Quarant’anni fa il primo arrembaggio “verde”
Oggi Greenpeace ha tre milioni di soci L'associazione ambientalista debuttò cercando di bloccare un test nucleare degli Stati Uniti in Alaska. Nel 1985 la nave "Rainbow Warrior" fu affondata in Polinesia dai servizi segreti francesi, che uccisero un fotografo. La sfida di oggi è il cambiamento climatico. Ma non mancano le critiche: "E' diventata un carrozzone burocratico" Quaranta, ma non li dimostra. Da quarant’anni esatti l’organizzazione internazionale non governativa ambientalista e pacifista Greenpeace lotta per difendere il pianeta, il clima, l’ambiente. Tutto comincia nel 1970 con un movimento di controcultura di giovani giornalisti ed ecologisti di Vancouver, in Canada, che si erano dati il nome di Don’t Make a Wave Committee, letteralmente il “comitato ‘non sollevare un polverone’”. In uno degli atti più romantici di questo secolo, il gruppo prende in affitto una barca con la modesta intenzione di fermare un test nucleare che gli Stati Uniti progettano di compiere nel parco protetto di Amchitka, nelle Isole Aleutine dell’Alaska, e di ridefinire la relazione dell’uomo con la Terra. Il tentativo di prevenire l’esplosione viene bloccato dalla Guardia costiera americana ma qualcos’altro esplode nell’immaginario collettivo del mondo capitalista: la coscienza della necessità di difendere il pianeta e l’ambiente.
Quaranta tumultuosi anni dopo, Greenpeace è diventata una fondazione internazionale presente in 40 nazioni dell’Europa, gli Stati Uniti, l’America latina, l’Asia, l’Africa e il Pacifico. Conta circa 3 milioni di soci e il quartiere generale ad Amsterdam. Ancora non accetta fondi e donazioni da governi, da aziende private e da partiti politici ma si finanzia esclusivamente tramite quote di iscrizione, donazioni private e sovvenzioni di fondazioni, devolvendo centinaia di milioni di dollari l’anno per compiere la sua missione globale: garantire che la Terra sia sempre in grado di far crescere la vita in tutta la sua bio-diversità.
Fra i suoi compiti, “catalizzare la rivoluzione delle risorse per fronteggiare una delle minacce del pianeta, i cambiamenti climatici, difendere gli oceani e creare un network di risorse marine, proteggere le più antiche foreste del mondo, lavorare per il disarmo e la pace, creare un futuro senza sostanze chimiche tossiche, fare delle campagne per l’agricoltura sostenibile”.
Il prossimo obbiettivo di Greenpeace è quello di espandersi nei Paesi in via di sviluppo. Come quarant’anni fa, per raggiungere i suoi scopi usa ancora l’azione pacifica diretta, ma ha allargato i suoi mezzi alla ricerca e all’azione ufficiale delle lobby. L’organizzazione ha lottato praticamente contro tutti i detentori del potere sulla faccia della terra.
Memorabile l’affondamento del Rainbow Warrior, il “combattente arcobaleno”, la nave ammiraglia di Greenpeace, avvenuto il 10 luglio 1985 nel porto di Auckland, in Nuova Zelanda, a opera dei servizi segreti francesi. Il Rainbow Warrior sta lì per prevenire un test nucleare a Moruroa, un atollo dell’arcipelago della Polinesia francese. Purtroppo per il fotografo Fernando Pereira, che stava a bordo, la nave affonda per l’esplosione di due bombe. Gli agenti francesi vengono arrestati dalla polizia neozelandese con l’accusa di omicidio e incendio doloso e lo scandalo che segue porta alle dimissioni del ministro della Difesa francese Charles Hernu.
