di
Pierfrancesco
Curzi
Bhopal
(Madhya Pradesh, India)
Bruciano
i fantocci di paglia, le torce illuminano
la
notte sulla “Spianata nera” di Bhopal.
A
centinaia, a piedi, fino alla fabbrica della
morte,
lo stabilimento del colosso chimico statunitense
Union
Carbide, per chiedere giustizia.
Il
corteo pacifico ha mosso da Iqbal Maidan, il
cuore
musulmano della città, snodandosi attraverso
le
strette strade del bazaar. Infine mescolandosi
al
traffico impazzito quotidiano e alla
puzza
di diossina derivante dai rifiuti dati alle
fiamme
nelle decine di discariche a cielo aperto.
“Siamo
una cosa sola e lotteremo fino alla morte,
perché
la Dow Chemical ha le mani insaguinate,
sangue
di innocenti indiani”. A mezzanotte e cinque
di
ieri (le 19 e 35 in Italia) una folla di bhopalesi
ha
urlato la sua rabbia davanti all'ingresso
della
fabbrica, a nord del capoluogo del Madhya
Pradesh:
“Vogliamo giustizia e il riconoscimento
da
parte della Dow Chemical per quanto spetta
alle
famiglie colpite dal disastro - attacca Namdew
Balkrishna,
leader del movimento dei sopravvissuti
prima
che il pupazzo raffigurante la Uniona
Carbide
venga dato alle fiamme in mezzo alla
strada
- ma devono fare la loro parte anche il nostro
presidente,
Narendra Modi, e le autorità locali.
Trent'anni
sono troppi per avere il giusto risarcimento”.
Compito
arduo. Il nuovo presidente,
in
carica da pochi mesi, difficilmente si metterà
ai
ferri corti con Barack Obama per obbligare i
vertici
della Dow Chemical a scucire somme dovute
dai
vecchi manager della ex Union Carbide.
DA
QUATTRO ANNI dietro
l'affaire Bhopal si
muove
poco sotto il profilo giudiziario. Da quando,
settembre
2010, la Corte Suprema di Delhi ha
accolto
il ricorso del governo indiano per inasprire
il
capo di imputazione: da negligenza criminale,
con
cui 3 mesi prima erano stati condannati 7 dirigenti
dell'allora
Union Carbide (2 anni di reclusione
e
1.700 euro di multa), a omicidio di massa.
La
politica e le relazioni internazionali fanno il loro
corso,
passando sopra la testa dei disgraziati
che,
trent'anni dopo la nube tossica a base di isocianato
di
metile, continuano ad ammalarsi. Secondo
Salil
Shetty, segretario generale di Amnesty
International
, che nei
giorni scorsi ha visitato la fabbrica
della
morte “i resti della produzione chimica
del
sito di Bhopal continuano a uccidere la popolazione.
L'acqua
è contaminata, eppure la Dow
Chemical
si rifiuta di pagare anche questa bonifica.
I
termini dell'accordo del 1989 tra Union Carbide
e
autorità indiane (470 milioni di dollari contro
una
richiesta di 3,3 miliardi di dollari) vanno
rivisti”.
Morti e ammalati di prima e di seconda
generazione.
Presto toccherà alla terza.
Riyaz
Uddin la sera del 2 dicembre 1984 era in
servizio
alla fabbrica come vigile del fuoco e addetto
alla
sicurezza. Oggi fa il pompiere alla stazione
principale
e porta addosso i segni del gas: “In
pochi
minuti i livelli si sono alterati fino a quando
c'è
stato un frastuono, come un'esplosione. Eravamo
in
due pompieri, cosa potevamo fare se non
fuggire?
Dai serbatoi e dalle tubazioni usciva di
tutto.
L'indomani siamo tornati, c'erano solo morti.
Io
intanto vedevo la mia pelle cambiare”. La
visita
al sito dura 30 minuti. Per ottenere il permesso
basta
avere la pazienza di sopportare le lungaggini
burocratiche
di un Paese di oltre 1,3 miliardi
di
persone dove il miraggio della tecnologia
è
ancora per pochi. Dentro è rimasto tutto come
allora,
gli impianti, la sala macchine, la direzione.
Il
tristemente noto serbatoio E-610, che quella
notte
conteneva 40 tonnellate di gas velenoso, è
stato
buttato in mezzo agli sterpi e giace come il
relitto
di un piccolo sommergibile.
Emblematica
la storia di Sathyu Sarangi, fondatore
del
Gruppo d'Azione pochi giorni dopo la tragedia:
“Allora
ero un giovane attivista e mi occupavo
dei
diritti dei lavoratori nelle campagne tra
Varanasi
e Patna. Quando ho sentito cosa era accaduto
a
Bhopal ho lasciato tutto. Da allora mi
batto
per gli ammalati e per le famiglie dei morti
provocati
dalla fabbrica. Una guerra difficile, ma
io
non mollo”.
MERCOLEDÌ
3 DICEMBRE 2014 il
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