I
LEGALI DEL GOVERNATORE CHIEDONO L’ESCLUSIONE DAL PROCESSO DI VERDI,
LEGAMBIENTE, WWF, PAECLINK E COMITATI
L’ALTRO
PROCESSO
A
Taranto già
condannati
ventisette
dirigenti
dell’azienda
per
la morte
di
28 operai, affetti
da
mesotelioma
di
Francesco
Casula
Taranto
Arriverà
nei prossimi giorni la decisione del
giudice
Vilma Gilli che dovrà valutare le oltre
mille
richieste di risarcimento presentate nei
confronti
dell’Ilva di Taranto, delle altre due società
dell’impero
dei Riva e dei 49 imputati coinvolti
nell’inchiesta
“ambiente svenduto”.
Nell’udienza
di ieri, infatti, accusa difesa e parti
civili
si sono dati battaglia per
l’esclusione
o l’ammissione delle
numerose
richieste giunte sul
tavolo
del giudice e che, complessivamente
ammontano
a oltre
30
miliardi di euro. La procura,
ad
esempio, ha chiesto di
escludere
la costituzione di parte
civile
di associazioni ambientaliste
nei
confronti delle società
giuridiche
imputate, mentre il
legale
di Nichi Vendola, il governatore
di
Puglia accusato di
concussione,
ha chiesto al magistrato
di
non accogliere la richiesta di costituzione
presentata
da Verdi, Legambiente, Wwf,
Peacelink,
Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi
e
pensanti e altre associazioni ambientaliste.
L’UDIENZApreliminare,
quindi entra nel vivo pochi
mesi
dopo la chiusura in primo grado di un
altro
processo epico contro lo stabilimento siderurgico
al
termine del quale furono condannati 27
ex
dirigenti accusati di omicidio colposo per la
morte
di 28 operai affetti da mesotelioma
pleurico
contratto per
l’esposizione
all’amianto presente
nella
fabbrica di Taranto.
Una
problematica che “non ha
mai
superato il piano dell’orali -
tà”
dato che nessun dirigente
Italsider
(nome della fabbrica
durante
la gestione statale) o Ilva
“ha
mai adottato un provvedimento
concreto
volto a migliorare
le
condizioni di lavoro legate
all’amianto”.
Nelle 268 pagine
il
giudice Simone Orazio ha
chiarito
inoltre che “questa situazione di consapevole
e
lucida omissione si è perpetrata per decenni,
essendo
sotto gli occhi di tutti nel senso che
l’inerzia
è stata maturata e voluta sia da coloro che
avevano
ruoli operativi e che pertanto erano a conoscenza
delle
inaccettabili condizioni in cui costringevano
a
lavorare i dipendenti sia da parte di
coloro
che avevano responsabilità manageriali,
gestionali
e di controllo finanziario data l’assenza
di
alcuno stanziamento al riguardo”. Insomma i
vertici
della fabbrica, pubblica e privata, erano
perfettamente
a conoscenza della situazione, ma
nessuno
si è attivato. Anzi. Le malattie che hanno
ucciso
gli operai potevano essere evitate o quanto
meno
individuate per tempo. Nella sentenza, infatti,
si
legge che l’azienda non ha mai disposto
visite
mediche idonee che avrebbero consentito di
“diagnosticare
una patologia (placche pleuriche)
che
poteva essere un campanello d’allarme per il
mesotelioma”
e avrebbe “obbligato il datore di lavoro
a
non esporre più il lavoratore”alle fibre cancerogene
e
quindi “sottraendolo al pericolo di
morte”.
Gli operai, perciò, potevano essere salvati.
Quello
che è accaduto a Taranto, quindi, “non è il
frutto
di un singolo incidente, di un fatto episodico
coincidente
con una svista o con una omissione
o
con una decisione superficiale dei vertici in
materia
di sicurezza sui posto di lavoro”, ma la
drammatica
conseguenza di “una logica di organizzazione
dei
fattori produttivi” di “una pianificazione
delle
linee di politica del lavoro e della
salute
del lavoratori” determinate dalla mirata
“scelta
compiuta dai vertici con la colpevole complicità
del
loro collaboratori”. Pag. 7 Il fatto quotidiano 22 novembre 2014
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