L’I N CO N T RO Ieri a Taranto i legali dell’azienda (Severino
compresa) hanno visto i pm: niente ammissioni di colpa,
la società è vittima. La Procura: proposta irricevibile DOMANI L’UDIENZA PRELIMINARE
L’opzione rimasta ora ai commissari è paradossale: chiedere
lo stralcio per Ilva Spa in attesa delle scelte del ministero.
Se si va a processo, gli avvocati hanno già spiegato a Gnudi
che gli converrà chiedere l’applicazione dei nuovi “ecoreati”
di Francesco Casula
e Marco Palombi
I
l tempo per chiedere il patteggiamento
è ormai scaduto e così l’Ilva gestita dai
commissari governativi pensa a un
nuovo modo di uscire dal procedimento
penale “Ambiente svenduto”. Nemmeno
l’incontro di ieri pomeriggio al
palazzo di Giustizia tra i legali dell’azienda - compresa
Paola Severino, ex ministro della Giustizia,
oggi consulente del commissario Piero Gnudi - e la
procura di Taranto è bastato per aprire spiragli in
vista dell’ultima udienza preliminare, in programma
domani. Del resto, secondo le poche indiscrezioni
trapelate, la delegazione dell’Ilva avrebbe
presentato solo una bozza dell’istanza di patteggiamento:
al momento, infatti, non c’è ancora
nemmeno il via libera del ministero per lo Sviluppo
economico.
Gli avvocati cambiano strategia,
i magistrati dicono no
Nelle 20 pagine della bozza, ci sarebbe stato un
punto irricevibile per gli inquirenti guidati dal
procuratore Franco Sebastio: il pool di legali infatti
- oltre a una multa di tre milioni e all’ipotesi di
interdizione per qualche mese - avrebbe addirittura
chiesto di confiscare non i beni dell’Ilva, ma
quelli di Riva Fire, la holding che controllava Ilva e
nelle cui casse sono transitati i soldi che la famiglia
Riva guadagnava con lo stabilimento siderurgico.
Tradotto: per la difesa, Ilva è stata danneggiata da
Riva Fire ed è quindi da considerare vittima e non
colpevole. Un punto sul quale, evidentemente, i
magistrati non possono cedere. Una richiesta che,
inoltre, avrebbe scatenato anche le ire dei legali
della altre due società - Riva Fire e Riva Forni elettrici
- finite nell’inchiesta per le condotte dei loro
vertici che, per i pm, sono i responsabili, insieme a
un pezzo di politica, del disastro ambientale e sanitario
del capoluogo ionico. L’ultima spiaggia,
quindi, è quella di presentare domani al giudice
per l’udienza preliminare Vilma Gilli - che dovrà
decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio per i 49
imputati e le 3 società - lo stralcio della posizione di
Ilva spa. Un’istanza che, se venisse accolta, creerebbe
una sorta di paradosso: un maxiprocesso
all’Ilva, ma senza l’Ilva.
Si conferma, insomma, il cambio di strategia della
difesa del siderurgico commissariato raccontato
dal Fatto Quotidianogiovedì scorso: in una co n fe re n ce
ca l l tra il ministro Federica Guidi, Paola Severino e
i commissari Gnudi e Corrado Carrubba, si sarebbe
deciso di rinunciare alla proposta di patteggiamento
inizialmente avanzata alla Procura (che prevedeva
almeno l’ammissione di colpevolezza di Ilva)
e di puntare - nel caso si dovesse andare al processo
vero e proprio - sull’effetto che la nuova legge
sugli ecoreati, ritenuta più “favorevole” agli imputati
rispetto al“disastro innominato” su cui si basa
oggi l’accusa, potrebbe avere sul procedimento.
Prendono, dunque, sempre più corpo i timori sugli
effetti delle nuove norme diffusi tra molti magistrati,
Procura e Tribunale tarantini compresi.
