giovedì 9 gennaio 2014

SCANDALI Traffico rifiuti, Cerroni in manette era il re delle discariche del Lazio

Dopo cinque anni di indagini, basate anche su carte anticipate dall'Espresso nel 2012, l'avvocato e i suoi uomini più fidati sono finiti in carcere. Chiudendo un'era durata quarant'anni



L’inchiesta - condotta fin dal 2009 dal maggiore dei carabinieri Pietro Rajola Pescarini e dal colonnello dei Noe Sergio De Caprio - racchiude tanti fascicoli, cresciuti attorno all’indiscusso monopolio della monnezza romana. Carte che l’Espresso aveva anticipato il 18 ottobre 2012 , svelando l’indagine segreta del pm di Velletri Giuseppe Travaglini, che nel 2011 aveva firmato la prima richiesta di arresto per gli uomini della “Holding Cerroni”. Dopo un primo stop - arrivato dal Gip di Velletri, che si era dichiarato non competente - le indagini sono ripartite da Roma all’inizio del 2012, sotto la guida diretta del procuratore Giuseppe Pignatone.

Insieme a Manlio Cerroni sono finiti agli arresti domiciliari i suoi uomini più fidati. Ad iniziare da Bruno Landi, per due volte presidente della regione Lazio (1983-1985 e 1989-1990), amministratore delegato di Ecoambiente - società che gestisce la discarica di Latina, oggi sotto inchiesta per reati ambientali -, di Latinambiente - operatore dei rifiuti partecipato dal comune pontino - e della Viterbo Ambiente. Uomo fidatissimo, secondo la Procura di Roma è lui il principale braccio destro dell’avvocato dei rifiuti all'interno della Regione Lazio. Arresti anche per alcuni amministratori storici del gruppo di Malagrotta: ai domiciliari sono finiti Francesco Rando, Piero Giovi e Pino Sicignano.

Ma sono finiti ai domiciliari anche due dirigenti di peso della Regione Lazio: Luca Fegatelli, dominus del settore rifiuti per lunghissimo tempo e di recente nominato da Nicola Zingaretti presidente dell’Agenzia per i beni confiscati alla mafia (nonostante “L'Espresso” avesse raccontato che lo stesso era indagato per gravi reati), e Raniero De Filippis, lo scorso aprile nominato dal presidente democrat direttore del settore “Infrastrutture, ambiente e politiche abitative”, che fa riferimento all’assessorato di Michele Civita. Sono loro, secondo l’accusa, i terminali della holding di Cerroni, i funzionari che per anni avrebbero firmato tutte le carte utili agli affari dell’avvocato di Malagrotta.

Per i magistrati Manlio Cerroni è stato per anni il dominus di una macchina da soldi senza eguali, tanto da chiamare “Mazzarò” la prima inchiesta. Come il nome del protagonista della novella di Giovanni Verga “La roba”: Mazzarò, il piccolo contadino che accumulava terreni, ossessionato dall’espansione del suo impero.

La truffa del Cdr
Al centro dell’indagine avviata nel 2009 dal pm Travaglini e poi sviluppata dalla procura di Roma c’è l’impianto di Albano Laziale, che serve i comuni dei Castelli romani. Oltre alla discarica - otto invasi cresciuti negli anni a dismisura - qui funziona dal 2006 un sistema di trattamento dei rifiuti, che produce il Cdr - combustibile derivato dai sacchetti dell’immondizia - destinato all’inceneritore di Colleferro. La tariffa pagata dalle amministrazioni si basa su una quantità presunta di Cdr prodotto che - secondo le indagini - non corrisponderebbe alla realtà. In sostanza per almeno cinque anni - annotano i carabinieri del Noe nelle informative inviate alla Procura di Velletri nel 2011 - «la Pontina Ambiente (società di Cerroni che gestisce gli impianti, ndr) non ha mai rispettato le percentuali minime» di trattamento. I contratti prevedevano una produzione minima del 29% di Cdr rispetto alla quantità di rifiuti trattati. Dai controlli effettuati sono invece risultate cifre ben inferiori: dal 7,9% del 2007, al 14,4% del 2010. La differenza corrisponderebbe alla cifra di ben nove milioni di euro, ottenuta «incrementando la tariffa per la termodistruzione - anche sul quantitativo di cdr mai prodotto o comunque mai combusto - nel periodo 2006-2010». Un «disegno criminoso» per per gli inquirenti, realizzato «con artifici e raggiri, che inducevano in errore i comuni di Albano Laziale, Ardea, Ariccia, Castel Gandolfo, Genzano, Lanuvio, Marino, Nemi, Pomezia e Rocca di Papa» in modo da procurare alle società di Cerroni un «ingiusto vantaggio patrimoniale con danno di grave entità economica per le pubbliche amministrazioni». Risultati di indagine che portarono già nel 2011 alla contestazione al Re di Malagrotta e ad alcuni suoi manager (tra loro c'è anche il suo braccio destro Francesco Rando) del concorso in frode e truffa ai danni dello Stato, con una prima richiesta di arresto.