Le critiche all’organizzazione non mancano. Paul Watson, ex socio numero 7, uno dei pochi rimasti del gruppo originario dei fondatori, espulso nel 1977 per l’eccessiva combattività, dice che “il gruppo originario era idealista e coraggioso”. Watson, noto per chiamare Greenpeace “le signore Avon del movimento ambientalista” e per aver fondato l’organizzazione rivale Sea Shepherd, dice: “Eravamo quasi tutti giornalisti e ci definivamo guerrieri McLuhan (il teorico canadese della comunicazione, ndr). Ma ora Greenpeace è diventato un grande carrozzone burocratico. Non è più come prima. Dovrebbe concentrarsi sui problemi per i quali ha iniziato a lottare”.
Rex Weyler, un giornalista che era sulla barca per le Isole Aleutine, spiega che “Greenpeace ha adottato una forma di disobbedienza civile. Volevamo lanciare un movimento ecologista. Erano implicati i diritti civili, il movimento delle donne e quello per la pace. Non volevamo fare un’organizzazione internazionale famosa”.
Il direttore di Greenpeace Kumi Naidoo assicura che l’organizzazione è in ottima salute e la sua influenza sta crescendo in Cina, in Africa e in America Latina. Presto sarà varata una Rainbow Warrior di 60 metri, dotata delle tecnologie più avanzate e praticamente inaffondabile. “Abbiamo vinto tante battaglie storiche come quelle sui test nucleari, per la difesa delle balene, per proteggere le foreste tropicali, per diminuire il buco dell’ozono, per difendere l’Antartico e tante altre. Rimane il fatto che la grande battaglia ambientale della nostra era, quella del cambiamento climatico, deve ancora essere vinta.” C’è ancora molto lavoro da fare per Greenpeace.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/15/quarantanni-fa-il-primo-arrembaggio-verdeoggi-greenpeace-ha-tre-milioni-di-soci/157655/
Oggi festeggiamo 40 anni di campagne, di impegno e di vittorie. Ma quando siamo nati, con quell'azione partita il 15 settembre 1971, non filò tutto liscio. I nostri fondatori salparono sul peschereccio Phyllis Cormack alla volta di Amchitka, nel Pacifico settentrionale, per protestare contro un imminente test nucleare sotterraneo Usa. Dopo giorni di navigazione, tra discussioni interne e mare grosso, persero la bussola…e vennero intercettati e fermati dalla Guardia Costiera. Non riuscirono a fermare il test e la bomba esplose il 6 novembre. Ma fu l’ultima: il tentativo eroico di quel piccolo gruppo di attivisti, che fondò Greenpeace, conquistò le prime pagine dei giornali nordamericani e da allora Amchitka non fu mai più utilizzata per i test nucleari.
L’anno dopo Greenpeace organizzò una spedizione a Mururoa nell’Oceano Pacifico per protestare contro i test atomici in atmosfera della Francia. Arrivammo lì, riuscimmo a ritardare i test, impegnando l'esercito francese in schermaglie e inseguimenti. Le foto del pestaggio di David Mc Taggart, membro storico dell’organizzazione, fecero il giro del mondo. Finalmente nel 1975, la Francia smise di effettuare test atmosferici.
Il momento più tragico della nostra battaglia fu l’affondamento della Rainbow Warrior I che si trovava in Nuova Zelanda, in attesa di fare rotta a Mururoa per protestare contro i test atomici di profondità. Ma non arrivò mai a Mururoa. Il 10 luglio 1985, due esplosioni squarciarono lo scafo della nave ormeggiata nel porto di Auckland. La Rainbow affondò e Fernando Pereira, il fotografo di Greenpeace, rimase ucciso. Poi si scoprì che fu un atto di sabotaggio dei servizi segreti francesi.
Quando nel 1995 Chirac annunciò la ripresa dei test atomici sull'atollo di Mururoa, cessati nel 1992, Greenpeace tornò in azione. Io ero a Greenpeace già da due anni. Essendo di formazione fisico, il tema nucleare diventò da subito la campagna su cui mi misi a lavorare.
