NELLA
CAPITALE
SONO
ARRIVATI
I
MALATI DI
TUTTO
IL PAESE.
LA
SITUAZIONE
È
DRAMMATICA
COME
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Si
può donare su www.soleterre.org, oppure con carta
di
credito al Numero
Verde 800 90 41 81;
bollettino
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a Soleterre-Strategie di Pace ONLUS, via Eugenio
Montale
19/21 - 20090 Opera (MI). Indica nome, cognome
e
indirizzo e la causale “Emergenza Ucraina”.
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di
Milano. Indica nome, cognome e indirizzo e
la
causale “Emergenza Ucraina”.
L’ONG
SOLETERRE
DENUNCIA:
“I
PICCOLI NON
HANNO
FARMACI,
MUOIONO
ANCHE
PER
UN’INFEZIONE.
E
MOLTE FAMIGLIE
NON
HANNO
PIÙ
NEANCHE
UNA
CASA”
di
Alessandro
Ferrucci, Lorenzo Galeazzi
e
Vauro Senesi
inviati
a Kiev (Ucraina)
Due
rampe di scale, un odore pungente,
un
mix tra disinfettante, chemioterapico
e
candeggina. Per chi lo
conosce,
quell’odore, è inconfondibile,
la
nausea assale anche al solo ricordo. Alla
fine
dei gradini c’è una porta bianca e di metallo,
al
centro la scritta “neurochirurgia infantile”.
Varcata
la soglia, solo penombra. Non
è
una metafora rispetto al pudore, al dolore, è
realtà:
“Oggi è sabato, dobbiamo risparmiare
sulla
corrente, dobbiamo centellinare su ogni
voce.
Siamo in guerra. Siamo in Ucraina”,
spiega
il medico di turno. Camice blu, nessuno
stetoscopio
al collo come stereotipo vorrebbe,
voce
bassa e sguardo deciso, il dottor Svyst
Andriy
è
uno dei responsabili del reparto: “In
questo
momento sono ricoverati 45 bambini,
quando
i posti sono 35, qui eravamo in difficoltà
già
prima del conflitto, ora è il dramma:
non
abbiamo medicinali, sono insufficienti le
camere
sterili, possiamo solo scrivere le ricette
e
sperare che i genitori siano in grado di procurare
i
farmaci”. Procurare, la parola chiave.
Vuol
dire arrangiarsi, vuol dire vendere qualunque
cosa,
ripensare alle priorità della vita,
relativizzare,
tutto diventa superfluo e funzionale,
dalla
casa all’auto, pur di recuperare la
cifra
necessaria e acquistare i medicinali, anche
attraverso
il mercato nero, un mercato alimentato
“dalle
stesse farmacie
degli
ospedali – spiega Damia
-
no
Rizzi,
presidente della Ong
Soleterre,
unici a operare
nell’ex
granaio d’Europa – Sono
dieci
anni che interveniamo
in
questi luoghi massacrati
da
Chernobyl, nel tempo
siamo
riusciti a recuperare
molto,
ma il conflitto ci ha riportato
indietro
di anni.
Guardate
lì...”, e indica la corsia.
Letti
poggiati al muro, flebo
sparse,
macchinari accatastati,
un
padre ha costruito
una
sedia a rotelle fai-da-te
grazie
a una pieghevole di plastica
poggiata
su un vecchio
carrello;
due mamme passeggiano
con
i loro bimbi, sono
idrocefali,
testa penzoloni e
un’agocannula
inserita nella tempia. Altri due
piccoletti
tentano di giocare con una bambola,
per
loro l’agocannula è nel piede, la testa fasciata
per
una recente operazione chirurgica.
Hanno
il cancro al cervello. Uno dei due non si
salverà,
lo spiega la mamma, lo conferma l’infermiera,
il
male è troppo ramificato. “Sapete
cosa
accade? – continua Rizzi – Anche se riusciamo
a
curarli dal tumore, possono morire
per
un’infezione, purtroppo è impossibile
mantenere
gli standard di igiene e sicurezza
opportuni”.
Specialmente ora.
