lunedì 4 agosto 2014

Inquinamento e spazzatura, a Colleferro la situazione è esplosiva

Il grande business della spazzatura della Capitale ha messo gli occhi su Colleferro. Ma la cittadina laziale, già sede di fabbriche di esplosivi e propellenti militari, è al centro di inchieste e accuse di insbbiamento sulla gestione dei veleni derivanti da queste attività di Andrea Palladino 


Inquinamento e spazzatura, a Colleferro la situazione è esplosiva
E’ una sensazione sottile quella che ti prende quando superi il cartello “Benvenuti a Colleferro”. Un senso di controllo millimetrico. Invisibile, quasi un pulviscolo che entra nei pori. Qualcosa lo intuisci subito: quei capannoni bianchi e anonimi, le colline evidentemente artificiali, il buster di un missile sulla rotonda, a dare il benvenuto nella città della chimica e dei veleni.

Non è un luogo qualsiasi. Colleferro non lo è mai stato, fin dal1912, quando l’ex zuccherificio Valsacco si trasformò in una delle prime fabbriche di esplosivi del Regno. Luogo strategico, con una città parallela nel sottosuolo, fatta di rifugi a prova di esplosioni, costruiti per accogliere l’intera popolazione durante l’ultima guerra, quando gli alleati puntavano a distruggere il cuore dell’armamento italiano.

Città dei veleni, che ha prodotto - e ancora produce - molecole tremende. Come il β-esaclorocicloesano, la formula diventata un incubo da queste parti. Destinazione che Zingaretti avrebbe scelto per accogliere la monnezza di Roma. Veleni su veleni.

Per capire Colleferro occorre un primo sommario inventario. C’è la Simmel, fabbrica di esplosivi per uso militare, oggi controllata da un gruppo inglese. Poco distante la Avio - già gruppo Fiat - sforna il propellente per i missili Arianne 5 e Vega, testati nell’area chiamata “3C”.

A duecento metri in linea d’area della centrale piazza Italia l’Italcementi appare come una imponente macchina grigia, che da tempo chiede di poter ingoiare anche rifiuti. Oltre la ferrovia due inceneritori si offrono come soluzione per la monnezza romana, cercando di dimenticare la pesante inchiesta della procura di Velletri, che sequestrò tutto nel 2009. Un sistema che si completa con la gigantesca discarica di Colle Fagiolara - la seconda del Lazio, ad un paio di chilometri dalla città - che ha resistito ad un incendio scoppiato con il primissimo caldo dell’inizio dell’estate. Un invaso che fino a pochissimo fa accoglieva rifiuti non trattati, violando le norme europee.

All’origine di tutto c’era un colosso della chimica, la Caffaro. Produceva Ddt, usando la molecola del Lindano, ormai vietata da decenni. Sostanza che gli abitanti della città hanno imparato a conoscere con il nome impronunciabile di β-esaclorocicloesano. I fusti con i residui fino agli anni ’80 sono stati interrati alle porte della città, nei tre siti Arpa 1, Arpa 2 e Cava di pozzolana, a pochi metri da dove oggi funzionano gli inceneritori.

Nel 1992 la Pretura di Velletri aveva condannato a pochi mesi di reclusione una parte della dirigenza. Nessuno, però, pensò allabonifica mentre quei veleni continuavano a contaminare l’intera valle del fiume Sacco, da Colleferro fino a Ceccano, nel cuore della Ciociaria. Una sessantina di chilometri di terra avvelenata, migliaia di capi di bestiame abbattuti e un incubo che segnerà per sempre la popolazione.

Dal 2006 le autorità sanitarie hanno iniziato a cercare i resti del Ddt nel sangue degli abitanti, trovando - in centinaia di casi - valori oltre ogni limite di sicurezza. “So che non potrò mai più allattare mio figlio”, racconta una contadina di Morolo, che - come altre decine di aziende - ha prima perso il bestiame, per poi avere la vita segnata.

Oggi Colleferro si prepara ad assistere Roma. Per anni ha fornito latte al Lindano alla capitale - fino al 2005, quando scattò l’allarme per la Valle del Sacco - e oggi è pronta a ricevere in cambio la monnezza che rischia di coprire le strade attorno al Colosseo.

L’assessore regionale ai rifiuti Michele Civita ha in mente un piano per offrire ad Ama quei due camini - alle porte di Colleferro - per l’incenerimento dei rifiuti romani. L’impianto da un paio d’anni è di proprietà della Regione Lazio, con una piccola partecipazione della municipalizzata romana.

E da qui, dalla città dei veleni, ripartirebbe il vecchio sogno diMario Di Carlo, ovvero l’unione tra Ama e Acea per gestire l’oro della capitale, le migliaia di tonnellate di rifiuti prodotti ogni giorno. Il vecchio progetto, che vedeva coinvolto Manlio Cerroni, dell’impianto di Albano Laziale verrebbe così sostituito da Colleferro.

Acea punta apertamente ad espandere il business nel campo dei rifiuti, gestendo, da diversi anni, un inceneritore a San Vittore, l’impianto per il trattamento dell’umido Kyklos diAprilia (appena sequestrato dalla Procura di Latina, dopo la morte dei operai per esalazioni) e un deposito di combustibile da rifiuti a Paliano, a pochi chilometri da Colleferro.

Il principale azionista, il gruppo Caltagirone, da tempo sta investendo proprio sul ciclo “waste-energy”, modello che la società romana cerca di imporre sul mercato laziale.

La città degli esplosivi e della chimica è in fondo abituata. I comitati - agguerriti e preparati - locali sanno che davanti a loro c’è da sempre un muro di gomma e quel senso di controllo che forse soffoca più dei veleni. Capita di girare a fare interviste con i giornalisti e di essere fermati per “semplici controlli” in una strada deserta dalle forze dell’ordine.

Per una città strategica che sforna esplosivi e propellenti militari in fondo è normale. Meno spiegabile è quel senso diimpunità che avvolge chi a Colleferro ha avvelenato le acque, l’aria e la terra. Il processo contro i dirigenti dell’inceneritore, accusati di aver bruciato di tutto e di aver falsificato i dati, è praticamente fermo.

Dopo cinque anni le udienze di primo grado stentano a partire, con rinvii di mesi e mancate notifiche. Nessuna condanna è mai arrivata per la devastazione della Valle del Sacco, come in nulla sono finite le inchieste degli anni ’90 sullo stoccaggio dei rifiuti pericolosi.

Un povero pastore che aveva cercato di denunciare i veleni che trovava sul pascolo alla fine si è trovato addosso l’etichetta di pazzo e qualche guaio amministrativo. Alla fine quei veleni non hanno un colpevole. La nebbia che difendeva la città dai bombardamenti della seconda guerra mondiale oggi è solo simbolica, ma pesante come non mai. E i rifugi servono a poco, anche se continuano a rimanere segnati sui cartelli stradali. http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/07/31/news/inquinamento-e-spazzatura-a-colleferro-la-situazione-e-esplosiva-1.175097

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