di
Domenico
Finiguerra
Viene
definita barriera architettonica qualunque
elemento
fisico o senso-percettivo
che
impedisca, limiti o renda difficoltosi gli spostamenti
o
la fruizione di servizi, soprattutto per
le
persone con limitata capacità motoria o sensoriale.
Una
scala, un sopralzo, un attraversamento,
un
marciapiede, una porta. Sono molti
gli
ostacoli che possono rendere impossibili o
difficoltosi
l’accesso a edifici e la mobilità di disabili,
anziani,
bambini, genitori e nonni con il
passeggino,
donne in dolce attesa. Esiste vasta
legislazione
in materia, esistono già norme e
strumenti
di pianificazione per abbattere le barriere
esistenti
e in quasi tutte le Regioni è obbligatoria
la
destinazione di una quota degli
oneri
di urbanizzazione per rimuovere le stesse
barriere
(e con tutto il cemento vomitato negli
ultimi
anni e i miliardi di oneri incassati dai comuni
dovremmo
essere al livello dei paese scandinavi).
Purtroppo,
però, le priorità in Italia sono
altre
e la minoranza di persone che patisce la
propria
condizione di svantaggio si vede sempre
sorpassata
nel riconoscimento del proprio diritto
da
esigenze definite superiori (da altri). E
pensare
che se l’intero paese affrontasse questo
problema
“di petto”, stanziando le risorse necessarie
e
sbloccando molti dei limiti (come il
patto
di stabilità) che impediscono ai comuni di
realizzare
piccole opere sul territorio, ne trarrebbe
beneficio
l’intero comparto dell’edilizia.
Ma
occorre una cosciente volontà politica.
Quella
che porta a scegliere di realizzare l’ade -
guamento
dell’ingresso di una scuola al posto
dell’ennesima
rotonda con monumento arboreo
o
scultoreo vicino al centro commerciale.
Una
volontà che nascerebbe solo se i decisori
pubblici
si mettessero nei panni di una persona
costretta
su una carrozzina, di un cieco o di un
anziano.
Ai
sindaci basterebbe poco. Girare la propria
città
nelle condizioni di chi ha difficoltà deambulatorie,
di
chi è non vedente, sordo, oppure
semplicemente
mamma di due gemelli. Percorrendo
in
sedia a rotelle lo stesso tragitto casa-
municipio
che si compie tutte le mattine fischiettando,
ci
si renderebbe conto di come sia
difficile
superare un gradino, scendere da un
marciapiede,
affrontare la difficoltà una breve
salita
o la pericolosità di una rampa in discesa
con
pendenza superiore all’8%. Andando in posta
con
gli occhi bendati o con gli occhiali che
simulano
l’ipovisione si capirebbe quanto siano
importanti
i segnali acustici, la presenza di corrimano
e
l’assenza di piccoli dislivelli sulla strada.
Una
volta affrontato questo “safari” sarà poi
sufficiente
rileggere l’articolo 3 della Costituzione:
“(…)
È compito della Repubblica rimuovere
gli
ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando
di fatto la libertà e l'eguaglianza dei
cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della
persona
umana e l'effettiva partecipazione di
tutti
i lavoratori all'organizzazione politica, economica
e
sociale del Paese”.
Quindi
cosa stiamo aspettando? Serve forse un
diktat
della Trojka? il fatto quotidiano 29 dicembre 2014
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