lunedì 20 maggio 2013

Antimafia sequestra centrale a biomasse l’accusa, per loro, è legata a “gravi reati ambientali”.


Loredana Demer Ventimiglia - Sono le 7 di ieri mattina quando i carabinieri, una trentina di uomini del Noe, dei comandi provinciali di Imperia e Savona, e della compagnia di Ventimiglia, arrivano davanti alle sedi della Cava Bergamasca in via Maneira a Bevera, della vicina Centrale biomasse, dell’Itagro e della Gbl di Camporosso. Quattro imprese da anni nell’occhio del ciclone. Anche per possibili infiltrazioni mafiose. Si cercano documenti, si sequestra definitivamente la stessa centrale a biomasse. La firma sulle carte è quella della Dda di Genova e delle Procure di Sanremo e Savona.

E’ un blitz in piena regola che non risparmia gli uffici delle quattro ditte, passati al setaccio dai carabinieri per tutta la mattinata, che mira anche alle abitazioni dei quattro titolari, tutti indagati: si scoprirà solo più tardi che l’accusa, per loro, è legata a “gravi reati ambientali”.
Secondo gli inquirenti sarebbero stati utilizzati combustibili che hanno prodotto residui e fumi inquinanti. Ma la presenza della Dda nell’operazione, il profilo di alcuni indagati, lascia presagire che gli scenari che stanno per aprirsi siano in realtà molto più vasti. Intanto i carabinieri, spalmati sul territorio di Ponente da Imperia a Ventimiglia, decine di mezzi, l’ombra dell’elicottero che sorvola le case riportando alla memoria un blitz altrettanto eclatante, quello dell’operazione “La Svolta”, hanno puntato verso le abitazioni di Claudio Agnese, 53 anni, titolare dell’Itagro, residente a Cesio, sulle alture del capoluogo. Hanno perquisito la casa di via alle Ville, a Ventimiglia, di Sergio Carminati, 49 anni, in titolare della Cava Bergamasca (già perquisita l’8 novembre scorso) ma in società anche nella Centrale biomasse. Centrale costruita dalla Energy Green dell’ingegner Adolfo Pastorino, 61 anni, di Savona. Altro indagato, altra abitazione perquisita dai carabinieri. E infine, nel mirino, è finito Stefano Gastaudo, 42 anni: gestisce la Gbl di Camporosso. Un’impresa di trasporti e movimento terra. Rientrata anche nelle indagini sulla costruzione del porto di Ventimiglia. Dalla sede di via I maggio i carabinieri si spostano all’ abitazione di Gastaudo. In cerca di elementi ulteriori a comprova dell’inchiesta regionale. 
Le accuse della magistratura riguardano la gestione non autorizzata dei rifiuti e il traffico illecito di rifiuti. Tonnellate di ceneri derivanti dalla combustione che sarebbero state smaltite durante il periodo di apertura della centrale a biomasse, in contrasto con tutte le normative ambientali. E non si escludono strascichi anche nel Principato di Monaco. Dove, a quanto sembra, uno degli indagati di recente avrebbe versato cifre onerose per accaparrarsi dai locali (ristoranti e quant’altro) agli olii esausti. Pagandoli circa 450 euro a tonnellata, troppo cari. Quando la richiesta di mercato non supera gli 80 euro ad operatore seppur ci siano stati addetti ai lavori che hanno speso fino a 300 euro a tonnellata per comprare oli esausti. Olii che vengono poi riutilizzati nella cosmesi e per produrre biocarburanti. L’inchiesta, comunque, è stata avviata nell’ottobre del 2012 focalizzando le indagini proprio sulla Centrale di Bevera. Sia sulla sua costruzione che sulla gestione all’Energy green.
«A carico degli imprenditori – confermano i carabinieri – sono stati ravvisati gli estremi di reato previsti dalla legge sull’attività organizzata «per traffico illecito di rifiuti e gestione di rifiuti non autorizzata in concorso». Ma la Centrale biomasse era salita spesso alla ribalta della cronaca: e già quattro anni or sono, in un incontro pubblico con l’ex amministrazione comunale, Federico Valerio, che lavora per l’istituto di ricerca sul cancro di Genova, aveva sottolineato i pericoli che derivano dalle emissioni di ceneri e di polveri prodotte dalla lavorazione dei rifiuti. «Emissioni che potrebbero compromettere la qualità dell’aria», aveva ribadito lo specialista. Rimarcando quanto l’attività della Cava bergamasca, nella quale si usa far brillare mine, doveva essere tenuta sotto controllo.

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