mercoledì 20 febbraio 2013

Italia inquinata, grazie a Monti, pd, pdl e udc, ci rubano anche l'aria


Ci rubano anche l’aria (Ferruccio Sansa).

Italia Inquinata
Gol”. Matteo e i suoi compagni di squadra alzano le braccia al cielo. Non fanno più caso alla ciminiera alta duecento metri sopra la loro testa, con quel filo di fumo che esce giorno e notte. “Qui bisognerebbe metterci un cartello, vietato respirare”, sorride amaro Attilio Parodi che a Vado Ligure, ai piedi della centrale a carbone Tirreno Power, ci abita da una vita. Poi si tocca la bocca, con la mano scende fino ai polmoni, “Quella roba mi è entrata dappertutto”, conclude. E ti mostra lo studio dell’Agenzia Europea dell’Ambiente. Vado è quel punto giallo sulla carta, una delle emergenze del Paese. Per l’Ue, non per le autorità italiane che hanno autorizzato l’ammodernamento e il potenziamento dell’impianto. 
Eccoci a pochi chilometri da Savona, un bel vento di tramontana fa limpida l’aria e ti pare impossibile che a ogni respiro ti butti dentro veleno. Eppure è così, in Liguria ci sono tre centrali a carbone: Vado, Genova e La Spezia. Quasi tutta la regione è “coperta”, stando agli studi americani: gli effetti del carbone arrivano a 48 chilometri. Siamo in Liguria, ma potremmo essere ovunque in Italia. Secondo il dossier “Ecosistema rischio industrie” di Legambiente ( legambiente.it/si tes/default/files/docs/ecositemarischio_industriale013  .pdf) sono 1.152 gli impianti industriali che trattano sostanze pericolose in quantità tali da rientrare nelle leggi nate dopo il disastro di Seveso. Ben 739 comuni (quasi uno su dieci) hanno nei loro confini una bomba che potrebbe esplodere. Nessuna regione è risparmiata, ma alcune stanno peggio: la Lombardia ha il record di 289 insediamenti, seguita da Veneto (116) Piemonte (101) ed Emilia Romagna (100).
ECCOLI, I NEMICI INVISIBILI della nostra salute. A rivelarne la pericolosità sono solo i numeri, le statistiche. “In Italia mancano indagini epidemiologiche serie”, spiega l’epidemiologo Valerio Gennaro, uno dei maggiori esperti. Spesso ci si deve affidare a studi non ufficiali, magari commissionati dalle società proprietarie degli impianti. “Ho visto ricerche con tanto di timbri e firme di esperti secondo le quali in prossimità di acciaierie e industrie chimiche c’era un’aria come sulle Dolomiti”, butta lì Gennaro. Basta misurare cento metri più in qua o più in là, scegliere giorni di vento… e tutto cambia. Già, ci ballano centinaia di milioni, e chi ha i mezzi commissiona ricerche, può diffondere dati sui giornali. Poi magari scopri che sugli stessi quotidiani abbonda la pubblicità delle industrie sotto accusa. Che in alcuni casi sponsorizzano politici e amministrazioni locali.
Uno dei pochi studi epidemiologici ufficiali, il dossier Sentieri (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento, realizzato anche dal ministero della Salute e consultabile su www.epiprev.it  ) parla di 9.969 persone uccise dall’inquinamento in sette anni, oltre 1.200 decessi all’anno in più per tumori al sistema respiratorio, leucemie, malattie cardiovascolari. E la stima si riferisce solo a 44 dei 57 siti nazionali oggi sottoposti a bonifica. Mancano decine di zone altamente inquinate non sottoposte a bonifica. Insomma, le vittime potrebbero essere molte di più. Quello che va a finire in fondo ai polmoni, che ostruisce le arterie, che fa impazzire le cellule non lo vedi. Quasi mai. Da Savona, però, provate a prendere l’autostrada dei Giovi. In questi giorni di febbraio, sbucati nella Pianura Padana, può capitare di trovarvi davanti le Alpi. Sono lì, pare di toccarle, dal Monviso al Resegone. Ma per 350 giorni all’anno non si vedono. Cancellate da una cappa grigia. Nebbia, dirà qualcuno. No, soprattutto inquinamento. Ecco quello che vi entra nei polmoni.
Siamo a due passi dalla raffineria di Sannazzaro de’ Burgondi (Pavia) che, secondo Legambiente, è al primo posto in Italia per le emissioni di arsenico nell’aria, al secondo per benzene e Nmvoc, ma si piazza bene anche per nichel. Ma nel raggio di pochi chilometri l’Agenzia Europea dell’Ambiente segnala gli stabilimenti Italcementi di Calusco d’Adda (Bergamo), e le centrali termoelettriche di Tavazzano e Montanaso Lombardo (Lodi), Ostiglia (Mantova), Cassano d’Adda (Bergamo), Turbigo (Milano) e Piacenza. Già, le centrali.
C’è chi oggi parla di “carbone pulito”, ma secondo i dati scientifici (contenuti anche nei dossier Wwf consultabili online), “la migliore tecnologia a carbone presenta livelli di anidride solforosa superiori 140 volte rispetto a quelli emessi da un ciclo combinato a gas”. Eppure in Italia sono attive 13 centrali a carbone e mentre per alcune si prevede la riconversione, spuntano nuovi progetti (Saline Joniche in Calabria). Spiccano appunto Liguria e Lombardia, poi il colosso di Civitavecchia, quindi Fiume Santo e Sulcis in Sardegna. E ancora Bastardo in Umbria, Marghera e Fusina in Veneto, Monfalcone in Friuli. Infine Brindisi nord e sud, perché in Puglia non c’è soltanto Taranto.
Ogni regione ha i suoi monumenti: non solo cattedrali, ma, per esempio, rigassificatori. Dovevano essere 4 o 5 secondo Berlusconi, ma rischiano di diventare 11: Augusta, Brindisi, Gioia Turo, Livorno offshore, Porto Empedocle, Porto Recanati, Portovesme, Rosignano, Taranto, Trieste offshore, Trieste Zaule.
Meriterebbe davvero un viaggio a parte. Anche così si capisce l’Italia. Dai centri storici, ma anche dai petrolchimici. Si parte dalla Sicilia (Gela e Priolo), poi Manfredonia, Brindisi, Monfalcone, Falconara.
INFINE LA CHIMICA, un nome per tutti: Rosignano Solvay, in Toscana. Arrivi e ti pare quasi di essere ai Caraibi, spiagge bianche che fanno sembrare l’acqua più azzurra.
Un elenco interminabile. E sorprendente: “Ben 19 impianti continuano a funzionare senza l’Aia, cioè l’Autorizzazione Integrata Ambientale nazionale. Oltre ai danni alla salute, rischiamo di dover sborsare soldi pubblici per pagare le sanzioni inflitte dall’Europa”, assicura Stefano Ciafani, vice-presidente di Legambiente.
Le bonifiche avviate si contano sulle dita di una mano, ricorda il Wwf Italia. Bisogna “ringraziare” una legge: “Una norma del 2006 consente alle industrie di non bonificare. Allo Stato l’onere della prova sul legame produzione-inquinamento. Una probatio diabolica, quasi impossibile, con interminabili contenziosi”. Eppure, spiega Stefano Lenzi del Wwf, “le Finanziarie prevedono lo stesso risorse per la bonifica delle aree private”. Valerio Gennaro conclude: “Bonifica e monitoraggio potrebbero dare tanto lavoro”. Senza contare le spese, immense (quasi tutte a carico dello Stato), per i danni da inquinamento (a cominciare dalla salute): l’Ue li stima in 13 miliardi soltanto per l’Italia.
Attilio Parodi alza di nuovo gli occhi verso la ciminiera di Vado: “Sono pochi gli italiani che possono ritenersi al sicuro. Eppure nei programmi dei partiti la voce ambiente non è la più corposa. Forse anche gli elettori pensano ad altro”.
Da Il Fatto Quotidiano del 18/02/2013.

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