sabato 19 maggio 2012
Pontinia a Mazzocchio il più grande deposito italiano di fusti tossici
Questo era il mio articolo pubblicato la scorsa settimana su Il settimanale di Latina nella pagina di Pontinia
Sono tante le notizie scomparse che non si vogliono raccontare. In
particolare sui rifiuti tipico esempio di chi li vuole nascondere per
tanti motivi: legati alle ecomafie, all'incapacità amministrativa, di
progettazione e programmazione territoriale. Tacere evita l'allarme
della popolazione questo è quello che pensavano le istituzioni a
proposito della situazione della discarica di Borgo Montello.
Addirittura la cronaca giudiziaria racconta di documenti e inchieste
scomparse. Ne ha parlato Il Manifesto: «Personalmente, non sono
riuscita a recuperare eventuali procedimenti penali», racconta con una
vena di sconforto Nunzia D'Elia. Forse era un episodio minore, uno di
quei processi da Pretura, che finiscono subito negli archivi. Ma non
era così. Basta rileggere quello che scriveva la commissione rifiuti
guidata da Scalia nel 2000: «Il sequestro di Pontinia è stato (in
termini quantitativi) il più rilevante del genere mai effettuato in
Italia ed esso è stato lo spunto per un'attività di indagine autonoma
della Commissione (...) per valutare l'esistenza o meno di una sorta
di holding affaristico-criminale attiva sul territorio nazionale nel
ciclo dei rifiuti». Si trattava di 11.600 fusti, con i residui delle
industrie farmaceutiche e chimiche di rilievo nazionale. Rifiuti
stoccati a partire dal 1997 dalla società Sir di Roma, al centro del
complesso intreccio societario che Massimo Scalia ricostruì dieci anni
fa. Ma di tutto questo non c'è più una sola traccia a Latina. Ecco
cosa scrive la commissione antimafia del Senato il 28 ottobre 1998:
“Nel comune di Pontinia è stato individuato un capannone nel quale
erano stoccati 11.600 fusti, alcuni svuotati di sostanze pericolose ma
non trattati, altri pieni di rifiuti pericolosi. Ufficialmente
l’impianto doveva provvedere al trattamento di pulizia dei fusti, ma
nel sito non era presente alcun macchinario idoneo allo scopo. Gli
unici strumenti presenti erano infatti un carrello elevatore e due
grosse cisterne; inoltre i registri di carico e scarico delle merci
contenevano un gran numero di irregolarità. Per questi motivi la
Commissione ha convocato sul posto l’autorità giudiziaria di Latina,
che ha provveduto al sequestro dell’area. L’inchiesta è tuttora in
corso, così come l’area risulta ancora sottoposta a sequestro, giacché
l’istanza di dissequestro presentata dalla società operante era stata
subordinata allo smaltimento definitivo dei materiali ivi presenti,
che non è avvenuto. Da tale episodio è scaturita un’attività
d’indagine della Commissione che ha portato all’individuazione di
collegamenti tra la società titolare dell’impianto, alcuni personaggi
collegati alla criminalità organizzata ed altre società operanti in
altre aree del territorio nazionale, già oggetto di indagini
giudiziarie per reati commessi nel ciclo dei rifiuti. Poiché si tratta
di attività ancora in corso, la Commissione ritiene di mantenere
riservate le informazioni; è però esemplare il fatto di come tali
traffici e tali reati avvengano alla luce del sole, contando sulle
garanzie di impunità che – di fatto – l’attuale sistema sanzionatorio
offre. Al di là dei profili meramente processuali del sequestro posto
in essere a Pontinia dietro richiesta della Commissione, occorre porre
in luce come tale peculiare procedura – che costituisce una rilevante
novità sull’utilizzazione da parte della Commissione parlamentare dei
poteri di cui per legge dispone – rappresenti un caso, da giudicarsi
paradigmatico, del tipo di collaborazione e di integrazione tra le
separate e distinte attività dell’autorità giudiziaria e di una
Commissione parlamentare d’inchiesta. Non vi è stata infatti alcuna
interferenza né nell’attività di iniziativa, né in quella di autonoma
decisione della magistratura, ma soltanto una doverosa ancorché
autorevole segnalazione di circostanze ritenute meritevoli di
rappresentare ipotesi di reato.
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