficiale, unito a considerazioni di carattere idrogeologico, portano a ricondurre all’attività di discarica gestita dalla Giovi il fenomeno di contaminazione che ha portato all’emanazione dell’ordinanza sindacale n.255 del 2010». La decisione, che era stata presa dall’allora primo cittadino Alemanno, secondo i periti, «è idonea a soddisfare le esigenze di pubblico interesse». Nel dettaglio, inoltre, è emerso che nella falda acquifera sottostante Malagrotta c’è la «presenza di molecole di N-butilbenzenesulfonammide», una sostanza cancerogena, oltre a «carboniosi, azoto moniacale, manganese» e, «potenzialmente, anche solventi di uso comune». I tecnici scrivono infatti che «appare evidente che i parametri d’inquinamento riscontrati sono ragionevolmente attribuibili al percolato, tenendo conto del fatto che l’introduzione nella falda di materiale organico riducente (sostanza organica carboniosa, azoto ammoniacale, potenzialmente anche solventi di uso comune) induce nella falda stessa un fenomeno degradativo (…) capace di provocare riduzione degli elementi ossidati presenti nel terreno (ferro e manganese soprattutto)» oltre alla presenza «di molecole potenzialmente traccianti, come la N-butilbenzenesulfonammide». C’è da dire che la consulenza ora dovrà essere dibattuta tra i legali della Giovi e quelli del Comune, che potranno chiedere – a vario titolo – integrazioni sulle analisi. Di fatto, l’atto dei periti del Consiglio di Stato rappresenta un primo punto fermo anche nell’inchiesta penale, perché il dato certo è che la falda è inquinata.
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