lunedì 23 febbraio 2015

processo Eternit, Cassazione: “Prescritto prima di iniziare. Ma politica lenta”

I giudici di terzo grado annullano tutti i risarcimenti: "Reato non oltre il 1986. Ma dovevano essere contestate lesioni e omicidi". Infine la "censura" del mancato adeguamento delle normative nonostante gli effetti dell'amianto fossero noti già dalla fine degli anni Settanta Il processo per i morti di amianto era prescritto prima ancora di cominciare. Il reato contestato era quello sbagliato: il disastroanziché l’omicidio e le lesioni. E la politica si è dimostratalentissima ad adeguare le normative, nonostante gli effetti dell’asbesto fossero noti non solo in sede scientifica, ma anche in sede di Comunità europea dalla fine degli anni Settanta. Sono in sintesi gli elementi delle motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione che ha mandato assolto Stephan Schmidheiny, magnate svizzero di Eternit finché la società non è fallita nel 1986. dopo che la Corte d’appello lo aveva condannato a 18 anni di reclusione. Il verdetto ha tra l’altro annullato i risarcimenti ai familiari delle vittime. In tutto le morti legate a patologie provocate dall’esposizione all’amianto nelle zone in cui operava Eternit (Casale MonferratoCavagnoloRubieraBagnoli) sono state circa 2mila.
“Tutto prescritto prima di cominciare”
Ad avviso della Cassazione “a far data dall’agosto dell’anno 1993″ era ormai acclarato l’effetto nocivo delle polveri di amianto la cui lavorazione, in quell’anno, era stata “definitivamente inibita, con comando agli Enti pubblici di provvedere alla bonifica dei siti”. “E da tale data – si legge nelle motivazioni – a quella del rinvio a giudizio (2009) e della sentenza di primo grado (13/02/2012) sono passati ben oltre i 15 anni previsti” per “la maturazione della prescrizione in base alla legge 251 del 2005″. Tesi che era stata sostenuta anche dal procuratore generale della Cassazione Francesco Iacoviello che nella sua requisitoria aveva chiesto, appunto, di annullare la condanna. “La prescrizione non risponde a esigenze di giustizia ma ci sono momenti in cui dirittogiustizia vanno da parti opposte” aveva detto Iacoviello. Dunque “per effetto della constatazione della prescrizione del reato, intervenuta anteriormente alla sentenza di I grado”, cadono “tutte le questioni sostanziali concernenti gli interessi civili e il risarcimento dei danni”.
“Confusa la permanenza del reato con quella degli effetti”
Non solo. Secondo i giudici di terzo grado l’imputazione di disastrocontestata a Schmidheiny non era la più adatta da applicare per il rinvio a giudizio dal momento che la condanna massima sarebbe troppo bassa, per chi miete morti e malati, perché punita con 12 anni di reclusione. In pratica “colui che dolosamente provoca, con la condotta produttiva di disastro, plurimi omicidi, ovverosia, in sostanza, una strage” verrebbe punito con solo 12 anni di carcere e questo è “insostenibile dal punto di vista sistematico, oltre che contrario al buon senso”. Gli ermellini ritengono dunque che il “Tribunale ha confuso la permanenza del reato con lapermanenza degli effetti del reato, la Corte di Appello ha inopinatamente aggiunto all’evento costitutivo del disastro eventi rispetto ad esso estranei ed ulteriori, quali quelli delle malattie e delle morti, costitutivi semmai di differenti delitti di lesioni e diomicidio“. Il procuratore aggiunto di Torino Raffaele Guariniello dopo la lettura del dispositivo della sentenza aveva detto: “Non bisogna demordere. Non è una assoluzione. Il reato c’è. E adesso possiamo aprire il capitolo degli omicidi”. Già nelle ore successive alla sentenza la stessa Cassazione, anche per via delle polemiche anche politiche, aveva precisato che il verdetto si era concentrato sul reato di disastro e non sulle morti. Proprio a fine novembre si è chiusa l’inchiesta bis questa volta per omicidio volontario sulla morte di 256 persone.
“Reato non oltre il 1986″
Tornando alla prescrizione, dunque, per la Cassazione “la consumazione del reato di disastro non può considerarsi protratta oltre il momento in cui ebbero fine le immissioni delle polveri” d’amianto “prodotte dagli stabilimenti” gestiti da Schmidheiny e cioè “non oltre il mese di giugno dell’anno 1986, in cui venne dichiarato il fallimento delle società del gruppo”. Con il fallimento scrive la Cassazione “venne meno ogni potere gestorio riferibile all’imputato e al gruppo svizzero” e gli stabilimenti (Casale Monserrato e Cavagnolo in Piemonte,Bagnoli in Campania e Rubiera in Emilia, cessarono l’attività produttiva “che aveva determinato e completato per accumulo e progressivo incessante incremento la disastrosa contaminazione dell’ambiente lavorativo e del territorio circostante”. Infine i giudici hanno rspinto la tesi di alcuni avvocati di parte civile che ritenevano che Schmidheiny dovesse essere dichiarato responsabile per la mancata o incompleta bonifica dei siti produttivi. Spiegano gli ermellini che la fattispecie incriminatrice del reato di disastro “non reca traccia di tale obbligo, né esso, o altro obbligo analogo, può desumersi dall’ordinamento giuridico, specie se riportato al momento in cui lo stesso dovrebbe considerarsi sorto (1986)”.

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