IL
MAXI-CONDOTTO Non
possiamo contare sul gas
americano
e restiamo dipendenti da quello fornito
da
Putin. Che non si fida del tutto dell’Italia
SOUTH
STREAMIL
TUBO
CHE
SERVE A MOSCA
MA
SPAVENTA L’EUROPA
POTERE
GAZPROM
Dopo
le tensioni del 2006
e
2009, il piano russo è stato
quello
di aggirare l’Ucraina,
a
Nord col gasdotto North
Stream
verso la Germania
e
a Sud con il South Stream
SENZA
ALTERNATIVE
Bruxelles
ha sempre sostenuto
il
progetto alternativo
Nabucco,
poi abbandonato
Ora
si è rassegnata
a
un rapporto di mutua
dipendenza
con la Russia
di
Gionata
Picchio
Nel
braccio di ferro politico
e
diplomatico
tra
Europa e Russia,
che
si è inasprito la
scorsa
settimana con l'accordo di
libero
scambio tra Unione europea
e
Ucraina, le infrastrutture energetiche
come
il South Stream sono
diventate
pedine chiave. Ma a chi
serve
il nuovo maxi-gasdotto? In
certa
misura proprio all'Europa,
più
di quanto Bruxelles voglia ammettere.
Oltre
naturalmente alle
imprese
partecipanti, tra cui le italiane
Eni
e Saipem. Ma più di tutti
serve
alla Russia, che dipende dai
ricavi
dell'export più che l'Europa
dal
suo gas.
L'Europa
copre col metano quasi
un
quarto del suo fabbisogno di
energia
primaria. Il 30 per cento
del
gas che consuma viene dalla
Russia
e una metà di questo, circa
80
miliardi di metri cubi all'anno,
transita
per l'Ucraina. Negli ultimi
anni
le dispute Mosca-Kiev sul gas
hanno
portato all'interruzione dei
flussi
all'Europa nel 2006 e nel
2009.
La risposta russa è stata tentare
di
aggirare l'Ucraina, a Nord
col
gasdotto North Stream con approdo
in
Germania, capacità 55
miliardi
di metri cubi all'anno,
inaugurato
nel 2011-12, e a Sud
con
il South Stream, 63 miliardi di
metri
cubi all'anno, invece ancora
da
costruire.
I
soci del tratto offshore del progetto,
che
attraverserà il Mar Nero
per
poi proseguire via Balcani fino
in
Europa centrale, sono la russa
Gazprom
col 50 per cento, Eni col
20,
la francese Edf col 15 e la tedesca
Wintershall,
controllata di
Basf
(15). La decisione finale di investimento
sul
tratto sottomarino è
stata
presa nel 2012. L'avvio della
prima
linea è atteso a fine 2015 e
dell'ultima
nel 2018.
Con
lo scoppio della crisi russo-
ucraina,
la tensione sul progetto
è
cresciuta. Se Bruxelles, da sempre
sostenitrice
del progetto rivale Nabucco,
oggi
tramontato, non aveva
RIPENSAMENTI
Alitalia,
ora le Poste
vogliono
vederci chiaro
Per
Graziano Delrio sottosegre
-
tario
alla Presidenza del Consiglio,
è
stato fatto “qualche passo
avanti
”. Ma la vicenda Alitalia si
trascina
lenta come una fatica irrisolvibile.
Se
ieri il governo ha
convocato
a Palazzo Chigi l’amministratore
delegato,
Gabriele
del
Torchio, le banche creditrici e
gli
azionisti da uno di questi,
Francesco
Caio, Ad delle Poste si
è
sentito porre una serie di dubbi,
anche
pesanti. “L'alleanza tra Alitalia
e
Etihad può creare le premesse
per
il potenziamento e il
rilancio
della compagnia aerea -
scrive
l’azienda postale - Non sono
però
ancora stati forniti da
Alitalia
tutti gli elementi necessari
ad
una compiuta valutazione
dell’impatto
che l’accordo potrà
avere
sulla struttura del capitale
e
del debito dell’azienda”. Caio si
dice
ancora interessato alle “sinergie
industriali
e commerciali
da
realizzare nella logistica” ma
vuole
vederci chiaro. Nulla da dire,
però,
sul fatto che l’ingresso
di
Poste in Alitalia è oggetto di
una
lettera della Commissione
europea
a cui il governo dovrà rispondere
entro
il 22 luglio. La Ue,
infatti,
vede un aiuto di Stato mascherato
che
il governo italiano
nega.
Ma nessuno ci crede.
mai
guardato South Stream con
simpatia,
da febbraio è passata a un
aperto
ostruzionismo. Arrivando
di
recente a chiedere e ottenere dalla
Bulgaria,
paese di transito del gasdotto,
l'interruzione
dei lavori sul
tratto
locale avviati a fine 2013.
Il
bluff
di
Bruxelles
Nella
linea europea non mancano
le
contraddizioni. Incoraggiando
Kiev
a spostare il suo asse verso
Ovest,
l'Europa ha contribuito a innescare
una
transizione politica dal
futuro
incerto. Conseguenza immediata
e
certa però è stata una
nuova
disputa sul gas tra Mosca e
Kiev
che la Ue fatica a gestire e che
minaccia
la sua stessa sicurezza
energetica.
