La questione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi resta un dilemma che non si può più rimandare. In ballo ci sono circa 75 mila metri cubi di rifiuti a bassa e media attività e 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività, prodotti quando le centrali erano in funzione e che dovranno rientrare da Francia e Inghilterra. Dove sarà realizzato il deposito italiano?
In questi giorni, spiega all’Adnkronos, Umberto Minopoli, presidente Associazione italiana nucleare, «il governo ha confermato che se ne prevede la messa in posa, l’inizio della realizzazione entro il 2020. Ci sono quindi tutti i presupposti per portare avanti questa infrastruttura importante di cui sono dotati tutti i paesi europei ed è ora che anche l’Italia si adegui a questa necessità». Oltre ai rifiuti derivanti dallo smantellamento degli impianti nucleari, che rappresentano il 60% del totale, ci sono anche quelli prodotti dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca. Scorie che continuiamo a produrre: circa 500 metri cubi all’anno che vanno messi in sicurezza.
Secondo Severino Alfieri, responsabile project management Office centro sud Sogin, «è giusto avere un solo deposito nazionale e non 15 depositi provvisori molti dei quali non controllati a dovere perché magari sono depositi di rifiuti radioattivi prodotti dall’industria, dalla ricerca o dalla medicina. Centralizzare dunque questi rifiuti in un solo sito ben controllato fin quando la radioattività non decade significa ridurre al minimo, se non addirittura azzerare, i fattori di rischio».
Quattro le centrali in dismissione, quella di Trino, Caorso, Latina e Garigliano. Più 4 ex impianti di ricerca. A gestire le attività è la società pubblica Sogin. A metà giugno verrà sciolta la riserva sulle aree candidate ad ospitare il deposito nazionale. Poi si avvierà un dibattito/confronto con le popolazioni locali.
Ma sono ancora tanti i nodi da sciogliere. Per gli ambientalisti, ad esempio, i rifiuti ad alta attività devono essere gestiti separatamente, in un deposito europeo. Ovviamente fuori dall’Italia. «È chiaro – commenta Alfieri – che tutti auspicano un deposito europeo per i rifiuti ad alta attività che non dovrà e non sarà realizzato in Italia perché l’Italia è il paese europeo dell’industria avanzata che ha meno rifiuti radioattivi ad alta attività per cui sarà qualche altro paese che si dovrà prendere carico di questo deposito» .
Ma al momento non c’è né una legge, né un accordo tra paesi Ue per un deposito sovranazionale. L’unica cosa certa è che ogni paese deve farsi carico della sistemazione dei propri rifiuti nucleari e gestire le proprie scorie. Quelli ad alta attività quindi andranno a finire in deposito temporaneo di lunga durata. Si parla di 50-100 anni. Ad alimentare le diffidenze c’è anche la mancata istituzione dell’Isin, la nuova autorità per la sicurezza nucleare, e del programma nazionale di gestione dei rifiuti radioattivi che doveva essere approvato entro il 31 dicembre 2014. Ritardi che non aiutano il dialogo con la popolazione. Ma all’avvio dei lavori mancano ancora 5 anni. Dal 2020, poi ci vorranno almeno altri quattro anni per realizzare il sito che stoccherà tutti i rifiuti nucleari italiani. http://www.latina24ore.it/latina/107657/deposito-dei-rifiuti-nucleari-i-nodi-da-sciogliere
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