Fu eclatante la prima grande azione del 4 luglio con Gianna Nannini all’ambasciata francese a Piazza Farnese: in pochi attimi i climber di Greenpeace salirono sul balcone portandosi dietro la cantante mentre il suo gruppo suonava su un camioncino circondato da attivisti. Pochi giorni dopo fummo ricevuti dal Presidente Scalfaro che nel frattempo riceveva migliaia di cartoline e fax di protesta. Ottenemmo un importante risultato: Scalfaro “da amico della Francia” criticò fortemente la decisione di riprendere i test atomici.
Anche in Italia una nave di Greenpeace rischiò di affondare, l'Alatair, e sempre a causa dell'esercito francese. Nell’ottobre 1995 la nostra Altair navigava nell’Adriatico . Venuti a sapere che una nave da guerra francese era Brindisi, organizzammo un'azione di protesta. Partimmo all’alba con i nostri gommoni nel porto e gli attivisti si legarono agli ormeggi per non far partire la nave. Le facce dei militari francesi erano divertite mentre ci sparavano getti d’acqua e offrivano cioccolatini agli attivisti incatenati. Quei sorrisi, quando si accorsero che la nave che stava manovrando in porto aveva il logo di Greenpeace, si spensero di colpo. L’Altair ormeggiò parallela alla nave francese impedendole di levare l’ancora senza bloccare il resto del porto.
Dopo una mezz’ora di cannoneggiamento ad acqua, i commando francesi – in tenuta da guerra come a Mururoa – abbordarono la nostra nave lanciando lacrimogeni. Dovemmo scappare dalla cabina di guida a causa del fumo. I militari francesi misero indietro tutta e l’Altair indietreggiando cominciò a sbattere contro il molo. L’equipaggio di Greenpeace riuscì a fermare la nave che nel frattempo aveva subito uno squarcio.
L’azione – effettuata a fine ottobre poco prima di uno dei test atomici - oltre che in Italia ebbe un grande risalto in tutta Europa. In quei mesi avevamo davvero mobilitato i cuori e le menti della maggior parte degli italiani, con sondaggi che superavano il 90% di opposizione ai test nucleari. Quest’anno, per la campagna referendaria del 12 e 13 giugno abbiamo organizzato azioni di protesta, per fortuna meno drammatiche, ma che hanno impegnato tutte le nostre energie. Dall'anniversario di Cernobyl alle azioni del Colosseo, Ponte Vecchio, Campanile di San Marco; la protesta de "ipazzisietevoi.org" e poi il bidone di scorie sulla Terrazza del Pincio; la scalata del balcone di Palazzo Venezia; lo striscione dello Stadio Olimpico durante la finale di Coppa Italia!
Come sapete bene, la campagna nucleare è quella con cui siamo nati ma non è l'unica: c'è la difesa del mare, la protezione delle foreste, la lotta agli OGM e per un futuro senza sostanze tossiche, il clima. Negli anni Greenpeace ha ottenuto tante vittorie ma ce ne sono alcune che rimangono a tutt'oggi fortemente impresse nella memoria di molti di voi: il trattato internazionale che protegge per cinquant'anni l'Antartide da esplorazioni petrolifere e minerarie, la messa al bando delle spadare, la moratoria internazionale sulla caccia baleniera, il divieto di sversamento di scorie nucleari in mare, la protezione di migliaia di ettari di foresta primaria.
A 40 anni, da gruppo di pochi attivisti siamo felici di constatare che siamo cresciuti fino a poter contare su milioni di sostenitori in tutto il mondo. Oggi il nostro impegno è spostare risorse dai Paesi occidentali a quelli emergenti, dove l'urgenza e la gravità di eventi atmosferici estremi si scontra con il colpevole disinteresse dei governi ancora troppo legati a combustibili fossili e fonti di energia dannose per il clima. È anche in Cina, India, Africa che si gioca la partita per salvare il pianeta dai cambiamenti climatici, i cui principali responsabili restano i Paesi industrializzati.
Mai come nel 21esimo secolo l’unica pace possibile è verde: per evitare le guerre tra gli uomini bisognerà proteggere le risorse del pianeta.
Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace
venerdì 16 settembre 2011
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