venerdì 10 gennaio 2014

scandalo rifiuti Cerroni L'INCHIESTA Arrestato il Re della “monnezza” romana

Andrea Palladino, 9.1.2014 —    Roma. Il monopolista Manlio Cerroni, proprietario della mega-discarica romana di Malagrotta e con enormi interessi in tutta Italia finisce nei guai insieme a altre 6 persone. L’accusa: associazione a delinquere finalizzata alla truffa e al traffico di rifiuti Sono in tanti, in que­ste ore, a temere gli effetti dello Tsu­nami che si è abbat­tuto sulla capi­tale. L’arresto di Man­lio Cer­roni, il Re di Mala­grotta, non ha solo scon­volto il sistema qua­ran­ten­nale di gestione dei rifiuti nella capi­tale, basato sul dop­pio assioma monopolio/discarica. Die­tro il suo scon­fi­nato impero (che copre l’intera peni­sola, dalla Cala­bria alla Lom­bar­dia, allar­gan­dosi fino all’Australia) c’è un sistema di com­pli­cità poli­ti­che inim­ma­gi­na­bile, par­tito dagli anni ’60 andreot­tiani e arri­vato fino alle più recenti ammi­ni­stra­zioni regio­nali. Forse non avranno rilievo penale per i magi­strati, ma di certo le tante e lun­ghe con­ver­sa­zioni più che ami­che­voli tra il «Supremo» — così qual­cuno nella regione Lazio chia­mava Cer­roni — e gli ammi­ni­stra­tori, soprat­tutto dell’area Pd, dise­gnano con una nuova luce la sto­ria poli­tica romana e laziale degli ultimi anni. Il fatto di cro­naca di par­tenza è in fondo sem­plice, anche se deva­stante: i cara­bi­nieri del Noe, dopo cin­que anni di inda­gine, hanno arre­stato Cer­roni, i suoi uomini più fidati (ad ini­ziare dall’ex pre­si­dente socia­li­sta del Lazio Bruno Landi) e due diri­genti di ver­tice della regione, Luca Fega­telli e Raniero De Filip­pis, attual­mente ricon­fer­mati dalla giunta Zin­ga­retti in posti stra­te­gici, con l’accusa di asso­cia­zione per delin­quere fina­liz­zata alla truffa e al traf­fico ille­cito di rifiuti, oltre ad una miriade di altri reati fine. Ven­tuno, com­ples­si­va­mente, gli inda­gati, tra i quali l’ex gover­na­tore Piero Mar­razzo e l’ex asses­sore all’ambiente romano Gio­vanni Her­ma­nin, oltre al defunto Mario Di Carlo, ampia­mente citato nell’ordinanza di custo­dia cau­te­lare. Ven­ti­cin­que le per­qui­si­zioni effet­tuate ieri, su ordine della pro­cura di Roma. In altre parole l’impero del signore di Mala­grotta è crol­lato in poche ore, men­tre la disco­very pro­ces­suale mostra nell’intimo il sistema della Hol­ding più potente della capitale.L’operazione è nata dall’unione di tante inchie­ste. La vera svolta era arri­vata nel 2011 dalla pro­cura di Vel­le­tri, che dal 2009 stava inda­gando silen­zio­sa­mente su una pre­sunta truffa milio­na­ria ai danni di una decina di comuni dei Castelli romani, ser­viti dagli impianti di una delle tante aziende del gruppo Cer­roni, ad Albano Laziale. Tre anni fa il pm di Vel­le­tri Giu­seppe Tra­va­glini aveva chie­sto al Gip l’arresto del patron di Mala­grotta e dei suoi uomini, accu­san­doli di aver inta­scato ille­ci­ta­mente circa 9 milioni di euro. In sostanza — secondo l’accusa — l’impianto di Albano Laziale pro­du­ceva una quan­tità di com­bu­sti­bile da rifiuti di gran lunga infe­riore alle quan­tità minime pre­vi­ste dalla nor­ma­tiva regio­nale. La tariffa pagata dai comuni — e quindi dagli abi­tanti della zona — inclu­deva, però, quella quan­tità fan­ta­sma. Solo «nell’anno 2012 — scri­vono i magi­strati -, vi sarebbe stato un inde­bito gua­da­gno di 331.018,80». Un sistema, que­sto, che è durato almeno sette anni: «Com­ples­si­va­mente, il pro­fitto inde­bito per­ce­pito per il periodo 2006–2012 (ago­sto) ammonta a non meno di 4.902.000,00 Euro per quanto con­cerne le mag­giori somme per­ce­pite dalla società per effetto del minore avvia­mento a ter­mo­di­stru­zione del CDR pro­dotto». Una cifra che — secondo la peri­zia dispo­sta dalla pro­cura — si andava ad aggiun­gere ad un incre­mento della tariffa in realtà non dovuto. L’inchiesta subì un primo stop nell’aprile del 2006, quando il Gip di Vel­le­tri respinse la richie­sta di arre­sto dichia­ran­dosi non com­pe­tente ter­ri­to­rial­mente. I fal­doni, a quel punto, sono pas­sati alla pro­cura romana, che li ha uniti con altre inchie­ste in corso, ria­scol­tando quasi cin­que anni di inter­cet­ta­zioni tele­fo­ni­che e ambientali.Alla truffa milio­na­ria si aggiunse un altro tas­sello