giovedì 19 febbraio 2015
Ilva UDIENZA PRELIMINARE Veleni di Taranto, tutti gli imputati del processone
di Francesco Casula
Taranto
C
on la morte di Emilio Riva, avvenuta
il 30 aprile dello scorso anno,
nel procedimento penale contro l’Ilva
di Taranto restano otto gli imputati
principali: i figli del fondatore, Nicola e
Fabio Riva, l’ex direttore dello stabilimento
Luigi Capogrosso, l’ex responsabile
delle relazioni istituzionali Girolamo
Archinà, l’avvocato del gruppo
Riva Franco Perli e i cinque fiduciari
che componevano il cosiddetto “governo
ombra” nella fabbrica: Lanfranco
Legnani, Alfredo Ceriani, Giovanni
Rebaioli, Agostino Pastorino ed Enrico
Bessone. Per tutti l’accusa è di associazione
a delinquere: per la Procura di
Taranto, guidata da Franco Sebastio,
l’organizzazione avrebbe agito per controllare
“l’emissione di provvedimenti
autorizzativi nei confronti dello stabilimento
Ilva” e “consentire al predetto
stabilimento la prosecuzione dell'attività
produttiva”.
DAI VERTICI AZIENDALI, quindi, partivano
le manovre sotterranee per tutelare
l’Ilva a danno di operai, cittadini e
territorio. L’associazione a delinquere,
quindi, per i pm si assicurava che le istituzioni
locali e nazionali non emanassero
provvedimenti che avrebbero limitato
la quantità di acciaio prodotto o
costretto l’azienda a spendere milioni e
milioni di euro per adeguare gli impianti.
Le conseguenze di questa politica
aziendale sono spiegate nelle due maxi-perizie
disposte dal gip Patrizia Todisco
che hanno portato alla formulazione
di reati gravissimi. Ai membri
dell’associazione e ai responsabili della
fabbrica, i vari direttori succeduti a Capogrosso
e l’ex presidente del cda Ilva
ed ex prefetto di Milano Bruno Ferrante,
vengono contestati i reati di disastro
ambientale, omissione dolosa di cautele
sui luoghi di lavoro e avvelenamento di
sostanze alimentari.
La continua emissione di sostanze nocive
avvenuta con “piena consapevolezza”,
cioè, avrebbe determinato un “gra -
vissimo pericolo per la salute pubblica”
causando “eventi di malattia e morte
nella popolazione”, mettendo a rischio
la salute dei lavoratori dell’Ilva e avvelenando
i terreni su cui pascolavano
greggi di pecore e le acque nelle quale si
allevavano le cozze di Taranto. Nelle fascicolo
dell’inchiesta sono finite anche
le riprese effettuate dai carabinieri del
Noe di Lecce che, guidati dal maggiore
Nicola Candido, hanno filmato i fenomeni
di slopping: le imponenti nubi rossastre
che incontrollate fuoriuscivano
dalle acciaierie.
Ma com’è stato possibile che i Riva potessero
causare danni simili? Per la procura,
come detto, i vertici della fabbrica
hanno costituito una rete di appoggi
che ha permesso di neutralizzare qualunque
iniziativa sfavorevole ai padroni
dell’acciaio. Ed è per questo che nel processo
figurano anche tutti i livelli istituzionali:
il sindaco di Taranto, Ippazio
Stefano, accusato di omissione di atti
d’ufficio, l’ex presiidente della provincia,
Gianni Florido, accusato di aver fatto
pressioni sui dirigenti per concedere
l’autorizzazione alle discariche Ilva (che
infine è stata firmata addirittura dal governo
dopo l’arresto di Florido), il governatore
della Puglia, Nichi Vendola,
che secondo i pm avrebbe fatto pressioni
su Giorgio Assennato, direttore di
Arpa Puglia e nemico giurato dello stabilimento,
per ottenere una linea più favorevole
all’azienda.
NELLA RICHIESTA di rinvio a giudizio
formulata dagli inquirenti c’è anche
l’avvocato Luigi Pelaggi, segretario della
commissione ministeriale che ha
concesso l’autorizzazione integrata ambientale
all’Ilva nel 2011 e capo della segreteria
tecnica di Stefania Prestigiacomo,
ministro dell’ambiente nel governo
Berlusconi che “incarico del ministro”
telefona direttamente a Fabio Riva chiedendo
e ottenendo una donazione alla
Fondazione Liberamente, costituita nel
2010 dalla Prestigiacomo con gli altri ex
ministri pidiellini, Mariastella Gelmini
e Franco Frattini.
Amministratori, politici, ma anche
consulenti della procura sono finiti nei
guai. È il caso di Lorenzo Liberti, docente
universitario incaricato dalla procura
di indagare sulle emissioni Ilva,
che secondo gli stessi magistrati il 26
marzo 2010 riceve da Archinà una busta
con all’interno 10 mila euro per
“ammorbidire” la perizia.
In queste settimane le accuse del processo
“Ambiente svenduto” sono esaminate
nell’udienza preliminare davanti
al gup Vilma Gilli che dovrà decidere ti al gup Vilma Gilli che dovrà decidere
sulle richieste di rinvio a giudizio. il fatto quotidiano 19 febbraio 2015
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