PER LA RICONVERSIONE
AL
VIA I LICENZIAMENTI NELL’EX RAFFINERIA PIÙ GRANDE D’EUROPA
SOGNI
IN FUMO
L’azienda
non investe
e
a complicare
la
situazione è arrivato
il
grave incendio
(forse
doloso)
del
marzo scorso
2500
LAVORATORI
A
RISCHIO
di
Giuseppe
Giustolisi
Gela
Sono
passati più di
quarant’anni
dal sogno
di
Enrico Mattei
che
contava di creare
a
Gela uno dei più grossi impianti
di
raffinazione di petrolio
del
Paese. Di quel sogno
adesso
rimangono le decine di
lavoratori
che negli anni hanno
conosciuto
il tumore e i primi
quindici
che adesso conosceranno
il
licenziamento. E
sullo
sfondo il rischio chiusura
dell’impianto.
Con la protesta
degli
operai che rischia di deflagrare.
A
dare inizio alle proteste è
stata
la decisione dell’Eni di
congelare
700 milioni di investimenti
destinati
alla riconversione
produttiva
e di fermare
le
linee di raffinazione
del
greggio. Una settimana fa
gli
operai hanno deciso per i
picchetti:
blocchi agli ingressi
dello
stabilimento per impedire
il
trasferimento del petrolio
in
altre raffinerie. “Se l’Eni
continua
così, gli chiudo i pozzi.
Qui
non si babbìa
(scherza,
ndr)
e loro devono rispettare
gli
impegni sottoscritti l’anno
scorso”,
ha tuonato Rosario
Crocetta,
che all’Eni lavorava
come
tecnico prima dell’ingresso
in
politica. Ora però è
arrivata
la notizia dei primi licenziamenti:
15
su 40 lavoratori
della
ditta Riva e Mariani,
un’impresa
appaltatrice che si
occupa
di coibentazione e isolamento
termico.
A rischio anche
i
90 dipendenti (45 del diretto
e
altrettanti dell’indotto)
di
un’altra impresa, l'azienda
chimica
francese Ecorigen. E
se
da parte sua l’Eni denuncia
gravi
perdite nel settore della
raffinazione,
le Rsu aderenti
alla
Filctem Cgil di Gela, a proposito
di
nuovi progetti per la
produzione
di biocarburanti,
ribattono:
“Ben vengano le
proposte,
ma confrontiamoci
a
impianti in marcia, tenendo
conto
che prima dell’incendio
di
marzo al topping-coking
la
raffineria
di Gela era terza in
assoluto
per la riduzione delle
perdite
economiche”.
ERA
SABATO 15 marzo
quando
una
coltre di fumo si alzò
nel
cielo di Gela dall’impianto
dell’isola
7 Nord del Petrolchimico,
a
causa di un incendio
prodotto
dalla fuoriuscita di
idrocarburi
ad alta temperatura
da
una tubazione. Per fortuna
quel
giorno soffiava su
Gela
la tramontana e il fumo si
diresse
verso il mare. La Procura
aprì
un’inchiesta per incendio
colposo
e mise sotto sequestro
l’intera
area dell’inci -
dente.
E ripartì la polemica sulla
sicurezza
e sull’inquinamen -
to
ambientale, con il leader dei
Verdi
Angelo Bonelli che puntò
il
dito contro l’immobilismo
della
Regione davanti all’emer -
genza
inquinamento: “A Gela
– disse
– secondo lo studio
dell’Osservatorio
regionale
epidemiologico,
il tumore infantile
è
cresciuto del 159,2% e
l’analisi
delle tabelle sulla mortalità
sono
persino superiori rispetto
a
quelle di Taranto”.
Su
Gela incombe lo spettro di
un
altro caso Ilva. C’è pure chi
ha
promosso azione di risarcimento
contro
l’Eni per i danni
ambientali
e alla persona
chiedendo
cinque milioni di
euro
da donare in beneficenza
agli
ammalati di tumore e malformazioni
genetiche.
Si chiama
David
Melfa, imprenditore
nel
settore delle costruzioni,
che
ha fondato un’associazio -
ne
ambientalista e insieme ad
altri
ecologisti s’è rivolto ai giudici.
PER
TUTTA risposta
la Raffineria
Spa
di Gela lo ha citato in
giudizio
e vuole da lui un milione
di
euro “per affermazioni
di
carattere diffamatorio lesive
dell’immagine
dell’azienda”.
Alle
perorazioni di Crocetta, e
in
generale della politica siciliana
a
sostegno della vertenza
Eni,
fa da controcanto il gruppo
parlamentare
del Movimento
5Stelle
che è critica con
la
Regione per la mancanza di
un
piano industriale di riconversione
e
lancia una provocazione
:
“L’Eni vuole lasciare
Gela?
Benissimo, l’accompa -
gneremo
alla porta. Ci guadagneranno
l’ambiente
e la salute
dei
siciliani. Prima però bonifichi
il
territorio e risarcisca la
Sicilia,
compresi i lavoratori
che
ora vedono mancarsi improvvisamente
la
terra sotto i
piedi.
È questo il ringraziamento
per
avere favorito l’Eni
con
royalties
ridicole e
concessioni
di
grande favore”. Negli
anni
Settanta i lavoratori del
Petrolchimico
erano diecimila,
di
cui quattromila nell’in -
dotto.
Poi ci fu la crisi della chimica
e
cominciarono a chiudere
gli
impianti di produzione,
stoccaggio
e spedizione dei
fertilizzanti
per l’agricoltura.
Oggi
è rimasta solo la raffineria
e
gli occupati diretti sono mille,
e
oltre 1500 i dipendenti dalle
imprese
dell’indotto, come
ricordava
in una relazione alcuni
mesi
fa Gaetano Catania,
Rsu
della Raffineria molto attivo
nella
vicenda, nel corso di
una
riunione nazionale del sindacato
del
settore, nella quale
coniugava
lavoro e rispetto
dell’ambiente:
“Per noi la salvaguardia
dell’occupazione
è
possibile
solo attraverso piani
industriali
seri e credibili che
pongano
il rispetto dell’am -
biente
come prioritario”. Era
dicembre
2013 e adesso rischiano
di
andare in fumo anche
le
speranze dei lavoratori.
il fatto quotidiano 16 luglio 2014
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