La nobiltà romana e i primi ambientalisti decretarono il «no» allo sviluppo nautico Per fare un bagno al mare non si faceva più il giro del lago in bicicletta o si raggiungevano le dune a bordo di un traghetto dove i fratelli Zanin, Walter e Gastone avevano eretto in legno uno stabilimento balneare. Il Primo, un vero gioiello poi sbancato per fare il modello complesso delle «Dune». Il lago era (ed è) della famiglia Scalfati e solo i pescatori della Scalfati pesca potevano andarci in barca e pescare. Gli altri se tentava di immergervi la canna da pesca finivano in tribunale perchè essendo il lago una proprietà privata ogni cefalo preso era un cefalo rubato. Una guerra quotidiana alimentata dal fatto che anche la fame faceva parte dei livori quotidiani. L'ufficio legale degli Scalfati per ovviare a tutta una serie di cause finì per assumere tutti i pescatori di frodo. Terminava così la guerra del pesce e cefali e capitoni ripresero in grande stile la via dei mercati generali romani. I sabaudiani si schifavano di mangiare il cefalo del lago. Dicevano che puzzava ed avevano ragione. Facevano eccezione quelli che a Natale ricevevano le solite cassette di gratitudine e di spine. Chi non fu mai assunto e mantenne con la famiglia Scalfati una posizione di conflittualità perenne fu Ennio Quadri. Ennio Quadri che abita tutt'ora in una casupola a ridosso del Ponte Giovanni XXIII, sempre circondato da cani era un vero stratega della pesca di frodo. Non volendosi mettere in capo il berretto della società di pesca di Scalfati e non intaccare il suo profondo senza della libertà aveva ideato delle bombe con barattoli di latta esplodevano senza far grande rumore ma provocavano una strage. Il pesce che veniva stordito veniva raccolto in fretta e portato sui banchi di pesca di Terracina. Ma come faceva Quadri a raccogliere il pesce, di notte, senza perderne uno? Quadri aveva allevato una muta di cani randagi che dalla barca si gettavano in acqua, azzannavano i pesci e li portavano a Quadri. Chi tentava di fuggire con la preda si prendeva una remata in testa. Erano cani da pesca. Ma c'è chi andò oltre Quadri nel cercare di trarre profitto dal lago. Il Comune di Sabaudia tentò la strada della conquista del lago rimanendo impantanato in un dello legale legale che mantiene in piedi ancora numero studi legali. Scalfati diceva che il lago era suo perchè se l'era comprato un avo paterno. Il Comune e successivamente lo Stato sosteneva che quelle acque erano demaniali per via della loro salinità.
Ancora una pagina di storia lacustre. Nel sessanta stavano per essere disputate le Olimpiadi di Roma e sabaudia tentò la carta a cinque cerchi ma fu sccnfitta. L'idea di trasformare il lago in un bacino olimpico per le discipline del remo e della canoa fu Pietro Curatolo sindaco di Sabaudia. Era quello che aveva fatto conoscere Gina Lollobrigida ai sabaudiani strappandola a Roma con la promessa di ridurle le tasse. Quando la presentò alla città fu festa e anche le scuole chiusero. La diva mise la firma nel registro d'onore inaugurato da Mussolini.Sabaudia si candidò quale sede olimpica perchè gli appetiti erano enormi e ricca la tavola imbandita. Sabaudia e Gastelgandolfo erano le due finaliste. Sabaudia aveva qualcosa in più rispetto al catino vulcanico dei colli albani: l'ambiente, una migliore via di comunicazione, ma non aveva il Papa. Fu una sconfitta quando si scelse Castelgandolfo, fu un amaro boccone. Sul lago negli anni successivi furono combattute varie battaglie remiere fra gli equipaggi della Marina e dei Carabinieri. Per un paio di volte a maggio il trofeo di canottaggio divenne anche internazionale ma naufragò per la mancanza di fondi. Ora ci sono Marina e Finanza a tenere alto il vessillo del remo. Da qui passarono grandi campioni come quel Giani, il padre del ramp
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