sabato 30 novembre 2013
Ecco il sistema Riva, il capitalismo di relazioni che uccide l'Italia
Nessuno è innocente di fronte ai veleni dell'Ilva. Nel triangolo Taranto-Roma-Milano, tutto e tutti hanno avuto un prezzo. Non necessariamente economico. Tutto e tutti ne sono irrimediabilmente rimasti sporcati e dunque prigionieri. Nei 31 faldoni di atti e nelle 50mila intercettazioni telefoniche dell'inchiesta della Procura di Taranto depositati in questi giorni e di cui Repubblica è in possesso, c'è la prova documentale che il Sistema Riva e il capitalismo di relazioni di cui è stato espressione hanno appestato, insieme all'aria, all'acqua, al suolo di Taranto, il tessuto connettivo della politica, della pubblica amministrazione, dei controlli a tutela dell'ambiente e della salute
CINQUE ANNI ALLA RICERCA DELLA VERITA' - I PROTAGONISTI Pecore tossiche abbattute 'Malati anche noi pastori'
TARANTO - Enzo Fornaro dice che lui e la sua famiglia su quel camion ci sono già saliti. «Ho trent' anni e ho già avuto un cancro. Un tumore ha ammazzato mia madre». Enzo Fornaro è un imprenditore agricolo di Taranto. Il camion invece è uno dei tre che ieri mattina ha caricato 1.150 pecore (600 circa erano di proprietà della famiglia Fornaro) e le ha trasportate in un macello di Conversano, dove oggi verranno ammazzate. Prima una scossa in testa, per stordirle. Poi - tramite un sistema meccanico - ammazzate per iugulazione, cioè con il taglio della giugulare. La loro carne non finirà però sulle tavole degli italiani. Ma in discarica: "rifiuto di tipo 1", dicono le carte bollate. Significa rifiuto tossico altamente pericoloso. I 1.150 capi deportati ieri e gli altri settecento che verranno trasportati stamattina sono infatti le italianissime bestie alla diossina. Si tratta di pecore e agnellini allevati a pochi passi dalla zona industriale di Taranto che analisi della Asl, ordinate dalla Procura, hanno dimostrato essere contaminati: condannati a morte dalla geografia, ammazzati per il solo fatto di essere nati a Taranto, la patria della diossina in Italia e probabilmente di Europa per colpa dello stabilimento siderurgico dell' Ilva («ma noi con c' entriamo con questa storia delle pecore» precisano dall' azienda) e di altre fabbriche. Queste bestie erano destinate alla macellazione. Ma mai avrebbero potuto entrare nel ciclo alimentare: la loro carne sarebbe stata pericolosa per l' uomo. Dovevano essere abbattute. L' ordine sanitario è arrivato poco più di due mesi fa. Il trasporto soltanto ieri: si è dovuto attendere, come impone la legge, la nascita di un centinaio di agnelli visto che molte capre erano gravide. Saranno tutti uccisi. Agli otto allevatori colpiti la Regione ha riconosciuto un rimborso (poco più di centomila euro) ritenuto però assolutamente insufficiente. «Gli unici a pagare siamo stati noi che ci siamo ammalati e abbiamo perso il lavoro. E queste povere bestie - spiega Fornaro - Gli altri sono là, con le ciminiere che continuano ad avvelenarci». «La storia degli agnelli di Taranto è un po' il paradigma dell' inquinamento di questa città: rimane la strage degli innocenti e quel senso di impunità» denunciano le associazioni ambientaliste. «Il fatto che ci sia una contaminazione nella catena alimentare - spiega il direttore regionale dell' Arpa, Giorgio Assennato - rende ancora più urgenti le misure di contenimento delle emissioni tossiche». Misure che il consiglio regionale della Puglia discuterà il 16 dicembre: proposta dal governatore Nichi Vendola (e passata in commissione con l' astensione dell' opposizione) la legge pugliese imporrebbe il dimezzamento delle emissioni a tutte le fabbriche (Ilva compresa) entro aprile prossimo e una riduzione di circa otto volte quelle attuali nel 2010. Poi, ci sono le pecore. Che potrebbero diventare il simbolo del futuro di Taranto: alcune analisi, disposte alla Procura, potrebbero dimostrare la matrice della diossina. Indicherebbero cioè per la prima volta in maniera scientifica (e giudiziaria) la correlazione tra l' inquinamento e l' inquinatore. Saranno le pecore a dare un nome e un cognome agli avvelenatori di Taranto.
GIULIANO FOSCHINI
11 dicembre 2008 22 sez. CRONACA http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/12/11/pecore-tossiche-abbattute-malati-anche-noi-pastori.html?ref=search
Ivo Allegrini. Chimico (laurea a Roma nel 1970), esperto di fama mondiale sull'inquinamento delle aree industriali e urbane. Per 22 anni direttore dell'Istituto di inquinamento atmosferico del Cnr, è stato chiamato in Cina prima come consulente per le Olimpiadi di Pechino, poi per l'Expo di Shanghai del 2010. Vanta centinaia di pubblicazioni scientifiche, per il Cnr si è occupato di inquinamento in Antartide e Polo Nord. Il suo nome compare molte volte nelle intercettazioni di Archinà, per i suoi rapporti con Corrado Clini, allora direttore generale del ministero dell'Ambiente, poi ministro. È lui che chiama, o è chiamato, quando compaiono dati sull'inquinamento atmosferico e ambientale che preoccupano l'Ilva di cui Allegrini è consulente.
Girolamo Archinà. Ex capo delle relazioni istituzionali dell'azienda, sessantasettenne tarantino entrato in acciaieria come operaio di secondo livello ai parchi minerari e promosso dal padrone, Emilio Riva, "Maestro dell'Insabbiamento" (così lo definisce al telefono), mentre dispone di politici, preti, sindacalisti, giornalisti, come fossero roba sua. Nasce democristiano e cattolico devoto, Girolamo Archinà. Ha scontato un anno e mezzo tra carcere e domiciliari senza proferire verbo. Sua moglie ha tentato due volte di togliersi la vita.
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