venerdì 27 febbraio 2015
Eternit, il codice ha un’opzione sola Giustizia giusta
DIVERSE LETTURE
Il senatore Casson
ha definito la sentenza
di Cassazione “contra
lavoratorem”. Ma il reato
di disastro non include
quello di omicidio di Bruno Tinti
L
a sentenza della
Cassazione nel processo
Eternit ha innescato
la polemica
tipica di quando “i giudici non
fanno giustizia”. Il senatore
Casson (ex pm esperto di reati
ambientali) l’ha definita “contra
lavoratorem”: “I giudici
potevano benissimo decidere
come i colleghi di primo e secondo
grado (che avevano
condannato Schmidheiny a
18 anni di reclusione). La decisione
di questi ultimi è stata
maggiormente conforme alla
Carta costituzionale, che in
più punti dà per prioritaria la
tutela della salute e dei lavoratori.
Quando ci sono più
opzioni bisogna leggere secondo
l’ottica costituzionale.”
IL PUNTO È che “più opzioni”
non ce n’erano: il disastro
consiste nel commettere “un
fatto diretto a cagionare il
crollo di una costruzione o di
una parte di essa ovvero un
altro disastro. La pena è della
reclusione da tre a dodici anni
se il crollo o il disastro avviene.”
(art. 434 cp). Dunque la
legge non richiede che questa
condotta cagioni morti o feriti:
è sufficiente che la costruzione
crolli o che, nel caso
Eternit, le polveri di amianto
siano disperse nell’aria. Tanto
ciò è vero che, in questo come in tutti gli altri disastri (artt.
423/437), la morte di persone
come conseguenza del disastro
non è mai menzionata. Il
che è ovvio, poiché questi
eventi sono previsti da altre
norme, quelle in materia di
omicidio. Per questo la Cassazione
ha spiegato che “il Tribunale
ha confuso la permanenza
del reato con la permanenza
degli effetti del reato (le
persone morte in epoca successiva,
anche di molto, alla
diffusione delle polveri
nell’aria), la Corte di Appello
ha inopinatamente aggiunto
all’evento costitutivo del disastro
eventi rispetto ad esso
estranei ed ulteriori, quali
quelli delle malattie e delle
morti, costitutivi semmai di
differenti delitti di lesioni e di
omicidio”. Ma lesioni e omicidi
non erano stati contestati.
E la Cassazione proprio questo
ha rimproverato alla Procura
di Torino.
Quando dunque la legge non
consente dubbi interpretativi
(il che non può dirsi delle leggi
emanate nell’ultimo ventennio
ma è certo il caso dell’art.
434 del codice penale), dolersi
del giudice che non ne fa
“un’interpretazione costituzionalmente
orientata” è eversivo;
significa volere un giudice che la interpreti sulla base
dei suoi convincimenti personali
(anche l’interpretazione
della Costituzione può variare
da giudice a giudice), addirittura
a favore di alcuni soggetti
e a danno di altri. Non a caso
Casson parla di sentenza
“contra lavoratorem”. Proprio
per evitare questo pericolo èprevista la possibilità, per il
giudice che ritiene la legge non
conforme ai principi costituzionali,
di sollevare eccezione
davanti alla Corte Costituzionale.
Insomma il giudice ordinario
applica la legge; il giudice
delle leggi ne valuta la
conformità alla Costituzione. E, in ogni modo, nel caso Eternit
non c’era proprio nulla di
incostituzionale. La tutela prevista
dalla legge è completa: in
prima battuta si punisce il disastro;
se da questo derivano
morti, si applicano le norme in
materia di omicidio. Questo,
tardivamente, sta cercando di
fare la Procura di Torino, che
ha rinviato a giudizio Schmidheiny
per l’omicidio volontario
(per dolo eventuale) di
258 persone. Ma anche questo
processo potrebbe chiudersi
con un’assoluzione. Non tanto
per le ragioni subito esposte
dai difensori dell’imputato: un
presunto ne bis in idem che
contrasterebbe con la giurisprudenza
della CEDU, secondo cui quello che conta per
valutare se una persona è processata
due volte per lo stesso
fatto è appunto l’identità del
fatto storico e non l’identità
della cosiddetta fattispecie
giuridica (l’applicazione al fatto
di norme diverse tra loro).
Si è già visto che Schmidheiny
è stato processato per disastro,
che è “fatto” completamente
diverso dall’omicidio che ne è
conseguito; a ragionare diversamente,
sarebbe come se si
considerasse “stesso fatto” una
rapina, nel corso della quale
un poliziotto restasse ucciso, e
l’omicidio di questo sventurato.
IL PROBLEMA è invece che la
Cassazione si è già pronunciata
sulla correttezza di questo
tipo di imputazione in occasione
del processo Thyssen; e
ha escluso la configurabilità
dell’omicidio volontario per
dolo eventuale, ravvisando
l’omicidio colposo. E – si noti
– in quel caso il dolo degli imputati
era provato (a mio parere)
dall’esistenza di una corrispondenza
che metteva in
evidenza le carenze antinfortunistiche
dello stabilimento di Torino e la decisione
dell’imputato di non eliminarle
visto che, di lì a qualche mese,
questo sarebbe stato chiuso.
Ma, nel caso Eternit, prove
di questo genere non ci sono.
Inoltre, come ha rilevato la
stessa Cassazione, l’effetto nocivo
delle polveri di amianto
era stato accertato nel 1993
(da qui l’ordine di provvedere
alla bonifica dei siti); e la produzione
era cessata nel 1986.
Non sarà facilissimo sostenere
che Schmidheiny sapeva, prima
del 1986, che le polveri erano
nocive, che cagionavano la
morte e che, ciò nonostante,
decise di continuare la produzione.
Insomma, prima di
prendersela con i giudici che
non emettono la sentenza
“giusta”, sarebbe bene pensare
a cosa succederebbe se questa
fosse emessa, sì, ma in violazione
di legge. Potrebbe accadere
che, domani, la sentenza
“giusta” ci sembri “arbitra -
ria”. il fatto quotidiano 27 febbraio 2015
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