Mercoledì 23 Maggio 2018 | IL FATTO QUOTIDIANO
I VERTICI dei sindacati dei metalmeccanici
e di ArcelorMittal tentano ancora
una volta di arrivare a un accordo sul futuro
dell’Ilva. Questa volta il confronto non ha sede
al ministero dello Sviluppo economico dove,
peraltro, non è ancora arrivato il successore di
Carlo Calenda, ma nella sede romana di
Fim-Cisl, Uilm-Uil e Fiom-Cgil. L’obiettivo è
quello di arrivare a un accordo sui punti che riguardano
i livelli occupazionali e quelli retributivi,
da presentare al nuovo governo e dal quale
partire. Le parti si erano lasciate lo scorso 10
maggio quando i sindacati non avevano voluto
accettare la proposta di accordo fatta dal governo.
Fino a ieri il colosso siderurgico, numero
uno nel mondo e in Europa, era rimasto fermo a
10 mila dipendenti. Ieri dovrebbe aver ritoccato
la cifra al rialzo, ma non a sufficienza. I sindacati
chiedono che tutti i 13.800 dipendenti
debbano essere riassorbiti entro la fine del piano
industriale (il 2023). Potrebbero anche andare
in controllate di Mittal per svolgere attività
esternalizzate. La trattativa continuerà a
oltranza. Quello che tutti i sindacati vogliono
evitare, dalla Fim-Cisl al Usb passando per
Fiom e Uilm, è la chiusura di Ilva che sembra
ipotizzata nel contratto di governo M5S-Lega.
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