domenica 19 gennaio 2014
Militari, mafiosi e politici nella grande illusione di Gioia Tauro aspettando le armi chimiche siriane
Il fatto quotidiano 19 gennaio 2014
600 SOLDATI BLINDERANNO IL PORTO CALABRESE PER L’A R R I VO
DELLA NAVE DEI VELENI DI ASSAD. IL SILENZIO DEI CITTADINI
SOLO PROMESSE
Lo Stato doveva
costruire qui il quinto
polo siderurgico
d’Italia. Ma i fondi
hanno ingrassato
soltanto le cosche
I PASDARAN DI BERLUSCONI
Gasparri e Santelli arrivano con uno
stuolo di auto blu. Tuonano contro
il governo, ma nessuno li applaude
IL SINDACO
Mimmo Madafferi ride amaro: “Sono
troppo vecchio e le promesse
degli onorevoli le ricordo tutte”
Arrivano i militari a
Gioia Tauro. Saranno
almeno seicento.
A dare la notizia in
anteprima è il sindaco di San
Ferdinando Mimmo Madafferi.
Quando tra una settimana la
nave con le armi chimiche di
Assad attraccherà alle banchine,
il porto sarà zona di guerra,
blindato, inaccessibile. E arriva
anche la politica per recitare la
sua parte. Ci sono i pasdaran
berlusconiani Maurizio Gasparri
e Jole Santelli, decine di
auto blu e uomini di scorta. Le
telecamere di Reggio Tv insieme
a quelle di un network di televisioni
cinesi. Non c’è la gente.
Nessuno protesta. Solo giornalisti
annoiati. “Il governo – tuo -
na Gasparri, fino a pochi mesi fa
sponsor del governatore Peppe
Scopelliti e della peggiore classe
politica mai partorita dagli elettori
calabresi – non può ricordarsi
del porto di Gioia Tauro
solo in queste occasioni. Serve
una politica di rilancio”. Nessuno
applaude. Il sindaco Madafferi
ride amaro. “Sono troppo
vecchio e le promesse della politica
le ricordo tutte”.
Gioia è il porto degli eterni inganni.
Prima pietra il 25 aprile
del 1975, la pose Giulio Andreotti,
allora ministro della
Cassa per il Mezzogiorno. Erano
gli effetti del “pacchetto Colombo”,
il risarcimento che lo
Stato italiano destinava alla Calabria
dopo la rivolta di Reggio.
C’erano sindaci e preti, arcivescovi
e prefetti. E boss di mafia.
Dicono che don Peppe Piromalli,
il fondatore della ‘ndran -
gheta imprenditrice, fosse presente
al rinfresco e che brindò.
Era l’unico calabrese felice. Mille
miliardi spesi, vent’anni di lavori
che hanno devastato la Piana
per sempre. Settecento ettari
di agrumeti abbattuti, 200 di
uliveti distrutti. Un intero paese,
Eranova, raso al suolo. Settanta
milioni metri cubi di terra
e materiali inerti estratti dalle
cave. Il primo, vero bingo della
‘ndrangheta. Sono dovuti passare
vent’anni perché il porto
vedesse arrivare la prima nave.
“Concorde”, si chiamava, ed è
passata alla storia. Quanti inganni.
Lo Stato doveva costruire
qui il Quinto centro siderurgico
italiano. Ottomila posti di
lavoro, 1.300 miliardi di investimenti.
Mai realizzato. Come
la Liquichimica di Saline Jonica,
altro risarcimento per i calabresi:
360 miliardi investiti
per 7300 occupati. Un fallimento.
Il porto ha ingrassato solo la
mafia. “La Piana è nostra. Il
Porto lo abbiamo fatto noi, fagli
capire che in Calabria ha bisogno
di noi”. Parlava così pochi
anni fa un rampollo delle famiglie
Piromalli-Molé. Mentre
Andreotti poneva quella prima
pietra nel 1975, don Peppe Piromalli
capì che la ‘ndrangheta
non poteva accontentarsi di
qualche mazzetta. Quelli erano
spiccioli, bisognava trasformarsi
in imprenditori. E così fu.
I Piromalli imposero l’ordine
nella Piana. Nessun attentato
estorsivo a Gioia Tauro in quell’anno.
Nel 1974, invece, la dinamite
era esplosa 150 volte per
sistemare negozianti riottosi al
pizzo e nemici scalpitanti. Per i
magistrati la mafia diventa imprenditrice,
“attraverso un
complesso sistema di patti strategici
con settori dell’imprendi -
toria italiana”. Grazie al business
del Porto, scrive la Commissione
antimafia nel 2008, “i
Piromalli, i Molé, i Pesce, i Bellocco,
gli Alvaro hanno fatto il
salto di qualità internazionale”.
Insomma, sono diventati boss
di primo livello mondiale, rispettati
da tutti. Fantasie? No,
perché ci sono inchieste giudiziarie
e sentenze. No, perché la
presenza ossessiva della ‘ndran -
gheta sul Porto ha allarmato finanche
Obama e gli States. In
un file pubblicato da Wikileaks
si legge che “una delle più grandi
preoccupazioni dell’America
di Obama è il traffico di materiale
nucleare clandestino utilizzabile
dai terroristi, che potrebbe
essere movimentato attraverso
porti come Gioia Tauro,
descritto come una falla nel
sistema dei controlli doganali
europei”. Perché sulle banchine
di Gioia è passato e passa di tutto.
Droga, armi e rifiuti tossici.
SECONDO gli specialisti dell’antidroga,
l’80% della cocaina
prodotta in Colombia e destinata
ai mercati europei passa da
qui. Ne sequestrano percentuali
minime. Come le armi. L’ul -
tima, allarmante scoperta è del
luglio 2010, quando in un container
vennero trovati quantitativi
di cobalto-60 proveniente
dall’Iran. Sette tonnellate di
esplosivo “T4” vennero sequestrate
in un container che trasportava
ufficialmente latte in
polvere. Nell’aprile del 2004 su
una nave carica di tubolari, invece,
fu rinvenuto un vero e
proprio arsenale: 70 kalashnikov,
plastico, rampe per missili,
casematte in cemento armato.
Anche sul traffico di rifiuti speciali,
i boss della ‘ndrangheta
che controllano il porto, non
sono secondi a nessuno. Sei anni
fa i carabinieri del Noe scoprirono
tonnellate di scarti di
plastica di aziende italiane destinate
a Hong Kong. Materiale
tossico che sarebbe ritornato in
Italia sotto forma di giocattoli.
“Droga, armi, rifiuti, certo che
ne sequestriamo, ma si tratta
sempre di piccole quantità. Diciamo
il 10-15% di quello che
passa da qui. Del resto come si
fa a controllare 2 milioni e 200
mila container?”, ci confida un
investigatore. È questo il porto
dove tra sei giorni inizierà l’opera
di smantellamento dell’ar -
senale chimico siriano. Sarà super
controllato da 600 militari.
Poi tutto tornerà come prima.
Come sempre.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento