Il Manifesto, Venerdì 12 Novembre 2011
Il diktat di Acqualatina: «Pronti a bloccare gli investimenti»
DOPO IL REFERENDUM L’azienda non vuole rinunciare ai profitti
di Andrea Palladino
Sospese anche le opere promesse per abbattere l’arsenico nell’acqua Lo chiamano - per gioco, ma neanche tanto - lo «Scaroni boy». E dal piglio decisionista dell’amministratore delegato di Eni ha preso tanto. Dallo scorso giugno Roberto Cupellaro, bocconiano doc, guida Acqualatina, l’azienda divenuta simbolo della gestione privata dell’acqua. Si è seduto sulla poltrona più alta del Cda dell’azienda partecipata da Veolia per affrontare, come primo dossier, il referendum che ha chiesto di riportare in mani completamente pubbliche le risorse idriche. E, come si sul dire, quando il gioco si fa duro, gli Scaroni boy emergono. Il sei luglio scorso, meno di un mese dopo il voto di ventisette milioni di italiani, ha riunito gli uomini del consiglio di amministrazione: c’erano i politici, come l’avvocato di Fondi Giuseppe Addessi, che ha sostituito il senatore Claudio Fazzone sulla poltrona di presidente; c’erano i tecnici che di gestione privata ne capiscono veramente, come l’ingegnere romano di area Pd Raimondo Besson, o il francese targato Veolia Jocelyn Gourlet, ex direttore della filiale portoghese della multinazionale d’oltralpe. Il referendum era dunque passato, con due sonori sì, raggiungendo un quorum che in tanti pensavano impossibile. Erano sicuramente preoccupate le facce degli amministratori di Acqualatina, in ballo c’è quel 7% di profitto sugli investimenti che i gestori dell’acqua non vogliono mollare.
Dunque, che fare? Di lasciare perdere tutto neanche a parlarne, molto meglio rilanciare, far capire alla politica chi comanda veramente. Roberto Cupellaro apre la riunione del post referendum richiamando la riunione su quel tema di Federutility - l’associazione di categoria che riunisce i gestori dell’acqua - e proponendo la risposta di Acqualatina al voto: bloccare gli investimenti e chiedere aiuto al «controllore pubblico», ovvero all’Ato 4.
Detto e fatto. Nel verbale della riunione del consiglio di amministrazione del gestore idrico di Latina si legge: «A far data dalla pubblicazione sulla gazzetta ufficiale del Dpr relativo agli esiti del referendum del 12 e 13 giugno, ove non fosse nelle more intervenuta ovvero non intervenga successivamente una nuova fonte normativa (...) di comunicare alla Conferenza dei sindaci dei presidenti dell’Ato 4 che la società sarebbe costretta, in via provvisoria e cautelativa al fine del mantenimento del necessario equilibrio economico-finanziario dell’azienda, a sospendere l’esecuzione di tutti gli investimenti, ivi compresi quelli in essere».
Fermare tutto, anche quelle opere promesse per abbattere l’arsenico, dopo aver chiesto per anni la deroga ai limiti di legge. Chiudere i rubinetti dei conti correnti alimentati dalla finanza creativa dei derivati della banca Depfa, che da alcuni anni finanzia con costi altissimi l’attività di Acqualatina. E soprattutto, mettere davanti ad un bivio la politica: ci riserviamo - prosegue il verbale della riunione - la possibilità «di attivare le procedure previste dalla Convenzione di gestione al fine di negoziare i necessari adeguamenti e modifiche al piano».
La parola chiave che i gestori privati dell’acqua stanno evidenziando in questi mesi è «equilibrio economico-finanziario». Un’espressione che poi attraversa la politica, fino ad approdare anche in ambienti democratici, all’interno della proposta di legge sull’acqua presentata dal Pd. Nei prossimi giorni la conferenza dei Sindaci della provincia di Latina si dovrà riunire per valutare il diktat arrivato dall’amministratore delegato di Acqualatina. Sarà il banco di prova della nuova ondata liberista che sta arrivando in Italia, spirando dalla Grecia, spinta dal Fondo monetario internazionale e dalla Bce. È una questione di volontà popolare e di priorità democratiche.
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