Fonti di governo sostengono, però, che una decisione
definitiva ancora non è stata presa, anche se i
commissari Ilva e il governo devono tener conto
anche del valore economico dell’azienda, fondamentale
per concludere positivamente il processo di risanamento e la successiva messa in vendita degli
stabilimenti. Ieri in Gazzetta Ufficiale è arrivato
uno dei decreti attuativi necessari per rimettere
l’azienda sul mercato, quello che crea la Spa pubblica
aperta agli investitori privati: molto interessata,
com’è noto, è la multinazionale franco-indiana
ArcelorMittal, forse in cordata col gruppo Marcegaglia,
se non verrà escluso per conflitto di interessi,
essendo uno dei maggiori clienti di Ilva.
I rapporti con Riva Fire Spa,
gli 8 miliardi sottratti alla città
Prima di arrivare al futuro, però, a Taranto (e a
Milano che indaga per reati fiscali) andrà chiarito
il passato di Ilva. La difesa coordinata dall’ex Guardasigilli
Severino, come detto, punta ora a scaricare
tutto su Riva Fire, la società che controllava
Ilva spa e le era legata da un accordo di “cash pooling”.
Spiegano i finanzieri che hanno indagato sul
“governo ombra”dei Riva, azionisti di maggioranza
dell’azienda siderurgica: si tratta di “accentrare
in capo a un soggetto giuridico la gestione delle disponibilità finanziarie di un gruppo societario,
allo scopo di gestire meglio la tesoreria aziendale”.
Tradotto: i profitti di Ilva spa finivano nei conti di
Riva Fire che è sempre stata la cassaforte della famiglia.
Fire, infatti, è semplicemente l’acronimo di
Finanziaria Industriale Riva Emilio. Le indagini
hanno accertato la presenza di “fiduciari” della famiglia
in ogni reparto della fabbrica col compito di
fare gli interessi di Riva Fire e affermano le responsabilità
di quest’ultima.
Nella richiesta di sequestro da 8,1 miliardi di euro
(concessa dal Gip, confermata dal Riesame e poi
annullata dalla Cassazione) i pm di Taranto avevano
sottolineato come il legame tra le due società
fosse “di fondamentale importanza”, tale che “la
‘capogruppo’ possa essere chiamata a rispondere”
per i reati commessi dai vertici di Ilva Spa. Le cariche
ai vertici di entrambe le società, d’altronde,
erano ricoperte solo da membri della famiglia Riva:
“Gli interessi finanziari di Ilva Spa sono strettamente
connessi a quelli della controllante Riva
Fire Spa sicché - scrivono i pm - può ben dirsi che
il fine ultimo, che ha mosso gli indagati” Emilio,
Nicola e Fabio Riva “a commettere i reati di associazione
a delinquere finalizzati al disastro ambientale
e all’avvelenamento di sostanze alimentari
si sostanzia nel conseguire un ingentissimo
vantaggio economico derivante dalla mancata effettuazione
del complesso di opere strutturali necessarie
alla completa ambientalizzazione dello
stabilimento siderurgico”. Insomma Ilva spa non
ha ammodernato la fabbrica e non l’ha resa sicura
- rendendola “causa di malattia e morte” per i tarantini,
come dice il Tribunale - arricchendo invece
la cassaforte di famiglia. Un risparmio di oltre
8 miliardi sulla pelle di operai e cittadini.
Ora, però, i legali del commissario Gnudi raccontano
che no, Ilva era vittima dei Riva, col disastro
non ha a che fare. Forse andrebbe pure risarcita,
chissà. A meno di 48 ore dall’ultima
udienza preliminare, quindi,
ammainata l’ipotesi del patteggiamento,
Paola Severino -
la stessa che da Guardasigilli
firmò una dei sette decreti Salva
Ilva - tenta di giocarsi l’u ltima
carta. Quella del paradosso:
il regno in cui tutti sono
vittime e nessuno paga mai,
soprattutto le bonifiche
ambientali. il fatto quotidiano 27 maggio 2015
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