domenica 14 dicembre 2008

quale montagna nel mare di San Felice Circeo?

Emergenza ambientale
QUALE MONTAGNA NEL MARE?
Oltre alle modificazioni morfologiche che i nuovi porti di cui si discute provocherebbero al litorale devono essere prese in esame quelle dei siti ove sarà necessario aprire nuove cave per la estrazione di milioni di metri cubi di massi necessari per le relative opere marittime


La rilevanza delle opere marittime previste per la realizzazione di alcuni porti (Fiumicino, Anzio, Foce Verde, Terracina in primo luogo) pone un problema che non è stato neanche accennato nelle relazioni tecniche esplicative dei relativi singoli studi e progetti, né, sembra, sia stato oggetto di considerazione da parte dei soggetti competenti per la valutazione degli elaborati (anche dal punto di vista ambientale): quello della quantità di materiale calcareo che dovrebbe essere impiegato per la realizzazione delle opere marittime foranee.

Sono annunciate due conferenze di servizio per l’esame degli elaborati progettuali, convocate rispettivamente dai Sindaci dei Comuni di San Felice Circeo (18 dicembre prossimo) e di Anzio (14 gennaio 2009).
Credo superfluo sottolineare le ragioni per cui i rappresentanti dei soggetti che abbiano competenze riferite ad ambiti territoriali più vasti di quelli dei singoli Comuni, in primo luogo la Regione, dovrebbero esprimersi nei riguardi dei progetti in esame con attento riferimento alle prescrizioni stabilite con il Decreto Interministeriale (Trasporti, Navigazione, Ambiente e Lavori Pubblici) del 14 aprile 1998 (“Approvazione dei requisiti per la redazione dei progetti da allegare ad istanze di concessione demaniale marittima per la realizzazione di strutture dedicate alla nautica da diporto”).
Ripetutamente sono state evidenziate le carenze di inquadramento territoriale dei complessi portuali che si intendono realizzare (il porto inteso come terminale a mare di un sistema di infrastrutture di mobilità e di servizio) e di quelle relative alla disamina delle conseguenze che deriverebbero al litorale di sud est (il flusso detritico procede dal Tevere verso il Garigliano) dalla intercettazione e dalla deviazione verso alti fondali di detto flusso detritico (peraltro, notevolmente ridotto rispetto al passato per ragioni che sarebbe tedioso ricordare) da parte dei moli foranei (quello del porto progettato per Anzio particolarmente possente: è come se si realizzasse una barriera ortogonale rispetto all’esistente molo innocenziano, protesa nel mare, di circa 400 metri; per il porto del Circeo, basta ricordare ciò che accadde a partire dalla metà degli anni sessanta al litorale fino a Terracina!).
Sono state, anche, sottolineate le ripercussioni che si avrebbero nel centro storico di Anzio e nella parte del Parco Nazionale che lambisce l’attuale porto del Circeo.
In una lettera indirizzata al Presidente della Regione Lazio il 28 luglio scorso (“i porti, il territorio, l’ambiente, l’assetto urbano ed il litorale”), osservavo: ““Le valutazioni sulla importanza e sulla convenienza economica dei porti si basano, generalmente, solo sulla quantificazione delle risorse finanziarie da investire per realizzare le opere marittime e le attrezzature portuali, in relazione ai processi economici indotti.






Dette valutazioni dovrebbero, però, essere completate con la previsione dei danni che deriverebbero ai contesti urbani, all’assetto del territorio, al sistema ambientale (del quale è parte rilevante la costa con le sue spiagge e le sue dune). Infatti, i danni (con particolare riferimento alla erosione costiera) dovrebbero essere fronteggiati in maniera ricorrente e sarebbero, quindi, necessarie ingenti risorse finanziarie allocate non solo nei bilanci di individuate pubbliche amministrazioni ma anche dei soggetti privati interessati.
Insomma, nella progettazione dei porti, si pensa esclusivamente alla componente marittima, prescindendo dal contesto urbano, dall’assetto del territorio e dagli aspetti ambientali (equilibrio del litorale ed aree protette).
Se, almeno in parte, si possono comprendere le motivazioni che spingono le Amministrazioni locali a progettare opere portuali, spetta ai soggetti istituzionali con competenze più vaste, sia territoriali sia di settore, intervenire per una valutazione complessiva di quale assetto territoriale, ambientale e di settore debba essere assicurato al litorale laziale, ad evitare effimeri e soggettivi vantaggi che, nel tempo medio-lungo, metterebbero in discussione le potenzialità di uno sviluppo economico e sociale duraturo e diffuso, perché fondato sul rispetto delle caratteristiche basilari del contesto territoriale, ambientale ed urbano sedimentatesi nei secoli””.
Su detti argomenti, ripetutamente trattati, non aggiungo altro.