chiave per capire il sistema Cer­roni, che riguar­dava il pro­getto per l’inceneritore di Albano Laziale, pro­po­sto dal con­sor­zio Coema, una joint ven­ture tra Colari, Ama e Acea. Un’opera for­te­mente con­te­stata dalla cit­ta­di­nanza dei Castelli Romani, che — attra­verso il comi­tato No Inc — ha con­ti­nuato ad inviare espo­sti ai magi­strati, arric­chendo l’inchiesta che si è con­clusa ieri con i sette arre­sti. La que­stione, però, era chi pagava l’impianto. I ver­go­gnosi incen­tivi Cip 6 — ali­men­tati dalle bol­lette elet­tri­che — erano in teo­ria sca­duti nel 2007 e per l’avvocato di Mala­grotta era chiaro che senza finan­zia­menti pub­blici l’opera non sarebbe stata realizzata.In que­sto periodo — a cavallo tra il 2007 e il 2008 — Cer­roni con­tatta diversi poli­tici nazio­nali, spie­gano gli inve­sti­ga­tori. Scrive il Gip nell’ordinanza di custo­dia cau­te­lare: «Si regi­strano rei­te­rati con­tatti, anche per­so­nali, con par­la­men­tari (Beppe Fio­roni, Ermete Rea­lacci ed Edo Ron­chi — non inda­gati, ndr) e un gene­roso con­tri­buto di 20.000 euro alla fon­da­zione “Svi­luppo Soste­ni­bile” (gestita dal terzo)». Un’attività di lob­by­ing, senza rilievo penale, sot­to­li­neano i magi­strati, ma in grado di creare quell’ambiente poli­tico favo­re­vole alla pro­roga dei con­tri­buti e all’inclusione della Regione Lazio nel futuro prov­ve­di­mento nazio­nale che ripro­po­neva una tan­tum i con­tri­buti Cip 6.Quell’impianto era però inu­tile e mai pre­vi­sto dai piani regio­nali: «Né del resto, come si vedrà tra poco, in quella parte del Lazio vi era alcun biso­gno di un altro impianto di ter­mo­va­lo­riz­za­zione — scrive il Gip — (…) e incom­pren­si­bile è il motivo per cui la Regione Lazio avrebbe dovuto appro­vare l’impianto, visto che in quella zona c’erano già due ter­mo­va­lo­riz­za­tori, rispet­ti­va­mente a Col­le­ferro e a San Vit­tore, men­tre a nord esi­steva solo quello, peral­tro in corso di rea­liz­za­zione, di Malagrotta».Ad aiu­tare Cer­roni entra a que­sto punto in gioco anche la poli­tica regio­nale. L’allora asses­sore Fili­berto Zaratti — oggi depu­tato di Sel — si era oppo­sto alla rea­liz­za­zione dell’impianto, tanto che il suo uffi­cio aveva, nel marzo 2008, negato l’autorizzazione inte­grata ambien­tale. Per i magi­strati in que­sta fase diventa cru­ciale il ruolo di Mario Di Carlo, che — pro­prio in quel periodo — si stava pre­pa­rando a sosti­tuire Zaratti nella delega sui rifiuti. Alla fine — con la firma di un decreto da parte di Piero Mar­razzo — il momen­ta­neo blocco dell’impianto viene supe­rato e Cer­roni può can­tare vit­to­ria. Il tutto gra­zie ad un sistema di pres­sione con­ti­nua sulla poli­tica e sui diri­genti regio­nali arre­stati ieri, secondo la tesi della pro­cura di Roma.Le ultime inda­gini in ordine di tempo hanno riguar­dato anche la gestione del sistema di rifiuti a Borgo Mon­tello, in pro­vin­cia di Latina, dove il gruppo Cer­roni con­trolla una parte della seconda disca­rica del Lazio. In que­sto ter­ri­to­rio si sta gio­cando una bat­ta­glia senza esclu­sione di colpi per il con­trollo degli impianti di trat­ta­mento dei rifiuti desti­nati pro­ba­bil­mente a sosti­tuire anche Mala­grotta. Tre sono i «Tmb» pre­vi­sti (sistemi che pro­du­cono il com­bu­sti­bile per gli ince­ne­ri­tori trat­tando la mon­nezza), per una capa­cità pari a tre volte la pro­du­zione della zona. Ad Apri­lia una società locale — la Rida Ambiente — ha inve­stito doversi milioni di euro per rea­liz­zare un sistema alter­na­tivo alle disca­ri­che, diven­tando — per i magi­strati — un peri­co­loso con­cor­rente per il gruppo di Man­lio Cer­roni. Una bat­ta­glia senza esclu­sione di colpi quella che l’avvocato di Piso­ni­nano avrebbe com­bat­tuto con­tro l’azienda rivale, otte­nendo dalla Regione Lazio una vera e pro­pria poli­tica ostru­zio­ni­stica, è l’ipotesi di accusa della pro­cura. E pro­prio qui il brac­cio destro di Cer­roni, Bruno Landi, sta da mesi affron­tando un’altra deli­cata inda­gine per avve­le­na­mento delle acque: men­tre i colossi della mon­nezza si sono con­tesi il ter­ri­to­rio, le falde acqui­fere hanno assor­bito quan­tità enormi di metalli pesanti, tra­sfor­mando l’antica pon­tina in un inferno. http://ilmanifesto.it/arrestato-il-re-della-monnezza/

Nessun commento: