LE
ESPLORAZIONI
SONO
SPACCIATE
PER
INNOCUE
MA
CAUSANO
MORIA
DI PESCI:
LE
TRIVELLAZIONI
DISPERDONO
GLI
INQUINANTI,
LE
PIATTAFORME
SONO
BOMBE
AD
OROLOGERIA
di
S.
Feltri e T. Mackinson
Aben
vedere qualcosa
s'è
mosso, anche nella
parte
italiana dell'alto
Adriatico
e sono le
carcasse
di delfini e tartarughe
marine,
a centinaia, trasportati
un
anno fa dalle correnti sulle
spiagge
italiane, dal Veneto alle
Marche.
Per i biologi cetacei e
caretta
sono stati uccisi dalle
onde
d'urto utilizzate per setacciare
i
fondali a caccia dei giacimenti
di
gas e petrolio che fan
gola
al governo dalmata (e ora
pure
a quello italiano). La prova
autoptica
- se ce ne fosse bisogno
-
che il mito dell'esplorazione
“pulita”
è un falso, così come
quello
delle trivelle che non
provocano
danni all'ambiente.
Un
pozzo esplorativo “tipo”,
per
dire, scarica tra le 30 e le 120
tonnellate
di
sostanze tossiche
nell'arco
della sua (breve) vita,
spiegano
gli esperti che lavorano
per
Onu, Fao e Oms. Soprattutto
fanghi
sintetici utilizzati
nelle
ordinarie attività di trivellazione
e
produzione. E tuttavia
la
Strategia energetica nazionale,
che
punta al raddoppio della
produzione
di gas e petrolio entro
il
2020, sembra non tenerne
conto
ed evoca una fantomatica
“produzione
sostenibile di
idrocarburi”.
I
rischi dell’offshore
Sono
105
le piattaforme di
produzione
disseminate
lungo i
7.500
km di coste italiane. Da 67
pozzi
di coltivazione estraggono
4,9
milioni di tonnellate di
olioe6
Msm3 di gas.
Presto potrebbero
essere
molte di più. Ad
oggi
si contano 20 permessi di
ricerca
nei fondali cui si aggiungono
44
istanze di
permesso di
ricerca
(6 in fase decisoria) e 6 di
prospezione
in aree marine ancora
libere
da attività mineraria.
Il
governo punta sbloccarle per
rilanciare
l'offshore italiano,
un'espressione
che subito evoca
i
grandi disastri ambientali che
hanno
impressionato il mondo
(British
Petroleum, 2010 e Piper
Halfa
del '88). Per stare in
casa
nostra, l'incidente alla piattaforma
Paguro
(Agip)
nel '65
che
costò la vita a tre persone.
Proprio
un anno fa, l'affondamento
della
Perro
Negro 6
(Saipem,
Eni) durante le operazioni
di
posizionamento della
piattaforma
tra Angola e Congo.
La
sicurezza di questi giganti
del
mare è dunque un altro mito
da
sfatare. “Non è vero che gli
incidenti
sono rarissimi, sono
invece
numerosi”, spiegava il
dirigente
di ricerca dell'Ispra,
Silvio
Greco,
a commento della
tragedia
messicana. “Negli ultimi
vent'anni
se conta uno all'anno.
Può
succedere anche da
noi,
solo che i nostri mari hanno
un
ricambio minimo, sono bacini
chiusi,
e l'impatto anche
minore
potrebbe essere devastante”.
Il
gigante malfermo
Altri
due esempi, recenti e nostrani,
sul
“trivellare senza rischi”.
La
Scarabeo
9 è
l'unità di
perforazione
Saipem di ultima
generazione
che ha inaugurato
l'attività
estrattiva al largo di
Cuba
(in predicato di scavare il
pozzo
Vela 1 nel Canale di Sicilia,
al
largo di Licata). Ebbene
durante
il suo trasferimento da
Yantai
(Cina) a Singapore ha
imbarcato
acqua, “cosa che ha
causato
forzatamente lavori di
riparazione
e un'approfondita
ispezione
per assicurare la sua
capacità
di stare in mare”, racconta
un
rapporto sulla sicurezza
citato
da Greenpeace Italia
(“I
vizi di Eni”, 2013). Un'altra
piattaforma,
la Scarabeo
8,
nel
2012
si è inclinata di 7 gradi perforando
il
campo “Salina” nel
mare
di Barents, in Norvegia.
Senza
conseguenze, ma ottenendo
un
ordine dell'autorità di
controllo
norvegesi di assicurare
“la
gestione dei processi in
conformità
con la salute, la sicurezza
e
l'ambiente”. Parole
come
pietre. Del resto, c'è chi ha
apertamente
messo in dubbio
gli
standard di sicurezza della
flotta
italiana. E dice di aver subito
per
questo pesanti rappresaglie,
fino
al licenziamento.
Denunce
zittite
Due
ex dirigenti Saipem, Gian
-
ni
Franzoni e
Giulio
Melegari,
hanno
trovato sponda nel M5S
e
in particolare nel senatore Vito
Petrocelli
che ha portato la
loro
vicenda in Parlamento.
Denunciano
di essere stati allontanati
dopo
le loro denunce
sulle
procedure di sicurezza
dentro
Saipem (trasmesse anche
all'ex
ad Eni, Paolo Scaroni,
una
delle ragioni del licenziamento).
Nelle
rispettive cause
di
lavoro hanno presentato documenti
a
sostegno della tesi secondo
cui
“Saipem avrebbe eseguito
operazioni
navali, di perforazione
petrolifera
e lavori industriali
in
acque profonde,
senza
il personale idoneo, in
violazione
delle certificazioni
emesse
o addirittura senza i certificati
necessari
come richiesto
dalla
legge italiana e dalle normative
internazionali”,
come si
legge
nell'interrogazione del
M5S.
Tra i dettagli che sottolineano
i
due dirigenti: i mezzi
Saipem
battono bandiera delle
Bahamas,
dove si applica un
codice
marittimo che rende difficile
perseguire
i tecnici che
fanno
certificazioni di sicurezza
disinvolte.
“Le denunce non
hanno
avuto alcun impatto sul
loro
licenziamento”, replica
l’azienda.
“Le loro segnalazioni
sono
sempre state prese in seria
considerazione
e verificate con
audit
che hanno avuto esito negativo”.
Ma
Franzoni e Melegari
non
si arrendono, e il M5S
continua
a sostenerli. Ora il
nuovo
ad di Eni Claudio
Descalzi
pare
intenzionato a mettere
sul
mercato una quota di
Saipem,
per fare cassa.
il fatto quotidiano 7 luglio 2014
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