LE
57 TARANTO D’ITALIA
BONIFICHE
MAI FATTE
E
MALATTIE IN AUMENTO
ALMENO
UN SITO PER REGIONE, LA MAGGIOR PARTE AL NORD:
6
MILIONI DI ITALIANI VIVONO ACCANTO A BOMBE ECOLOGICHE
LO
STUDIO SENTIERI: + 90% DI TUMORI IN DIECI ANNI
di
Marco
Palombi
Ci
siamo spesso occupati, e a ragione,
nella
settimana appena trascorsa della
situazione
di Taranto: inquinamento,
morti,
vite sequestrate dalle polveri,
istituzioni
prigioniere della propria inconsistenza,
un
rapporto perverso tra Stato e grandi
aziende
che sopravvive sull’equivoco della scelta
obbligata
tra vita e lavoro. Eppure quel che
abbiamo
raccontato per Taranto può essere
moltiplicato
almeno per 57 (e questo senza tener
conto
dei siti militari). La mappa che vedete
accanto
è infatti quella delle Taranto sparse per
l’Italia:
almeno una per regione, la maggior parte
nel
Centro-Nord. Tecnicamente si chiamano
SIN,
siti di interesse nazionale: sono quel che
resta
di qualche decennio di industria chimica,
di
petrolio, di metallurgia, di una vecchia fiducia
nel
progresso buono di per sé. Ora stanno
lì,
spesso abbandonati, e continuano in silenziosa
osmosi
a vendicarsi della terra che li ospita
senza
che nessuno - governo, regioni, privati -
faccia
niente. Anzi no, per non generalizzare va
detto
che Mario Monti è riuscito a ridurli di ben
18
unità: non facendo le bonifiche, per carità,
ma
semplicemente affidando 18 bombe ecologiche
alla
cura delle regioni e togliendola a quella
dello
Stato (nella cartina, le vedete in rosso).
Un
pezzo di decrescita non proprio felice in
quello
che fu chiamato decreto Crescita. Fuori
dalle
magie burocratiche, però, fanno sempre
57
siti e - se si eccettua l’Acna di Cengio, in
Liguria,
e poco altro - non c’è uno di questi posti
in
cui si possa dire che siano iniziati davvero i
lavori
di messa in sicurezza del territorio.
NON
SOLO TARANTO e
Brindisi in Puglia, non
solo
Priolo e Gela in Sicilia, non solo Bagnoli o il
martoriato
litorale Domizio: ci sono Brescia,
Mantova,
Trieste, Trento, Massa Carrara, Milano
e
Sesto San Giovanni, Fidenza, Venezia, la
laguna
di Grado e decine di altri luoghi che l’im -
maginario
collettivo non associa a disperazione
e
morte. La pianura padana e persino su fino alle
Alpi
sono punteggiate di Sin. Circa sei milioni di
italiani
– facendo un conto a spanne – vivono in
zone
contaminate, in cui l’incidenza delle malattie
è
straordinariamente più rilevante che nel
resto
della penisola. Un solo dato. L’ultimo aggiornamento
dello
studio Sentieri (acronimo
che
sta per Studio Epidemiologico Nazionale dei
Territori
e degli Insediamenti Esposti a Rischio
da
Inquinamento) rivela che nei Sin i tumori
sono
aumentati fino al 90% in soli dieci anni
(almeno
a stare ai dati dei 18 siti in cui esiste il
Registro
dei tumori, che pure sarebbe obbligatorio
per
legge). Anche i ricoveri in eccesso aumentano
esponenzialmente:
a Milazzo (+55%
per
gli uomini e +24% per le donne) e a Taranto
(+45
e +32), ma pure nella ricca Brescia dell’area
Caffaro
(+79 e +71%) e ai Laghi di Mantova (+84
e
+ 91), a pochi chilometri dalle dolcezze metafisiche
del
Festivaletteratura.
Di
fronte a questi dati, correre a bonificare sarebbe
una
priorità morale, oltre che un obbligo
di
legge, eppure non c’è traccia di fretta nell’at -
teggiamento
delle autorità. I soldi pubblici sono
pochi
e spesso male usati (alla Procura di Palermo
è
aperta un’inchiesta sull’uso dei fondi
europei
per le bonifiche in Sicilia), i responsabili
privati
difficilmente pagano per i danni arrecati
alla
collettività.
Forse
il motivo risiede nel fatto che a scorrere
l’elenco
delle aziende coinvolte si trova un bel
pezzo
del capitalismo che opera in Italia: oltre
all’Ilva,
l’Eni (un po’ dovunque nella penisola),
l’Enel,
la Ies a Mantova, Thyssen Krup a Terni,
Nuovo
Pignone e Solvay in Toscana, Erg, Tamoil,
Eternit,
la Saras dei Moratti in Sardegna.
DI
FRONTE a questa
situazione “la reazione dei
governi,
invece di far rispettare la legge, è quella
di
cercare un’alleanza con la grande industria”,
dice
Angelo Bonelli, portavoce dei Verdi italiani:
“In
una serie di provvedimenti si è cercato, con
la
scusa delle semplificazioni, di ridurre la portata
del
principio ‘chi inquina paga’, caricando
sulla
collettività spese che andrebbero sostenute
da
chi è responsabile del problema”. Enrico Letta
tentò
il colpo di mano diretto proprio sulle
bonifiche
dei Sin, ma pure il governo di Matteo
Renzi
non sembra essersi liberato dalla sindrome
dell’appeasement
con la
grande industria:
“Nell’ultimo
decreto Ambiente firmato dall’at -
tuale
ministro Gian Luca Galletti – spiega Bonelli
–si
alzano i livelli tollerati di inquinamento
per
i siti militari col risultato che ora le bonifiche
in
molti posti si potrà evitare di farle addirittura
per
legge. E pure sugli scarichi in mare si consente
di
elevare i limiti in rapporto alla produzione:
quando
in futuro andremo a chiedere agli
inquinatori
di bonificare le acque, ci diranno che
hanno
inquinato a norma di legge”. il fatto quotidiano 6 luglio 2014
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