Mancano
pure
gli antidolorifici
Da
quando è iniziato il conflitto, sono state
distrutte
o danneggiate 45 strutture sanitarie,
secondo
i dati forniti dalla Ocha (Ufficio delle
Nazioni
Unite per gli affari umanitari), gran
parte
del personale ha lasciato le zone di Donesk
e
Luhansk, regioni al confine con la Russia,
dove
la guerra è viva, dove si muore tutti i
giorni,
dove il suono delle pallottole è una colonna
sonora
permanente. Non solo: i fondi
stanziati
per il 2015 dal ministero della Salute
ucraino
riusciranno a coprire solo il 30-40 per
cento
dei bisogni sanitari nazionali, le gare
d’appalto
per i medicinali sono state realizzate
con
un gravissimo ritardo e sempre per il 2015
è
stato acquistato appena il 26 per cento dei
farmaci
necessari. “In questo reparto non abbiamo
neanche
gli antidolorifici – continua il
dottore
– Morfina? Ma quale morfina!” La sofferenza
psicologica,
famigliare
e
fisica è vissuta fino in fondo,
nessuno
sconto, nessun
sollievo,
anche in questo caso
funziona
il fai-da-te, quando è
possibile,
oppure è necessario
attendere
l’intervento di Soleterre:
“Ma
i problemi si sommano,
sempre
più, il costo dei
farmaci
aumenta con percentuali
spaventose,
e non è parliamo
solo
di antidolorifici,
ma
di chemioterapici – prosegue
Rizzi
–E con certi prezzi
siamo
in difficoltà. Un esempio?
Il
Melfalan ad aprile costava
35.48
euro a confezione,
mentre
a novembre il suo
prezzo
è diventato di 199.80
euro;
così il Busulfano ad aprile
costava
8.91, a novembre è
passato
a 312.95 euro. Cifre pagate anche dallo
stesso
sistema sanitario italiano per i suoi pazienti”.
Sulla
questione il Fatto
ha
interpellato
l’Aifa
(Agenzia italiana del farmaco), che ha
risposto:
“La società Aspen Pharma (produttrice)
ha
richiesto la riclassificazione in fascia
C,
ossia a totale carico del cittadino, delle suddette
specialità
in quanto la stessa riteneva che
i
prezzi attualmente praticati non erano più
sostenibili.
E ha allineato le cifre a quelli degli
altri
paesi europei”. Con buona pace dei bambini,
delle
casse dei genitori e dello Stato. “Ora
vi
mostro il reparto di oncologia infantile, è da
un’altra
parte di Kiev”, interviene Rizzi. Tutti
in
macchina. I due ospedali sono a circa dieci
chilometri
di distanza, sono pubblici, delle eccellenze
per
l’Ucraina. Durante il tragitto, piano
piano,
si svelano piccoli segnali di una nazione
in
guerra: poche auto in circolazione, la
benzina
è un costo, corone di fiori in molti
angoli
delle vie per ricordare i morti, considerati
“martiri”
dalla popolazione locale; miliziani
in
mimetica, ragazzi non miliziani ma
sempre
vestiti da combattimento, “se guardate
bene
potete vedere dei fori da proiettile sulle
cortecce
degli alberi”, indica una ragazza mentre
posa
un fiore su un altarino. È vero, il segno
c’è.
“Eccoci,
questo è l’ospedale, quando siamo arrivati
nel
2007 –ricorda Rizzi –non c’era quasi
nulla,
la pioggia penetrava dal soffitto, non
avevano
neanche i cerotti o le garze, le amputazioni
si
effettuavano con una sega manuale.
Ora
riusciamo a mantenere un fisioterapista
per
i bambini operati di cancro alle
ossa”.
Ossa, fegato, polmoni, sono i tumori
“solidi”,
i liquidi come le leucemie non vengono
presi
in considerazione perché, paradossalmente,
considerati
troppi semplici, quindi
curabili
altrove. Oltre la porta, il solido odore.
Oltre
la porta una comunità di mamme, piccoli
senza
capelli e gonfi di cortisone, grigi in
volto,
grigi nello sguardo, medici distrutti per
la
stanchezza emotiva e fisica, camere diventate
stanze
nelle quali vivere con i genitori,
storie
di famiglie scappate dalle zone più pericolose
del
paese e nelle quali non è consigliabile
tornare.
“Noi abbiamo perso tutto –
racconta
Anja
–
con mio figlio Sasha siamo
arrivati
qui per curarlo da un cancro alla gamba,
ora
abbiamo finito la chemio (parla al plurale),
ma
non sappiamo dove andare, abbiamo
paura
e la nostra casa è probabilmente inagibile”.
Riuscite
a sentire qualche amico o parente
ancora
a Donesk? “Raramente, tutti ci
dicono
di restare qui, ma non sappiamo dove
vivere,
come mantenerci, io non ho un lavoro
e
il conto in banca è bloccato”. Come lei, come
loro,
sempre più.
