mercoledì 16 luglio 2014

Il petrolio lascia Gela inquinata e povera ENI HA BLOCCATO I 700 MILIONI DI INVESTIMENTI

 PER LA RICONVERSIONE
AL VIA I LICENZIAMENTI NELL’EX RAFFINERIA PIÙ GRANDE D’EUROPA
SOGNI IN FUMO
L’azienda non investe
e a complicare
la situazione è arrivato
il grave incendio
(forse doloso)
del marzo scorso
2500
LAVORATORI
A RISCHIO
di Giuseppe Giustolisi
Gela
Sono passati più di
quarant’anni dal sogno
di Enrico Mattei
che contava di creare
a Gela uno dei più grossi impianti
di raffinazione di petrolio
del Paese. Di quel sogno
adesso rimangono le decine di
lavoratori che negli anni hanno
conosciuto il tumore e i primi
quindici che adesso conosceranno
il licenziamento. E
sullo sfondo il rischio chiusura
dell’impianto. Con la protesta
degli operai che rischia di deflagrare.
A dare inizio alle proteste è
stata la decisione dell’Eni di
congelare 700 milioni di investimenti
destinati alla riconversione
produttiva e di fermare
le linee di raffinazione
del greggio. Una settimana fa
gli operai hanno deciso per i
picchetti: blocchi agli ingressi
dello stabilimento per impedire
il trasferimento del petrolio
in altre raffinerie. “Se l’Eni
continua così, gli chiudo i pozzi.
Qui non si babbìa (scherza,
ndr) e loro devono rispettare
gli impegni sottoscritti l’anno
scorso”, ha tuonato Rosario
Crocetta, che all’Eni lavorava
come tecnico prima dell’ingresso
in politica. Ora però è
arrivata la notizia dei primi licenziamenti:
15 su 40 lavoratori
della ditta Riva e Mariani,
un’impresa appaltatrice che si
occupa di coibentazione e isolamento
termico. A rischio anche
i 90 dipendenti (45 del diretto
e altrettanti dell’indotto)
di un’altra impresa, l'azienda
chimica francese Ecorigen. E
se da parte sua l’Eni denuncia
gravi perdite nel settore della
raffinazione, le Rsu aderenti
alla Filctem Cgil di Gela, a proposito
di nuovi progetti per la
produzione di biocarburanti,
ribattono: “Ben vengano le
proposte, ma confrontiamoci
a impianti in marcia, tenendo
conto che prima dell’incendio
di marzo al topping-coking la
raffineria di Gela era terza in
assoluto per la riduzione delle
perdite economiche”.
ERA SABATO 15 marzo quando
una coltre di fumo si alzò
nel cielo di Gela dall’impianto
dell’isola 7 Nord del Petrolchimico,
a causa di un incendio
prodotto dalla fuoriuscita di
idrocarburi ad alta temperatura
da una tubazione. Per fortuna
quel giorno soffiava su
Gela la tramontana e il fumo si
diresse verso il mare. La Procura
aprì un’inchiesta per incendio
colposo e mise sotto sequestro
l’intera area dell’inci -
dente. E ripartì la polemica sulla
sicurezza e sull’inquinamen -
to ambientale, con il leader dei
Verdi Angelo Bonelli che puntò
il dito contro l’immobilismo
della Regione davanti all’emer -
genza inquinamento: “A Gela
disse – secondo lo studio
dell’Osservatorio regionale
epidemiologico, il tumore infantile
è cresciuto del 159,2% e
l’analisi delle tabelle sulla mortalità
sono persino superiori rispetto
a quelle di Taranto”.
Su Gela incombe lo spettro di
un altro caso Ilva. C’è pure chi
ha promosso azione di risarcimento
contro l’Eni per i danni
ambientali e alla persona
chiedendo cinque milioni di
euro da donare in beneficenza
agli ammalati di tumore e malformazioni
genetiche. Si chiama
David Melfa, imprenditore
nel settore delle costruzioni,
che ha fondato un’associazio -
ne ambientalista e insieme ad
altri ecologisti s’è rivolto ai giudici.
PER TUTTA risposta la Raffineria
Spa di Gela lo ha citato in
giudizio e vuole da lui un milione
di euro “per affermazioni
di carattere diffamatorio lesive
dell’immagine dell’azienda”.
Alle perorazioni di Crocetta, e
in generale della politica siciliana
a sostegno della vertenza
Eni, fa da controcanto il gruppo
parlamentare del Movimento
5Stelle che è critica con
la Regione per la mancanza di
un piano industriale di riconversione
e lancia una provocazione
: “L’Eni vuole lasciare
Gela? Benissimo, l’accompa -
gneremo alla porta. Ci guadagneranno
l’ambiente e la salute
dei siciliani. Prima però bonifichi
il territorio e risarcisca la
Sicilia, compresi i lavoratori
che ora vedono mancarsi improvvisamente
la terra sotto i
piedi. È questo il ringraziamento
per avere favorito l’Eni
con royalties ridicole e concessioni
di grande favore”. Negli
anni Settanta i lavoratori del
Petrolchimico erano diecimila,
di cui quattromila nell’in -
dotto. Poi ci fu la crisi della chimica
e cominciarono a chiudere
gli impianti di produzione,
stoccaggio e spedizione dei
fertilizzanti per l’agricoltura.
Oggi è rimasta solo la raffineria
e gli occupati diretti sono mille,
e oltre 1500 i dipendenti dalle
imprese dell’indotto, come
ricordava in una relazione alcuni
mesi fa Gaetano Catania,
Rsu della Raffineria molto attivo
nella vicenda, nel corso di
una riunione nazionale del sindacato
del settore, nella quale
coniugava lavoro e rispetto
dell’ambiente: “Per noi la salvaguardia
dell’occupazione è
possibile solo attraverso piani
industriali seri e credibili che
pongano il rispetto dell’am -
biente come prioritario”. Era
dicembre 2013 e adesso rischiano
di andare in fumo anche
le speranze dei lavoratori.

il fatto quotidiano 16 luglio 2014

Nessun commento: