Ambiente
Amianto, la bonifica che non c'è
di Francesca Sironi
A trent'anni dal varo della legge che ne mette al bando la lavorazione e l'utilizzo, quasi nulla è stato fatto sul fronte del censimento e del risanamento dei siti inquinati. Mentre di questo veleno si continua a morire
(29 novembre 2012)
Lastre di fibre di amianto nel mare
tra l'Arsenale e il Parco di CapreraAmianto. Lo abbiamo messo al bando vent'anni fa. Da allora ogni anno bonifichiamo sì e no l'1% delle 32 milioni di tonnellate ancora presenti in Italia. Con questo ritmo ci metteremo ancora 85 anni a sbarazzarcene. Considerando che da qui al 2020 moriranno mille persone all'anno, a causa dell'asbesto, forse sarebbe il caso di darsi una mossa. Di tutto questo si è parlato nella conferenza governativa indetta dal ministro Balduzzi e tenutasi nei giorni scorsi a Venezia. L'obiettivo era raccogliere gli elementi per dare all'Italia un nuovo piano nazionale dell'amianto. Prima di ripartire però, bisognerebbe guardare a cosa si è fatto dal 1992 ad oggi.
Se n'è occupato il generale comandante dei Nas Cosimo Piccinno, insieme a un gruppo di studio composto da carabinieri e rappresentanti del ministero dell'Ambiente, dell'Istituto Superiore della Sanità e dell'Inail. Il risultato non è confortante. Mostrando le informazioni che 71 Asl in tutto il territorio nazionale hanno inviato alla commissione, il comandante Piccinno disegna un quadro desolante. «Non commento, le immagini parlano da sole», dice, mentre illumina la mappa di un Paese in cui la legge non è uguale per tutti, perché ognuno la applica a modo suo. E spesso, non la applica proprio.
La legge 257 del '92 partiva da un presupposto: bisognava censire la presenza dell'amianto su tutto il territorio nazionale per quantificare i danni alla salute e all'ambiente oltre ai costi di bonifica. Per questo chiedeva alle aziende che utilizzavano asbesto, direttamente o indirettamente (anche per lo smaltimento), di inviare ogni anno alle regioni un rapporto, in cui avrebbero dovuto illustrare nel dettaglio la loro attività. Ovviamente con la massima urgenza. Bene, nei primi tre anni dall'entrata in vigore della legge solo cinque regioni avevano ricevuto le relazioni richieste. In Calabria, Sicilia, Sardegna e Valle d'Aosta sono arrivate solo tra il 2002 e il 2007. In alcune regioni non è ancora successo: in Lombardia e Puglia tutte le informazioni rimangono in mano alle Asl, senza un coordinamento regionale e in Lazio, addirittura, non c'è stato ad oggi alcun invio da parte delle imprese del territorio. Nessuna azienda, insomma, è stata mai costretta a dichiarare cosa se ne fa dell'amianto che produce o bonifica.
Non sono solo gli imprenditori a dover redigere un rapporto annuale. Anche le Asl dovrebbero farlo, per permettere alle regioni di conoscere le condizioni dei lavoratori esposti all'amianto. Su 71 aziende sanitarie locali interrogate, 30 non lo hanno mai fatto. Nessuna in Basilicata, ad esempio, solo tre in Lombardia, mentre in regioni come la Campania si fa a metà: due Asl lo hanno mandato e due no, «Nonostante ci sia un solo assessorato», ricorda il generale. Non che le regioni si siano mostrate più pronte ad adottare una direttiva le cui ricadute sono sulla salute di tutti: Calabria, Molise e Abruzzo ad oggi non hanno ancora un piano regionale dell'amianto. La legge lo richiedeva entro dieci giorni, da quel lontano 27 marzo del 1992. Si continua così. In Sicilia, ad esempio, nessuna Asl ha ancora provveduto ad analizzare i rivestimenti degli edifici. Nel Lazio lo ha fatto solo quella della capitale, in Puglia se ne son dimenticate quattro su sei, in Toscana soltanto un'azienda sanitaria se n'è occupata.