Viceversa, conviene sollevare l’attenzione dei soggetti preposti alla tutela ambientale ai livelli locali, regionale e nazionale ad una vera e propria emergenza ambientale che conseguirebbe all’approvazione della moltitudine di progetti dei porti che sono stati annunciati lungo il litorale laziale: a Fiumicino per il litorale a nord ovest del Tevere e, per quello a sud est, a partire da Anzio (Foce Verde, San Felice Circeo, Terracina), compresi i prolungamenti dei moli di guardia dei fiumi e dei canali che potrebbero essere destinati ad ospitare imbarcazioni (ad esempio, Rio Martino).
Se si fa il conto della quantità di massi che dovrebbe essere estratta in qualche cava per la realizzazione delle opere marittime, ovvero costruita artificialmente (i tetrapodi, ad esempio), è facile rilevare che ne occorrerebbero più di 4 milioni di metri cubi.
Non è pensabile prospettare opere di dimensioni come quelle che, con diverso stadio di avanzamento del procedimento tecnico-amministrativo, si configurano da parte di singole amministrazioni comunali, senza porsi il problema della realizzabilità delle stesse: con quali materiali e prelevati dove, per evidenziare, prima che sia troppo tardi, il danno che deriverebbe ai siti di prelievo (e, più in generale, al paesaggio ed all'ambiente ove detti siti sono collocati), non lontani (i costi di trasporto!) dai porti che si vorrebbero costruire.
E’ come se nel mare si trasferisse una intera montagna (di almeno 4 ettari di base ed alta 100 metri), per di più non compatta ma frantumata in milioni di massi che andrebbero a modificare radicalmente anche le condizioni dei fondali marini.

Credo che, altresì, sarebbe opportuno meditare su una catena di eventi che si va configurando per il territorio del Lazio: si approvano, senza alcun quadro di riferimento territoriale ed in assenza di valutazioni complessive (non limitate agli aspetti tecnici delle relative opere marittime) i progetti dei porti voluti, supponiamo, da singole amministrazioni comunali; si aprono nuove cave per realizzare detti porti; questi, generalmente con strutture foranee (essendo la costa laziale per lo più bassa e sabbiosa), provocano fenomeni erosivi del litorale; per la ricostruzione e la manutenzione dei litorali devastati dai porti si varano faraonici progetti di vera e propria pietrificazione degli stessi (pennelli con massi di pietra analoghi a quelli usati per i porti e versamenti di materiale prelevato in cave terrestri e/o marine: si può vedere che cosa è già accaduto lungo il litorale di Fondi, in provincia di Latina).



Una tale catena di eventi mobilita risorse ingenti ed è incentrata sull’apertura di nuove cave o, comunque, sulla accentuazione dell’attività estrattiva, a scapito della tutela paesaggistica ed ambientale che dovrebbe essere alla base di ogni ordinato e civile progresso della società.
La legge regionale 6 dicembre 2004, n. 17, concernente la “disciplina organica in materia di cave e torbiere….”, all’articolo 9 prevede il Piano Regionale delle Attività Estrattive/PRAE che dovrebbe “”stabilire, nell’ambito della programmazione socio-economica e territoriale regionale, gli indirizzi e gli obiettivi di riferimento …… per il recupero delle aree interessate””. Il PRAE dovrebbe essere finalizzato al “”corretto utilizzo delle risorse naturali compatibile con la salvaguardia dell’ambiente e del territorio nelle sue componenti fisiche, biologiche, paesaggistiche e monumentali””.
La proposta di PRAE sta percorrendo il complesso iter tecnico- amministrativo previsto per la sua approvazione. La speranza è che essa contenga le necessarie valutazioni strategiche sopra richiamate.
Tuttavia, pur in assenza del PRAE (e, forse, proprio in conseguenza degli studi e degli approfondimenti già compiuti per la formulazione della proposta in itinere), la Regione dovrà assumersi la responsabilità di intervenire per quanto fino ad ora si è detto.

D’altra parte, non può essere sottaciuta la responsabilità che alle Amministrazioni provinciali (nei casi in esame, quelle di Latina e Roma) deriva dalla legge regionale 22 dicembre 1999, n. 38 (“Norme sul governo del territorio”) che, nel Capo II, “Pianificazione territoriale provinciale”, individua nel Piano Territoriale Provinciale Generale/PTPG lo strumento per la “protezione della natura e la tutela dell’ambiente e delle bellezze naturali” (articolo 19).

La Regione Lazio, peraltro, ha adottato (luglio-dicembre 2007) il Piano Territoriale Paesistico Regionale/PTPR, “”lo strumento di pianificazione attraverso il quale la Pubblica Amministrazione disciplina le modalità di tutela e di uso del paesaggio, indicando le relative azioni volte alla conservazione/valorizzazione, al ripristino o alla creazione di paesaggi””: è lecito attendersi un comportamento coerente della sua azione amministrativa (esame complessivo delle problematiche sopra accennate), ad evitare il fallimento del tentativo messo in atto con il suddetto PTPR.

Ci si deve domandare, infine, chi può mobilitare risorse finanziarie così ingenti come quelle necessarie per la realizzazione dei porti (certamente con redditività differita, dati i tempi non brevi per il compimento delle opere) e chi ha il potere di fatto di disporre del territorio per il perseguimento di interessi di gruppi particolari e ristretti che rischiano (si fa per dire) di pregiudicarne irreversibilmente l’assetto e di devastarne le caratteristiche ambientali con ingenti danni per il progresso economico, sociale e civile della comunità.


Gabriele Panizzi

Terracina, 10 dicembre 2008

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