martedì 1 luglio 2014

Che Gioia (Tauro) le armi chimiche Arriva in Calabria l’arsenale di Assad


di Enrico Fierro
Una nave è già in porto, stando alle informazioni
ufficiali, l’altra arriverà. I
paesi della Piana tremano. All’alba di oggi,
secondo i piani del governo, la Cape Ray, il
cargo statunitense che dovrà caricare le 600
tonnellate di armi chimiche siriane, ha gettato
la sua ancora nei fondali di Gioia Tauro,
l’altra nave, la danese Ark-Futura, partita
dalla Siria, arriverà domani. I sistemi di
sicurezza sono al massimo dell’efficienza,
assicurano le autorità, “saranno trasbordate sostanze chimiche,
non armi”, si legge su un manifesto per tranquillizzare
la popolazione. “I contenitori stagni – c’è scritto –
sono racchiusi in appositi container…”. C’è da essere tranquilli?
Non proprio. “In troppi si stanno affannando più
che ad informare la gente, a tranquillizzarla”. Pino Romeo
è un urbanista attivista del Comitato “Sos mediterraneo”,
con i suoi compagni d’avventura si è gemellato con altri
ambientalisti della Grecia, di Creta in modo particolare,
perché qui, al largo, avverrà l’operazione più pericolosa: la
totale distruzione delle armi chimiche. “L’informazione –
ci dice – è affidata ad un misero volantino distribuito alla
popolazione. Poco si sa sul processo di distruzione per
idrolisi, sui suoi tempi lunghissimi e sui rischi. Ci dicono
che è una operazione di pace, ma se di pace si tratta, perché
altri Paesi tipo il Belgio, la Finlandia, l’Albania, la stessa
Russia, si sono rifiutati di ospitare le navi? Abbiamo molti
dubbi anche sulla sicurezza, visto che i Vigili del Fuoco
hanno detto pubblicamente che l’operazione presenta rischi
seri. Nei container, potrebbero esserci armi montate,
quindi pronte all’uso, e questo non fa che aumentare i pericoli”.
Risposta di fonti dell’Opac, l’organizzazione delle
Nazioni unite per la distruzione delle armi
chimiche: a bordo della nave ci sono gas
mostarda e Sarin, di armi montate neppure
l’ombra. Intanto il porto è stato militarizzato,
con una zona rossa di 1 un chilometro
dall’ingresso delle banchine e di
un’area interdetta al traffico aereo durante
tutta la fase di trasbordo, si parla di centinaia
di militari e poliziotti impiegati. Anche
per Mimmo Macrì, portuale del sindacato
Sul, “ci sono troppe cose poco chiare”.
Che fine faranno le scorie dopo il
processo di idrolisi? Stanno parlando solo di sistemi di
difesa militare, non di tutela sanitaria delle popolazioni in
caso di incidente. I nostri ospedali non sono attrezzati”.
PREOCCUPAZIONI e tensioni. Ieri mattina al lungomare di
Reggio si è tenuto un flash mob contro le armi chimiche, un
altro si svolgerà stasera di fronte al Comune di San Ferdinando.
Siamo in piena emergenza – dice Mimmo Madafferi,
il sindaco del paese – forse la gente può stare tranquilla,
i sistemi di sicurezza e di protezione civile funzionano.
Ma continuo ad essere contrario a tutta l’operazione.
Questa zona, ormai, è considerata una discarica nazionale,
altro che sviluppo. Siamo stati ingannati da tutti, da Letta,
ora da Renzi, da Nencini che prometteva riunioni per il
rilancio del porto. Se arriva un ministro non lo ricevo. Mi
sospendano pure, ma non lo faccio. Se devono venire qui a
fare passerelle è meglio che stiano a Roma”. Gioia Tauro, il
porto, la rinascita, le piattaforme logistiche, le aree industriali
e i trasporti, un inganno che dura da trent’anni. La
realtà sono i 450 portuali in cassa integrazione, i capannoni
vuoti e la gente di queste parti che ricomincia ad andar via.

All’estero, lontano da disoccupazione e armi chimiche. il fatto quotidiano 1 luglio 2014

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