mercoledì 10 marzo 2010

FIRMA SOTTO SCACCO

Salva-liste, sul via libera di Napolitano ombre e minacce di B:
Il Colle: gli italiani credono nella Costituzione al di là delle differenze
di Alessandro Ferrucci
Isolato, avvilito. Provato. Ma quelle che potrebbero essere (solo) suggestioni di chi gli sta attorno da anni, lo segue, gli strappa le rare confidenze, hanno una base solida: gli ultimi quattro giorni, per Giorgio Napolitano, sono stati i più duri da quando è stato eletto, il 10 maggio del 2006. Telefonate, colloqui, confronti, consigli. E ancora mediazioni, rotture, fratturee ricomposizioni. Toni alti, aspri, addirittura minacciosi da parte di Silvio Berlusconi verso il capo dello Stato (“Tra noi due, sono io quello eletto dal popolo.
E se ti metti di traverso, vado avanti anche senza di te. Sei finito”, sarebbe stato lo sfogo del premier, giovedì sera, ancora non smentito). Così assumono un sapore differente anche le parole pronunciate ieri durante i festeggiamenti dell’ “8 marzo”, al Quirinale: “Al di là di ogni differenza di modi di pensare e di posizioni politiche, profonda è tra le italiane e gli italiani la condivisione del patrimonio di valori e principi che si racchiude nella Costituzione repubblicana, a coronamento di una lunga e travagliata esperienza storica”.
Travagliata. Come a dire: è stata dura, è dura, ma sono io il garante della Costituzione, gli italiani si rispecchiano in essa,
quindi io li rappresento. Anche se non sono stato eletto direttamente.
Eppure, da quando è stata apposta la firma sul decreto legge, venerdì sera, in molti non capiscono il ruolo e la strategia del presidente.
Cosa è realmente accaduto nelle stanze del Quirinale?
Partiamo da giovedì.
Napolitano è ancora in visita a Bruxelles, un appuntamento politico nato male, visti gli inevitabili diktat diplomatici posti
dal Colle per evitare un incontro tra lo stesso presidente e l’ambasciatore Siggia, al centro delle intercettazioni sull’elezione
dell’ex senatore Di Girolamo.
Sono le 17:40, manca poco alla partenza, direzione Roma. Dalla Capitale giungono voci di un accordo imminente con il Colle per un decreto legge; Berlusconi ha già fissato il Consiglio dei ministri per le 22 della sera stessa.
L’arrivo del volo è previsto alle 20. Una mezz’ora di tempo dall’aeroporto al centro di Roma e al capo dello Stato resta giusto il tempo di salutare gli esponenti del governo, scambiare due convenevoli. E firmare, tutto, comunque. È l’idea di Berlusconi.
Eppure Napolitano, prima di salire sulla scaletta dell’aereo, dichiara: “'Ancora non c’è nulla di definito, in alcun modo.
Quando arriverò a Roma stasera, vedrò”. E a chi gli chiede se è possibile una soluzione politica, replica: “Se qualcuno mi
spiega cos’è, e da parte di chi e su che cosa, la esaminerò”. Atterra, si attacca al cellulare, scambia due impressioni con gli
uomini più fidati. Lo descrivono come nervoso, il trattamento da passa carte non lo apprezza. Salgono al Quirinale il presidente del Consiglio, l’immancabile Gianni Letta, Ignazio La Russa, Roberto Maroni e Roberto Calderoli.
La discussione non è facile. Lo stesso Letta indossa un “guanto sempre più spesso l'artiglio di ferro”, come ha scritto Eugenio Scalfari su Repubblica. Anche lui è deciso a ottenere il bottino, tutto e subito.
Si frena solo quando vede Berlusconi alzare troppo i toni, minacciare,come hanno rivelato Bruno Vespa su il Mattino e Marzio Breda su il Corriere della Sera. Per quest’ulti mo, Napolitano sarebbe andato vicino a cacciare i suoi “ospiti”.
Ma niente firma.
Venerd ì. L i b e ro titola: “Po n z i o Napolitano” e parla di Don Abbondio.
Ponzio Pilato, secondo i vangeli, ordinò la crocifissione di Gesù. La Russa conferma il “siamo pronti a tutto”; il Giornale parla di “clima da guerra civile” e descrive Palazzo Grazioli come “una sorta di gabinetto, di guerra”. Il capo dello Stato ribadisce l’esigenza di rispettare le regole. Mentre gli uffici del Quirinale mantengono i contatti con Palazzo Chigi e con il Viminale, per studiare i precedenti. Si inizia a parlare di “decreto interpretativo”. I toni si abbassano, scatta l’apnea.
Berlusconi fa sapere al Colle di essere pronto a parlare agli italiani al Tg1 delle venti, in zona Minzolini, nel caso di una
mancata firma. Non serve, i segnali di ritorno sono positivi. A un patto: nessuna dichiarazione. Napoletano dà l’ok. A Palazzo Grazioli si esulta, le opposizioni si dividono su come reagire.
Sabato. Il giorno delle domande, in parte, ancora irrisolte.
Delle prime manifestazioni, delle prime analisi sulla costituzionalità, delle dichiarazioni politiche e delle valutazioni sulla decisione del presidente. Si parla ancora delle minacce del giovedì, di un clima inedito per le stanze del Quirinale. Il presidente convoca i suoi e fa selezionare due delle lettere giunte sul sito istituzionale. A queste risponde.
“Erano in gioco due interessi o ‘beni’ entrambi meritevoli di tutela: il rispetto delle norme e delle procedure previste dalla
legge e il diritto dei cittadini di scegliere col voto tra programmi e schieramenti alternativi”.
Per poi ammettere: “La vicenda è stata molto spinosa, fonte di gravi contrasti e divisioni, e ha messo in evidenza l’acuirsi non solo di tensioni politiche, ma di serie tensioni istituzionali. È bene che tutti se ne rendano conto”.
Quindi concludere: “Un effettivo senso di responsabilità dovrebbe consigliare a tutti i soggetti politici e istituzionali di
non rivolgersi al capo dello Stato con aspettative e pretese improprie, e a chi governa di rispettarne costantemente le funzioni e i poteri”. Rispetto dei ruoli. Ci tiene a ribadirlo. Garante della Costituzione, lo sottolinea ieri. Restano in piedi tanti punti interrogativi, a partire da tutto ciò che ha detto Berlusconi nella sera di giovedì.
il fatto quotidiano 9 marzo 2010

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