Il
campo profughi
della città
E
basta andare al campo profughi di Kiev per
capirlo:
palazzine basse, edilizia sovietica, mattoncini
a
vista, curate, un parco attorno, per
entrare
dentro gli edifici è
educazione
togliere le scarpe.
Siamo
a meno due gradi, a
mezzogiorno
è in arrivo la prima
neve.
Qui i figli sono separati
dai
genitori, a meno di
casi
estremi, l’eccezione è prevista
anche
in guerra, il disagio
non
intacca il concetto di
opportunità.
È il caso della famiglia
Chygerovy,
anche loro
di
Donesk, mamma, padre e
tre
figli. La più piccola, Masha,
non
ha neanche un anno e da
otto
mesi combatte con un
cancro
al fegato, inizialmente
derubricato
come “non curabile”.
Poi
sì. Quindi no. Vediamo.
Infine
un viaggio in
Belgio,
finalmente la sala operatoria
e
la speranza di uscirne.
Insieme
vivono al campo
profughi,
insieme stanno affrontando
il
dolore della piccola e la paura
della
guerra, i due figli più grandi, quindici e
dieci
anni, hanno atteggiamenti da adulti, non
parlano
molto, seguono la sorellina, la coccolano,
ne
assecondano i capricci, rassicurano
i
genitori. “Vedete questi abiti? – spiega il padre
– Sono
dei regali, non possediamo più
nulla,
tutti i soldi sono stati investiti per nostra
figlia,
il conflitto ci ha tolto il resto. Perché c’è
un
conflitto, siamo in guerra, nonostante l’Europa
non
se ne stia rendendo conto. Quando
eravamo
in Belgio i giornali ne parlavano poco,
mentre
a Donesk si muore. Ma ora la priorità
è
lei, e anche gli altri due. Sì, sono cambiati,
specialmente
il maschio, è terrorizzato. Dove
andremo?
Non lo so, viviamo alla giornata, ma
tra
dieci giorni dobbiamo lasciare la stanza ad
altri
bambini”. Destinazione ignota. “Alcune
persone
dormono in stazione – interviene Rizzi
– o
magari in macchina se non l’hanno ancora
venduta.
Noi abbiamo aperto una casa
nella
quale possiamo ospitare fino a cinque
nuclei
famigliari, nelle emergenze arriviamo a
sei,
sette, ma in questi casi la convivenza diventa
complicata
per la medesima struttura”.
Poco
fuori Kiev la villetta di Soleterre con dentro
figli
e genitori, figli malati e genitori pronti
a
sostenerli. Insieme. Un grande tavolo per
mangiare,
un piccolo palco in salotto per organizzare
dei
momenti di svago, delle giostre
in
giardino. Solidarietà ovunque. “Sapete qual
è
la follia?”, interviene Natalia
Onipko
,
presidente della Fondazione
Zaporuka
associazione
gemella
di Soleterre a Kiev,
“è
che dopo Chernobyl non è
stato
organizzato nessun registro
dei
tumori, nessuno!
Hanno
preferito smussare,
quando
la centrale è a soli settanta
chilometri
da qui”. Settanta
chilometri
in linea
d’aria.
“Con quello che è successo
nel
1986, con un po’ di
coscienza,
in questa zona del
mondo
avrebbero dovuto organizzare
il
più grosso laboratorio
del
pianeta, avrebbero
dovuto
studiare le varie forme
tumorali.
In queste zone solo
il
numero di patologie al cervello
è
sei volte superiore alla
norma,
è chiaro?”. Purtroppo
sì,
è chiaro. Com’è chiaro lo
stato
di abbandono, le difficoltà generali, la
sofferenza
di piccoli e grandi, la ricerca quotidiana
di
medicinali, lo spirito di resa negli
atteggiamenti
di alcuni genitori, la volontà di
lucrare
di altre strutture. È chiaro come il freddo
che
sta arrivando, la luce che manca, il
riscaldamento
che scarseggia, i numerosi Suv
dei
ricchi locali, loro circolano. È chiaro come
gli
occhi persi della madre di Masha, una la
guarda,
pensa a una frase di J. Moehringer in
Oltre
il fiume:
“Lei ha sempre avuto il dono di
sognare
il futuro. Adesso, non può fare a meno
di
rivivere il passato”.
1.
continua il fatto quotidiano 1 dicembre 2014
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