sabato 2 novembre 2013

Caccia alle discariche segrete di Gomorra “Viviamo su 800 mila tonnellate di veleni”

http://www.repubblica.it/cronaca/2013/11/02/news/caccia_alle_discariche_segrete_di_gomorra_viviamo_su_800_mila_tonnellate_di_veleni-70055213/?ref=twhr&utm_source=dlvr.it&utm_medium=twitter Campania, Lazio e Molise: viaggio nel triangolo della vergogna. Tra scorie, ruspe e silenzi dal nostro inviato CONCHITA SANNINO CASAL DI PRINCIPE — Lo vedevano in tanti. Lo sapeva lo Stato. Da vent’anni. E ora che il segreto su quei verbali è finito, e si dissolve la cortina intorno alle parole di uno dei primi boss dei rifiuti, l’imprenditore del clan dei casalesi Carmine Schiavone, saltino gli alibi. Oltre 300 chilometri di terra avvelenata, non solo Campania, ma anche Basso Lazio e Molise, per decenni imbottita di scorie secondo il racconto dei pentiti. Sotto, riempita con tonnellate di scarti di ogni provenienza industriale o tossica. Sopra, malata e in attesa: ma senza diagnosi certa. Ora che, per decisione della Camera, sono accessibili a tutti i verbali del 1997, in cui Schiavone affida alla Commissione bicamerale sulle ecomafie il racconto shock del business miliardario del traffico dei rifiuti pericolosi, si muovono i sindaci, la Coldiretti, le associazioni, i comitati di cittadini sul piede di guerra. A Casal di Principe, dove le ruspe di Stato sono tornate di recente, il giorno dopo, regna un grande silenzio. Che nasconde rabbia e vergogna. La rabbia di chi vuole certezze su quel che è stato sepolto nei terreni, la vergogna di chi ha venduto la salute dei propri suoli in cambio di 200mila lire dell’epoca, chiudendo un occhio di fronte all’arrivo dei camion con carichi di immondizia “vietata”. I carabinieri e i vigili con gli specialisti dell’Arpac sono arrivati a scavare fino a 12 metri appena qualche giorno fa, hanno trovato fanghi industriali e frammenti di metalli, residui di fusti passati subito dalla procura antimafia di Napoli all’esame degli specialisti dell’Arpa regionale. Una madre, ai bordi del paese diventato sinonimo di Gomorra, ora si interroga e fa spallucce. «Li ho visti scavare un’altra volta, a via Sondrio, a via Isonzo. Ma li avremo mai i risultati, ce li daranno? Sapremo quali rischi corrono i miei figli?». Angela Cristiano si gira e trascina i ragazzini verso il cortile interno. Alla periferia di Casale, dove il giorno di festa spegne le strade e tiene le famiglie chiuse nei saloni delle masserie, c’è persino un’area della Curia attualmente sotto sequestro per sospetti interramenti di rifiuti gestiti dalla camorra. E nessuno se n’è meravigliato. Renato Natale, l’ex sindaco dell’antimafia, un simbolo per Casale, però attacca: «Hanno lasciato la vecchia immondizia anche intorno agli scavi. Ci sono tante discariche a cielo aperto. Lo abbiamo segnalato, inutilmente». Arrivavano fino a 30 metri per seppellire i rifiuti industriali, racconta Schiavone. «A Villaricca e Qualiano», nel napoletano, ad esempio furono sotterrati 520 fusti pericolosi. Nel 1991, primo campanello d’allarme: Michele Tamburrino, autista argentino di origini campane, fu costretto a lasciare il camion in strada e a farsi portare in ospedale, aveva i polmoni avvelenati e la vista annebbiata dai vapori dei bidoni appena trasportati per conto dei casalesi. Poco dopo, sarebbe esploso il blitz di Adelphi: la prima inchiesta su logge massoniche, mafie e politica intrecciate intorno al traffico d’oro dei rifiuti, in arrivo dal Settentrione delle nostre industrie e dal nord Europa. Ma Schiavone tocca decine di luoghi. Molte province. Compresa quella di Latina, e il Molise. Una “striscia del rischio” che mette i brividi: carichi da milioni di tonnellate, 800mila quelle sospette. Già da tempo l’Ires (Istituto di ricerche economiche e sociali) calcolava: da fine anni Novanta a oggi i clan della camorra hanno sversato, solo nei 30 chilometri del litorale domizio «341mila tonnellate di rifiuti speciali pericolosi, 160mila di rifiuti speciali non pericolosi e altre 305mila di immondizia solida urbana». Schiavone dice: «A Castel Volturno, i veleni li interravamo nei laghetti ». Racconta che negli anni Ottanta toglievano sabbia dal litorale domitio per realizzare il calcestruzzo e poi i “laghetti”, «venivano imbottiti di rifiuti». Ma ogni buco era buono per colmarlo a peso d’oro: anche sotto le vasche per l’allevamento di pesci. Neanche le acque si salvavano. Sarebbero stati tombati fanghi a ridosso dei laghi di Lucrino e d’Averno: luoghi per eccellenza del mito, l’Averno era porta d’ingresso dell’Ade, ora l’agonia dell’ambiente. Così il sindaco di Pozzuoli, Vincenzo Figliolia annuncia «una task force per i controlli », anche nella zona flegrea dei laghi. Anche i cittadini della “Terra dei fuochi” dove solo ieri i vigili del fuoco hanno spento oltre quindici incendi, premono per le bonifiche, annunciano una grande manifestazione di piazza a Napoli per sabato 16. «L’abbiamo sempre detto che ci hanno avvelenato da anni». Sì, lo sapevano tutti. Specie i colletti bianchi, ingegneri delle discariche lecite e illecite, e pezzi di Stato deviato che hanno partecipato alla pioggia di miliardi dei commissariamenti sui rifiuti in Campania. E lo raccontavano i pentiti. Non solo Schiavone. Ma anche Gaetano Vassallo, autentico imprenditore dei rifiuti, che ha “rovinato” padrini e politici di spicco, come Nicola Cosentino. E lo sta ripetendo, da qualche mese, il più recente dei collaboratori di giustizia: Luigi D’Ambrosio, alias Uccellino. Uno che comincia così i suoi verbali. «Sono quello che spostava la terra e guidava i camion con i rifiuti. Solo io ho visto calare giù una ventina di furgoni. Io sono l’escavatorista». TagsArgomenti:terra dei fuochicamorrarifiuti pericolosirifiuti tossiciProtagonisti:s

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