E il registro per la localizzazione dell'amianto fioccato o friabile? In Sicilia, Puglia e Umbria non si trova da nessuna parte. Si potrebbe continuare all'infinito, ricordando forse solo l'eccezione Emilia Romagna che ha applicato la direttiva del '92, in tutti i dettagli. Una vergogna, se si pensa che quella legge era stata salutata come un atto coraggioso, in anticipo sui tempi. «E' un problema totalmente politico», conclude il comandante dei Nas Piccinno, «Servono risorse e personale formato». Forse però anche un cambiamento di mentalità, visto che dopo l'indagine dei carabinieri sembra che le Asl abbiano tempestato di telefonate l'Inail e il ministero per capire cosa avrebbero dovuto fare. Dopo vent'anni. http://espresso.repubblica.it/dettaglio/amianto-la-bonifica-che-non-ce/2195421
tra l'Arsenale e il Parco di CapreraAmianto. Lo abbiamo messo al bando vent'anni fa. Da allora ogni anno bonifichiamo sì e no l'1% delle 32 milioni di tonnellate ancora presenti in Italia. Con questo ritmo ci metteremo ancora 85 anni a sbarazzarcene. Considerando che da qui al 2020 moriranno mille persone all'anno, a causa dell'asbesto, forse sarebbe il caso di darsi una mossa. Di tutto questo si è parlato nella conferenza governativa indetta dal ministro Balduzzi e tenutasi nei giorni scorsi a Venezia. L'obiettivo era raccogliere gli elementi per dare all'Italia un nuovo piano nazionale dell'amianto. Prima di ripartire però, bisognerebbe guardare a cosa si è fatto dal 1992 ad oggi.
Se n'è occupato il generale comandante dei Nas Cosimo Piccinno, insieme a un gruppo di studio composto da carabinieri e rappresentanti del ministero dell'Ambiente, dell'Istituto Superiore della Sanità e dell'Inail. Il risultato non è confortante. Mostrando le informazioni che 71 Asl in tutto il territorio nazionale hanno inviato alla commissione, il comandante Piccinno disegna un quadro desolante. «Non commento, le immagini parlano da sole», dice, mentre illumina la mappa di un Paese in cui la legge non è uguale per tutti, perché ognuno la applica a modo suo. E spesso, non la applica proprio.
La legge 257 del '92 partiva da un presupposto: bisognava censire la presenza dell'amianto su tutto il territorio nazionale per quantificare i danni alla salute e all'ambiente oltre ai costi di bonifica. Per questo chiedeva alle aziende che utilizzavano asbesto, direttamente o indirettamente (anche per lo smaltimento), di inviare ogni anno alle regioni un rapporto, in cui avrebbero dovuto illustrare nel dettaglio la loro attività. Ovviamente con la massima urgenza. Bene, nei primi tre anni dall'entrata in vigore della legge solo cinque regioni avevano ricevuto le relazioni richieste. In Calabria, Sicilia, Sardegna e Valle d'Aosta sono arrivate solo tra il 2002 e il 2007. In alcune regioni non è ancora successo: in Lombardia e Puglia tutte le informazioni rimangono in mano alle Asl, senza un coordinamento regionale e in Lazio, addirittura, non c'è stato ad oggi alcun invio da parte delle imprese del territorio. Nessuna azienda, insomma, è stata mai costretta a dichiarare cosa se ne fa dell'amianto che produce o bonifica.
Non sono solo gli imprenditori a dover redigere un rapporto annuale. Anche le Asl dovrebbero farlo, per permettere alle regioni di conoscere le condizioni dei lavoratori esposti all'amianto. Su 71 aziende sanitarie locali interrogate, 30 non lo hanno mai fatto. Nessuna in Basilicata, ad esempio, solo tre in Lombardia, mentre in regioni come la Campania si fa a metà: due Asl lo hanno mandato e due no, «Nonostante ci sia un solo assessorato», ricorda il generale. Non che le regioni si siano mostrate più pronte ad adottare una direttiva le cui ricadute sono sulla salute di tutti: Calabria, Molise e Abruzzo ad oggi non hanno ancora un piano regionale dell'amianto. La legge lo richiedeva entro dieci giorni, da quel lontano 27 marzo del 1992. Si continua così. In Sicilia, ad esempio, nessuna Asl ha ancora provveduto ad analizzare i rivestimenti degli edifici. Nel Lazio lo ha fatto solo quella della capitale, in Puglia se ne son dimenticate quattro su sei, in Toscana soltanto un'azienda sanitaria se n'è occupata.
E il registro per la localizzazione dell'amianto fioccato o friabile? In Sicilia, Puglia e Umbria non si trova da nessuna parte. Si potrebbe continuare all'infinito, ricordando forse solo l'eccezione Emilia Romagna che ha applicato la direttiva del '92, in tutti i dettagli. Una vergogna, se si pensa che quella legge era stata salutata come un atto coraggioso, in anticipo sui tempi. «E' un problema totalmente politico», conclude il comandante dei Nas Piccinno, «Servono risorse e personale formato». Forse però anche un cambiamento di mentalità, visto che dopo l'indagine dei carabinieri sembra che le Asl abbiano tempestato di telefonate l'Inail e il ministero per capire cosa avrebbero dovuto fare. Dopo vent'anni. http://espresso.repubblica.it/dettaglio/amianto-la-bonifica-che-non-ce/2195421
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