lunedì 7 luglio 2014

La gran balla della produzione “eco-sostenibile” le trivellazioni di petrolio disperdono inquinanti, causano morie di pesci sono bombe ad orologeria le piattaforme


LE ESPLORAZIONI
SONO SPACCIATE
PER INNOCUE
MA CAUSANO
MORIA DI PESCI:
LE TRIVELLAZIONI
DISPERDONO
GLI INQUINANTI,
LE PIATTAFORME
SONO BOMBE
AD OROLOGERIA
di S. Feltri e T. Mackinson
Aben vedere qualcosa
s'è mosso, anche nella
parte italiana dell'alto
Adriatico e sono le
carcasse di delfini e tartarughe
marine, a centinaia, trasportati
un anno fa dalle correnti sulle
spiagge italiane, dal Veneto alle
Marche. Per i biologi cetacei e
caretta sono stati uccisi dalle
onde d'urto utilizzate per setacciare
i fondali a caccia dei giacimenti
di gas e petrolio che fan
gola al governo dalmata (e ora
pure a quello italiano). La prova
autoptica - se ce ne fosse bisogno
- che il mito dell'esplorazione
pulita” è un falso, così come
quello delle trivelle che non
provocano danni all'ambiente.
Un pozzo esplorativo “tipo”,
per dire, scarica tra le 30 e le 120
tonnellate di sostanze tossiche
nell'arco della sua (breve) vita,
spiegano gli esperti che lavorano
per Onu, Fao e Oms. Soprattutto
fanghi sintetici utilizzati
nelle ordinarie attività di trivellazione
e produzione. E tuttavia
la Strategia energetica nazionale,
che punta al raddoppio della
produzione di gas e petrolio entro
il 2020, sembra non tenerne
conto ed evoca una fantomatica
produzione sostenibile di
idrocarburi”.
I rischi dell’offshore
Sono 105 le piattaforme di produzione
disseminate lungo i
7.500 km di coste italiane. Da 67
pozzi di coltivazione estraggono
4,9 milioni di tonnellate di
olioe6 Msm3 di gas. Presto potrebbero
essere molte di più. Ad
oggi si contano 20 permessi di
ricerca nei fondali cui si aggiungono
44 istanze di permesso di
ricerca (6 in fase decisoria) e 6 di
prospezione in aree marine ancora
libere da attività mineraria.
Il governo punta sbloccarle per
rilanciare l'offshore italiano,
un'espressione che subito evoca
i grandi disastri ambientali che
hanno impressionato il mondo
(British Petroleum, 2010 e Piper
Halfa del '88). Per stare in
casa nostra, l'incidente alla piattaforma
Paguro (Agip) nel '65
che costò la vita a tre persone.
Proprio un anno fa, l'affondamento
della Perro Negro 6
(Saipem, Eni) durante le operazioni
di posizionamento della
piattaforma tra Angola e Congo.
La sicurezza di questi giganti
del mare è dunque un altro mito
da sfatare. “Non è vero che gli
incidenti sono rarissimi, sono
invece numerosi”, spiegava il
dirigente di ricerca dell'Ispra,
Silvio Greco, a commento della
tragedia messicana. “Negli ultimi
vent'anni se conta uno all'anno.
Può succedere anche da
noi, solo che i nostri mari hanno
un ricambio minimo, sono bacini
chiusi, e l'impatto anche
minore potrebbe essere devastante”.
Il gigante malfermo
Altri due esempi, recenti e nostrani,
sul “trivellare senza rischi”.
La Scarabeo 9 è l'unità di
perforazione Saipem di ultima
generazione che ha inaugurato
l'attività estrattiva al largo di
Cuba (in predicato di scavare il
pozzo Vela 1 nel Canale di Sicilia,
al largo di Licata). Ebbene
durante il suo trasferimento da
Yantai (Cina) a Singapore ha
imbarcato acqua, “cosa che ha
causato forzatamente lavori di
riparazione e un'approfondita
ispezione per assicurare la sua
capacità di stare in mare”, racconta
un rapporto sulla sicurezza
citato da Greenpeace Italia
(“I vizi di Eni”, 2013). Un'altra
piattaforma, la Scarabeo 8, nel
2012 si è inclinata di 7 gradi perforando
il campo “Salina” nel
mare di Barents, in Norvegia.
Senza conseguenze, ma ottenendo
un ordine dell'autorità di
controllo norvegesi di assicurare
la gestione dei processi in
conformità con la salute, la sicurezza
e l'ambiente”. Parole
come pietre. Del resto, c'è chi ha
apertamente messo in dubbio
gli standard di sicurezza della
flotta italiana. E dice di aver subito
per questo pesanti rappresaglie,
fino al licenziamento.
Denunce zittite
Due ex dirigenti Saipem, Gian -
ni Franzoni e Giulio Melegari,
hanno trovato sponda nel M5S
e in particolare nel senatore Vito
Petrocelli che ha portato la
loro vicenda in Parlamento.
Denunciano di essere stati allontanati
dopo le loro denunce
sulle procedure di sicurezza
dentro Saipem (trasmesse anche
all'ex ad Eni, Paolo Scaroni,
una delle ragioni del licenziamento).
Nelle rispettive cause
di lavoro hanno presentato documenti
a sostegno della tesi secondo
cui “Saipem avrebbe eseguito
operazioni navali, di perforazione
petrolifera e lavori industriali
in acque profonde,
senza il personale idoneo, in
violazione delle certificazioni
emesse o addirittura senza i certificati
necessari come richiesto
dalla legge italiana e dalle normative
internazionali”, come si
legge nell'interrogazione del
M5S. Tra i dettagli che sottolineano
i due dirigenti: i mezzi
Saipem battono bandiera delle
Bahamas, dove si applica un
codice marittimo che rende difficile
perseguire i tecnici che
fanno certificazioni di sicurezza
disinvolte. “Le denunce non
hanno avuto alcun impatto sul
loro licenziamento”, replica
l’azienda. “Le loro segnalazioni
sono sempre state prese in seria
considerazione e verificate con
audit che hanno avuto esito negativo”.
Ma Franzoni e Melegari
non si arrendono, e il M5S
continua a sostenerli. Ora il
nuovo ad di Eni Claudio Descalzi
pare intenzionato a mettere
sul mercato una quota di
Saipem, per fare cassa.

il fatto quotidiano 7 luglio 2014

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