di Elisabetta Ambrosi
S
corie radioattive, spreco energetico,
sovrappopolazione, inquinamento
dell’aria, uso dell’acqua dolce,
buco dell’ozono, fusione dei ghiacci,
acidificazione degli oceani, uso del
suolo e deforestazione, cambiamento
climatico, abuso di azoto e fosforo,
perdita della biodiversità: eccoli qui,
dal meno grave al più grave, i dodici
problemi di cui soffre il nostro pianeta.
Li ha messi in fila il meteorologo e
climatologo Luca Mercalli nel suo
nuovo programma che gioca con
l’omonimia tra il suo cognome e quello
del noto vulcanologo, Scala Mercalli:
sei puntate in onda il sabato su Rai tre
alle 21:30 (sfidando la posta di Maria
De Filippi e le notti sul ghiaccio di Rai
Uno), per parlare di ambiente, clima,
sviluppo sostenibile. Un’idea semplice
e intelligente alla quale però finora
nessuno aveva pensato, programmi di
animali e viaggi – che altra cosa sono
però – a parte. Difficile, allora, non
partire dagli elogi: anzitutto, nonostante
un incipit un po’ ansiogeno, con
il conduttore che annuncia che l’ultimo
gennaio è stato il secondo più
caldo della storia e un breve video di
papa Francesco che ricorda che Dio
perdona ma la terra no, Scala Mercalli
evita, per fortuna, i toni paralizzanti da
apocalisse in arrivo. Con pacatezza
ideologica e senza l’uso forsennato di
grafici (spesso arma contundente nelle
mani negli ambientalisti più zelanti),
ricorda invece che tutto sta nelle nostre
mani e la battaglia si può ancora
vincere.
LE IMMAGINI utilizzate in studio, con
citazioni storiche e pittoriche, sono
belle e il programma evita di diventare
un talk sul clima grazie a lunghi e intensi
servizi: sul bersagliato continente
australiano, sul laboratorio di ricerca
tra le nevi svizzere J u n g f ra u j o c h , ma anche
sulle conseguenze in termini di diseguaglianze
dello sfruttamento delle
risorse in Cile e in Perù. Produce infine
un rinfrescante effetto anticonformista
la critica a una retorica della crescita
che invece attraversa enfaticamente i
discorsi, mostrati in studio, dei capi di
stato (Renzi compreso). Fin qui i meriti.
Perché il tono generale, in studio,
resta un po’ scolastico-cattedratico: il
conduttore è uno scienziato e non uno
show man, certo, ma forse si potrebbe
alleggerire il leggermente soporifero
effetto-lezione. Portare due ospiti illustri
in studio va bene (anche se i poveretti
sono costretti a restare in piedi,
forse perché sull’ambiente occorre stare
sempre vigili), ma forse, senza dibattiti
sterili, sarebbe interessante creare
anche dei contraddittori – magari
con i famigerati, e qui assenti, social –
per ricordare che anche sull’ambiente
le soluzioni non sono univoche e il
pensiero non è, né dovrebbe essere,
unico. Infine, gioverebbe un po’ più di
più concretezza: si potrebbe parlare di
più di ciò che possiamo fare da subito,
magari lanciando il messaggio che essere
ecologici è t re n d y e anche divertente
(come spiega in parte il servizio
sul quartiere Brixton in transition, a
Londra). Insomma, insistere di più
sull’aspetto benignamente grillino che
lega la rivoluzione a micro-scelte facili,
belle e immediate. Per far sentire chi
guarda meno impotente e più coinvolto.
Meno in un’aula universitaria, e più
nella cucina, o nel bagno, di casa sua. il fatto quotidiano 4 marzo 2015
mercoledì 4 marzo 2015
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