giovedì 23 maggio 2013
Ilva Riva sequestrati 1,2 miliardi di soldi sottratti
RIVA, SEQUESTRATI 1,2 MILIARDI
“SOLDI SOTTRATTI ALL’I LVA”
I PM DI MILANO RINTRACCIANO IL TESORO DELL’AZIENDA, NASCOSTO
IN 8 TRUST NELL’ISOLA DI JERSEY. INDAGATI EX PATRON E FRATELLO
TUTTO OFF SHORE
Registi dell’o p e ra z i o n e
due commercialisti, sotto
inchiesta per riciclaggio
Indagine partita dai
capitali fatti rientrare
con lo scudo fiscale
il fatto quotidiano 23 maggio 2013
di Francesco Casula
e Antonella Mascali
Dalle casse dell'Ilva al
paradiso fiscale di
Jersey, passando
per società di comodo
lussumburghesi e olandesi,
per poi tornare in Italia
grazie al controverso scudo fiscale,
e per di più senza averne i
requisiti. È il viaggio del tesoro
segreto dei Riva dell’llva di Taranto
sequestrato ieri dal nucleo
tributario della Guardia di
finanzia di Milano. Un miliardo
e duecento milioni di euro che
Emilio Riva, 86enne ex patron
dell'acciaieria, agli arresti domiciliari
dal 26 luglio 2012 per il
disastro ambientale nel capoluogo
ionico, e il fratello 81enne
Adriano avrebbero sottratto allo
stabilimento siderurgico e
portato tra il 1996 e il 2006 in
otto trusts con sede all'estero.
Nel 2009, con lo scudo fiscale
firmato Giulio Tremonti, governo
Berlusconi, la decisione
di legalizzare in Italia i capitali,
ma qualcosa nelle operazioni
non torna. Per la Gdf infatti i
soldi portati all'estero sono inizialmente
intestati ad Adriano
Riva, cittadino canadese che
non avrebbe potuto usufruire
dello scudo, mentre quelli dichiarati
nel nostro Paese sono
intestati a Emilio, residente in
Italia e dunque con i requisiti
per il condono fiscale. Hanno
pagato così solo il 5% per regolarizzare
la loro fortuna illecita.
L’accusa pe loro è di truffa ai
danni dello Stato, intestazione e
trasferimento di beni fittizi e
frode fiscale. Indagati anche
due commercialisti, Franco
Pozzi ed Emilio Ettore Gnech:
per loro è scattata l’accusa di riciclaggio.
IL 30 NOVEMBRE 2009, attraverso
due dichiarazioni congiunte
a firma dei Riva, autenticate
da un notaio svizzero,
hanno messo in piedi lo scambio
di nomi fra i due fratelli per
accedere allo scudo fiscale.
Esemplare la dichiarazione di
Emilio Riva dell’11 novembre
2009 a Ubs Fiduciaria Spa:
”Confermo con la presente di
essere stato nel corso del 1997
l’effettivo settlor (fondatore,
ndr) dei seguenti trust: Orion,
Venus, Sirius e Antares”. Presto
potrebbero esserci altri indagati
anche fra i membri degli organi
di vigilanza del gruppo Riva.
Quel tesoro negli ultimi tempi
era destinato a scomparire del
tutto per evitare eventuali provvedimenti
dei pm di Taranto. Il
gip Fabrizio D'Arcangelo, infatti,
spiega che si voleva “modifi -
care la giurisdizione dei trust
per effetto delle iniziative dell'autorità
giudiziaria di Taranto”.
Orion, Sirius, Venus, Antares,
Lucam, Minerva, Paella e Felgan
sono gli 8 trust finiti sotto la lente
della Gdf e dei pm Stefano Civardi
e Mauro Clerici, coordinati
dal procuratore aggiunto
Francesco Greco. Sono, invece,
tre le operazioni scandagliate: la
cessione Oak del 1995, la cessione
Stahlbeteiligungen del 1997 e la
cessione Ilva tra il 2003 e il 2006.
“Tutte le cessioni – scrive il gip -
si consumavano tra ricorrenti
controparti, da un lato la holding
italiana (Fire Finanziaria
spa, quindi trasformatasi in Riva
Acciaio spa e infine in Riva
Fire spa), dall'altro società di diritto
estero, dietro le quali si nascondevano
sempre i fratelli Riva;
i prezzi delle cessioni erano
artificiosi e funzionali a frodare,
spostando liquidità (derivante
dalla cessione all'esterno della
partecipazione) dalla holding
alle persone fisiche, dall'Italia all'estero”.
I Riva con queste operazioni si
sarebbero arricchiti ai danni
dell’Ilva. Il gip parla di “sistema
di frode” dal 1995 ad oggi “tra -
mite complesse azioni societarie
estere venivano realizzate notevoli
plusvalenze in Paesi a fiscalità
privilegiata, successivamente
confluite nei trust. Le partecipazioni
venivano acquisite da
società estere gestite da Emilio
ed Adriano Riva per essere successivamente
cedute alla capogruppo
italiana, con una notevole
maggiorazione di prezzo.
Con tale meccanismo la società
italiana si indebitava in modo
considerevole verso gli istituti di
credito e subiva un grave danno
patrimoniale. In taluni casi le
società veicolo venivano create
appositamente e chiuse subito
dopo la conclusione dell’opera -
zione. Le operazioni venivano
strutturate in modo da drenare
le disponibilità finanziarie dalla
holding italiana ad esclusivo
vantaggio delle persone fisiche,
in quanto le somme derivanti
dalle compravendite venivano
allocate nei suddetti trust. Non
vi era pertanto alcuna ragione
economica sottesa a tali operazioni.
Il denaro incassato dalle
società estere non veniva investito
in alcuna attività e non rimaneva
nelle casse societarie. I
trust venivano istituiti solo per
celare chi fosse il reale proprietario
dei beni in quanto si riscontrava
che il Trustee non
aveva alcun potere decisionale
senza l’avallo del protector
(Emilio Riva-Stefania Riva Casati).
Attraverso lo scudo fiscale
e le varie intercettazioni fiduciarie
del trust da un lato veniva
reimpiegato il capitale illecito,
dall’altro si ponevano in essere
una serie di operazioni finalizzate
ad ostacolare l’identifica -
zione della provenienza delittuosa
dei beni nonché la riconducibilità”
ai Riva.
E NEL DECRETO vengono descritte
le tre operazioni. Prendiamo
per esempio
la terza, l’acquisi -
zione, con un esborso
di 519 milioni di
euro per l’azienda
italiana, dell’11.75%
della partecipazione
di Ilva Spa detenuta
formalmente da
Stahl BV, ma in realtà
di Adriano Riva.
Secondo l’accusa
l’operazione “evi -
denzia una chiara
intenzione di trasferire
disponibilità finanziarie
all’estero”
presso una società
“riconducibile ad
Adriano Riva”. Pertanto,
scrive il gip, “è
evidente che la funzione, almeno
negli ultimi anni di vita della
società, fosse unicamente quella
di schermo societario utilizzato
per di drenare risorse”.
Quella montagna di soldi i Riva
avrebbero potuto utilizzarla per
ammodernare gli impianti che,
secondo il gip di Taranto Patrizia
Todisco, diffondo “malattia
e morte”.
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