Tutti gli uomini del Supremo
Il monopolio e il sistema della monnezza alla romana - che ha fruttato un patrimonio immenso all’avvocato Cerroni - per funzionare hanno avuto bisogno della compiacenza da parte dell’amministrazione regionale. Una rete intricata di «rapporti che si sono venuti a creare nel tempo tra la “Holding Cerroni” ed i rappresentanti politici ed amministrativi delle diverse amministrazioni pubbliche succedutesi nel tempo», annotavano gli investigatori durante le indagini, già nel 2011. Le tante telefonate intercettate tra gli uomini dell’avvocato - definito in un'intercettazione “il Supremo” da uno dei commissari straordinari per i rifiuti nel Lazio - e i funzionari regionali hanno una caratteristica comune: si capisce che chi comanda è alla fine sempre lui, il padrone di Malagrotta. Un potere che appare evidente in una telefonata intercettata nel 2010, quando era in discussione l’approvazione la bozza del Piano rifiuti: «Il politico che abbiano in casa - spiega Francesco Rando alla sua segretaria - l’ha portata, l’ha fatta girare la bozza». La penetrazione all’interno della Regione Lazio di Cerroni andava però bel aldilà del semplice consigliere - o assessore - sponsorizzato. Era in grado di gestire la macchina amministrativa, entrando nel cuore del sistema.
Il grande manovratore in questo contesto è Bruno Landi. Nei corridoi della regione Lazio era di casa, fin dagli anni ’80, quando per due volte ha ricoperto la carica di presidente della giunta (in quota Psi). Il suo interlocutore privilegiato è Luca Fegatelli, l’uomo che fino a pochi mesi fa aveva in mano il settore rifiuti. Le telefonate tra il braccio destro di Cerroni e il dirigente regionale rivelano spesso un rapporto che va ben oltre la normale cordialità, con scambi di opinioni che spesso si concludevano con inviti a pranzo in ristoranti romani, lontani da occhi e orecchie indiscrete. Anche per questo i carabinieri del Noe - su mandato del pm Travaglini, controfirmato dall’allora procuratore di Velletri Silverio Piro - misero nel 2010 alcune microspie nelle stanze del settore rifiuti. Ma quando i discorsi iniziarono a diventare interessanti, gli apparati furono scoperti. Luca Fegatelli si allarmò, arrivando a chiedere ad un amico sindacalista di cercare di avere informazioni dagli uffici giudiziari.


La caduta dell’impero
Gli arresti sono arrivati - quasi simbolicamente - pochi mesi dopo la chiusura definitiva di Malagrotta. A Roma, però, è ancora in corso la partita strategica per il trattamento di circa 4000 tonnellate di rifiuti al giorno. Cerroni e i suoi uomini avevano iniziato a muovere le pedine per aggiudicarsi gli affari del post-Malagrotta da almeno cinque anni, affidandosi politicamente dell’ex assessore Mario Di Carlo. L’obiettivo è chiaro: cercare in tutte le maniere di ottenere le necessarie autorizzazioni per proseguire l’attività di monopolista delle discariche utilizzando uno dei tanti invasi acquistati e pronti all’uso.
Cerroni non si accontentava degli affari milionari assicurati dalla politica per decenni. Per se, in questi ultimi mesi, chiedeva gli onori di una carrozza che lo portasse in trionfo al Campidoglio, sicuro di riuscire a mantenere il potere “supremo” e di passare alla storia come “il benefattore di Roma”. E’ andata diversamente, la sua parabola ha iniziato la discesa. Nei peggiori dei modi. http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/01/09/news/traffico-rifiuti-cerroni-in-manette-era-il-re-della-discarica-di-roma-1.148163
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