Andrea Palladino Terra 8 settembre 2011
IL CASO. Emergono altri dettagli sull’impresa che sta realizzando il centro commerciale di fronte al Parco nazionale del Circeo. E il presidente Benedetto conferma: «Sentiti dalla Dda».
Tutto è iniziato undici anni fa, a qualche migliaio di chilometri da Sabaudia, dove, probabilmente, nessuno ha mai sentito parlare dello splendido Parco naturale del Circeo. Due trust – ovvero fondi fiduciari, utilizzati normalmente per rendere invisibili gli investitori –, Flinte e Cobrasil, ricevono l’incarico dall’Italia di costituire una società immobiliare. Si tratta della Cogefid, il gruppo con sede a Funchal, isola Madeira, che dal 2005 ha avviato la realizzazione di un complesso residenziale e commerciale di fronte all’area protetta di Sabaudia. Una vicenda che avrebbe ricevuto anche l’attenzione della Direzione antimafia di Roma, come ha confermato a Terra il presidente del Parco Gaetano Benedetto.
La complessa vicenda ha inizio nel 2000, quando «la società di diritto portoghese fu costituita dai due trust di Panama – spiega Gervasio D’Ambrini, commercialista di fiducia della Cogefid – come spesso avviene in questo tipo di operazioni». Un iter che per i rappresentanti del gruppo è documentato e chiaro: «Nessun segreto, abbiamo tutte le carte, tutti i passaggi sono avvenuti davanti a notai italiani». Secondo D’Ambrini furono i tre cugini di Sabaudia Cortese a conferire l’incarico ai trust di Panama, avviando così le attività della Cogefid. Dunque, secondo il suo racconto, sarebbero loro i reali proprietari. E l’attuale capitale sociale dichiarato – pari a 3 milioni di euro – corrispondente al valore del terreno, «fu conferito dai Cortese come incremento di capitale».
Il sistema utilizzato, in realtà, per la creazione della Cogefid non può essere di certo definito come lineare. D’Ambrini, alla fine, non chiarisce fino in fondo i motivi del ricorso alle gestioni fiduciarie e ai trust panamensi, se non con un generico risparmio sulle procedure: «Conferire un terreno in Italia ha costi elevati», spiega. Ma alla fine della vicenda quello che rimane è una società anonima, con la sede legale in un porto franco, la cui proprietà reale si basa su azioni al portatore. Le quote del gruppo non sono infatti nominalmente intestate ai rappresentanti della famiglia Cortese, come avviene per le società italiane: «Chi materialmente ha in mano quelle azioni – spiega D’Ambrino – si presenta in assemblea dei soci e dice: sono io il proprietario». Facile facile, in fondo. Niente burocrazia, tanta discrezione, passaggi sicuri. «La legge lo consente – assicura il commercialista della Cogefid -, lei che avrebbe fatto?».
La proprietà di quel centro commerciale che preoccupa gli ambientalisti e la società civile di Sabaudia è dunque attestata da questo sistema, che passa attraverso Panama e Madeira.
Gaetano Benedetto, presidente del Parco, qualche preoccupazione in realtà la mostra: «Quando la questione è arrivata nei nostri uffici – spiega - le carte dovevano essere tutte a posto, ma così non era. Nel 2005 la procedura era incompleta. Man mano che abbiamo presentato le osservazioni i promotori mettevano a posto ogni cosa. Abbiamo poi avuto diversi ricorsi al Tar». Una piccola battaglia giuridica, vinta poi dalla Cogefid. Rimangono aperti i tanti dubbi sull’opera, posta di fronte al centro visitatori del Parco: «Secondo me non c’è tanto una questione ambientale – prosegue Benedetto – perché è un’area già urbanizzata. Il problema vero è che tipo di sviluppo si vuole dare a questo territorio. C’è poi un’altra questione. A Sabaudia esistono già altri due centri commerciali, che sono evidentemente in difficoltà, uno di questi è a poche centinaia di metri da dove si vuole realizzare questo terzo centro, ed è vuoto. La creazione di questo nuovo complesso se va bene creerà problemi all’economia locale, se va male sarà un ulteriore centro commerciale in difficoltà». Benedetto ha poi ribadito l’interesse dei magistrati romani sulla vicenda, come aveva già anticipato Latina Oggi lo scorso agosto: «Confermo che la Procura di Roma e la Dda hanno ascoltato i tecnici del parco, sulla questione del centro commerciale. Di più ovviamente non possiamo dire».
Sul fuoco e sul mancato incendiario, il presidente del Parco mostra tutta la sua preoccupazione: «Si è trattato di un gesto plateale. Hanno messo quegli inneschi nella parte più frequentata, all’interno del bosco, alle quattro del pomeriggio, uno di questi è stato infilato sopra un albero; poi, contemporaneamente, hanno lanciato un allarme in un posto distante, facendo spostare la pattuglia antincendio». Una serie di circostanze che confermano non solo la natura intimidatoria, ma la particolarità del gruppo criminale che ha messo gli inneschi. Sicuramente organizzato: «Volevano chiaramente dire, vedete arriviamo ovunque. è un gesto intimidatorio, io non ho dubbi», spiega Gaetano Benedetto.
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