sabato 25 maggio 2013
risanamento coatto all'Ilva sequestrati 8 miliardi ai Riva scarsa sicurezza ha ucciso 3 operai
“RISANAMENTO COATTO ALL’I LVA” SEQUESTRATI 8 MILIARDI AI RIVA IL GIP: LA SCARSA SICUREZZA HA UCCISO TRE OPERAI. CONTI E BENI DELLA CASSAFORTE DESTINATI A EVITARE L’INQUINAMENTO KILLER di Francesco Casula e Antonio Massari Il fatto quotidiano 25 maggio 2013 Aimpressionare non è solo la cifra - 8,1 miliardi da sequestrare al Gruppo Riva – ma soprattutto che quel “modello aziendale” sia la “con - causa” della morte di Claudio Marsella, Francesco Zaccaria e Ciro Moccia: tre operai dell’Ilva di Taranto sacrificati per un tesoro che secondo la procura la Riva Fire, società che controlla lo stabilimento ionico, ha risparmiato dal 1995 a oggi evitando di ammodernare la fabbrica, causa di “malattia e morte”. E 8,1 miliardi sono “l'im - porto necessario per effettuare tutte le opere di risanamento ambientale” che, secondo l’ac - cusa, ancora oggi la famiglia Riva non dimostra di voler realizzare. E il gip Patrizia Todisco ordinando il sequestro alla Gdf di Taranto. Per il pool di inquirenti guidato dal procuratore Franco Sebastio, infatti, l’attivi - tà dell’Ilva “ha cagionato e cagiona danni ambientali e sanitari inaccettabili” per via della “mancata attuazione degli interventi per il miglioramento dell’impatto ambientale”. OMISSIONI su omissioni: negli atti se ne contano ben 34, con l'Ilva che disattende i protocolli di intesa, definiti dai pm “una colossale presa in giro”. Ed è da quelle promesse mai mantenute e dalle prescrizioni imposte successivamente all’Ilva, che i custodi giudiziari Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento sono partiti per stimare la somma necessaria per adeguare gli impianti. Relazioni nelle quali si evidenzia, ancora una volta, che “nulla risulta attuato”. Anzi. Il “modello di organizzazione aziendale, e la gestione degli impianti, consente e agevola stabilmente la commissione di reati”. E dagli atti, infatti, emergono nuove ipotesi di reato legati al riutilizzo dei fanghi e, soprattutto, la mancata “attuazione di un modello organizzativo e gestionale”, che ha rappresentato la “concausa non trascurabile” della morte di tre operai e del ferimento di un quarto negli ultimi mesi. L'Ilva “ometteva di attuare il sistema di gestione della sicurezza”. Per gli inquirenti “la mancata realizzazione dei lavori di manutenzione di impianti e apparecchiature e l’assenza delle condizioni di igiene e sicurezza negli ambienti di lavoro” è la testimonianza di una palese “situazione critica per la tutela della salute dei lavoratori”. E a pagare le conseguenze del mancato ammodernamento degli impianti, anche con la vita, sono in primo luogo gli operai. Gli stessi che l’azienda ha strumentalizzato nelle manifestazioni contro la magistratura tarantina. Per il gip Todisco l’Ilva non ha intenzione di rispettare le prescrizioni contenute nell’autorizzazio - ne integrata ambientale (Aia) voluta dall’ex ministro Corrado Clini: “Allo stato non si ha evidenza di alcuna iniziativa intrapresa dalla società al fine di ottemperare alle disposizioni prima impartite dai custodi e poi, in parte, confermate” nell’Aia. L’atteggiamento dell’azienda, in sostanza, non è cambiato. La famiglia Riva, secondo l’accusa, non vuole provvedere ai costosi interventi per le misure di sicurezza. Misure che “le norme dell’ordinamento, i vari atti d’inte - sa stipulati con gli enti pubblici ed i provvedimenti delle autorità competenti imponevano di eseguire” e che l’azienda non ha mai realizzato. Omissioni che si sono trasformate in un fiume di soldi per la Riva Fire “che altrimenti avrebbe dovuto ricapitalizzare la controllata Ilva spa, utilizzando la liquidità” del Gruppo Riva oppure “esponen - dosi con gli istituti di credito”. Negli stessi anni però - era il 2006 - si premuravano di finanziare con 98mila euro la campagna elettorale di Pierluigi Bersani, che accettava, nonostante Emilio Riva avesse subìto già una condanna. In quel caso non si omisero di investire. Ma torniamo agli atti: per i magistrati è evidente che le omissioni erano svolte dai vertici aziendali nella piena consapevolezza “della concreta devastazione dell’am - biente e della concreta e gravissima lesione inferta continuativamente alla salute di lavoratori e dei cittadini”. “La produzione non si tocca” ha però chiarito il procuratore Sebastio. La Guardia di finanza, diretta dal colonnello Salvatore Paiano, dal tenente colonnello Giuseppe Dell’Anna e dal maggiore Giuseppe Dinoi, potrà aggredire i beni di Riva Fire e, “solo in via residuale”, quelli dell’Ilva purchè non siano strettamente collegati all’attività produttiva. LIMITAZIONI che la procura di Taranto ha chiesto e ottenuto dal gip dopo il pronunciamento della Consulta che dichiarando legittima la legge “salva Ilva” ha consentito all’azienda di produrre e vendere acciaio. L’Ilva intanto corre ai ripari. Oggi si riunirà a Milano il cda “per decidere sulle iniziative conseguenti”. Frasi che insomma ricordano i ricatti occupazionali e le minacce già sentite.
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