Nella
partita con Mosca, Bruxelles
insiste
inoltre nel mostrare una
carta
che non ha: la possibilità di
rinunciare
dall'oggi al domani al
gas
russo. In realtà è vero che col
calo
dei consumi degli ultimi anni e
la
crescita delle rinnovabili il potere
contrattuale
della Russia si è
fortemente
ridimensionato. E che
una
limitata interruzione dei flussi
sarebbe
gestibile. Ma tutt'altra cosa
è
pensare di fare di colpo a meno di
130
miliardi di metri cubi di gas
ogni
anno.
Nessuna
delle alternative ipotizzabili,
infatti
– dall'impostazione dagli
Stati
Uniti dello shale gas (quello
estratto
dalle rocce) alle forniture
dal
Mar Caspio – può coprire
l'ammanco
almeno nel medio termine.
Nella
migliore delle ipotesi
gli
Stati Uniti esporteranno circa
20
miliardi di metri cubi annui dal
2015
e altrettanti dal 2018, e per
averli
l'Ue dovrà competere con i
prezzi
dell'Asia. Quanto al Caspio,
se
il gasdotto Albania-Puglia TAP
riuscirà
a superare le opposizioni
locali,
porterà 10 miliardi di metri
cubi
annui di gas azero dal 2019.
Infine,
l'Europa può certo ridurre il
peso
del gas nel proprio mix energetico
ma
anche questo richiede
tempo
e risorse. Non a caso, in conclusione,
secondo
il think tank
Oxford
Institute for Energy Studies,
da
un punto di vista puramente
commerciale
la scelta migliore
per
l'Ue sarebbe di sostenere South
Stream.
Meglio
l’Austria
che
Tarvisio
Al
maxi-gasdotto, che oltre a Eni
vede
in campo Saipem nella posa
della
prima linea, non mancano
del
resto neppure i sostenitori. Nato
nel
2007 proprio in seno alla
partnership
tra Eni e Gazprom,
South
Stream ha sempre goduto
dell'appoggio
dei governi italiani,
sia
con l'ex premier Romano Prodi
– a
cui, come racconta lui stesso, il
Cremlino
offrì perfino la presidenza
del
consorzio dopo la fine del
suo
governo – sia con Silvio Berlusconi,
fino
ad arrivare all'attuale
governo.
Ciò
non ha impedito tuttavia a
Gazprom
di spostare nei giorni
scorsi
dall'Italia all'Austria all'Italia
il
punto di arrivo europeo della pipeline.
Interpellato
dal Fatto
Quotidiano
l'ufficio
stampa di Gazprom
conferma
che con gli accordi
perfezionati
la scorsa settimana
con
l'austriaca OMV – per anni sul
fronte
opposto come capofila del
Nabucco
– “l'approdo di South
Stream
in Europa diventa Baumgarten
e
non più Tarvisio”, come
previsto
negli ultimi anni.
Lo
hub austriaco è oggi il più importante
dell'Europa
centrale e da
qui
il gas potrà proseguire per l'Italia
attraverso
il già esistente gasdotto
TAG,
controllato dalla Cassa
depositi
e prestiti, ha rimarcato
nei
giorni scorsi il numero due di
Gazprom
Alexander Medvedev.
In
ogni caso il presidente del Consiglio
Matteo
Renzi e il ministro
dello
Sviluppo Federica Guidi ribadiscono
spesso
la strategicità
dell'opera
per il nostro Paese. E
d'altra
parte l'Italia non è l'unica
voce
"stonata" con le posizioni di
Bruxelles
verso la Russia. Ci sono i
paesi
di transito del South Stream,
come
la Bulgaria o l'Ungheria.
Costretti
alle
esportazioni
Altri
Paesi sono legati a Mosca da
una
forte interdipendenza commerciale.
Oltre
alla stessa Italia è il
caso
della Germania, in prima linea
(almeno
fino a poco fa) nell'auspicare
una
soluzione negoziale alla
crisi
ucraina. O della Francia, che
partecipa
a South Stream con Edf e
con
la Russia ha in ballo una fornitura
di
navi porta-elicotteri per
1,2
miliardo di euro.
In
ogni caso la più interessata alla
realizzazione
di South Stream resta
la
Russia. Negli ultimi anni con la
crisi
dei consumi e l'aumento della
concorrenza
sul mercato Ue, la leadership
di
Mosca come fornitore di
gas
dell'Europa è finita sotto pressione.
E
in questo contesto di domanda
già
debole le politiche Ue su
efficienza
e rinnovabili hanno progressivamente
eroso
spazi di mercato
al
gas e il processo è destinato
a
proseguire.
Per
l'economia russa invece l'esportazione
di
gas rimane vitale
per
far quadrare i conti. Come
emerge
da un'analisi di Federico
Pontoni
e Antonio Sileo pubblicata
sul
sito lavoce.info, ad esempio,
Gazprom
realizza la stragrande
maggioranza
dei propri margini
con
l'export in Europa. Numeri
che
i recenti accordi russi
con
la Cina, pur aprendo prospettive
di
diversificazione nel
medio
termine, non bastano
per
ora a riequilibrare.
il fatto quotidiano 2 luglio 2014
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