domenica 15 gennaio 2017

Jet, Cadillac e contanti: ecco chi ha preso il miliardo Eni ESCLUSIVO L’azienda paga il governo della Nigeria, ma i soldi vanno solo a politici e prestanome: l’analisi delle autorità Usa e Bankitalia


 Transazione in più fasi

 NEL 2011 il governo nigeriano attribuisce a Eni e all’olandese
Shell (50% ciascuna) i diritti di esplorazione di un grosso
giacimento petrolifero, chiamato Opl 245. Le due compagnie
versano 1,3 miliardi di dollari su un conto del governo nigeriano a
Londra presso la banca Jp Morgan Chase. Quei soldi poi vengono
spediti alla Bsi in Svizzera che si insospettisce e li rimanda
indietro. Viene congelata la mediazione di 215 milioni di euro al
faccendiere Obi, che intenta una causa legale.
n ALTRI 801,5 MILIONI di dollari arrivano comunque ai conti
nigeriani di Malabu, la società titolare dei diritti di esplorazione
che è lo schermo per l’ex ministro del Petrolio Dan Etete che si era
assegnato la concessione quando era al governo. Etete trattiene
250 milioni di dollari, “utilizzati a profitto proprio e di
numerosissimi altri beneficiari per acquisto di immobili, auto
blindate, aerei e altro”; scrivono i pm. 54,4 milioni li ottiene Aliyu
Abubaker “che operava quale agente di Goodluck Johnatan”,
allora presidente della Nigeria
n UNA PARTE DI QUEI SOLDI, secondo quanto sostengono i pm
di Milano, finisce anche ad alcuni dirigenti dell’Eni, in particolare a
Roberto Casula (50 milioni), anello più basso della catena che
faceva capo a Claudio Descalzi e Paolo Scaroni. Altri 917.852
arrivano a Vincenzo Armanna, all’epoca dirigente Eni
STEFANO FELTRI E CARLO TECCE
Idirigenti dell’Eni hanno
preso tangenti? E quel miliardo
di dollari che l’azienda
petrolifera controllata
dallo Stato ha pagato
per i diritti di sfruttamento
del colossale giacimento petrolifero
Opl245 è finito tutto
in mazzette al presidente nigeriano
e altri politici e burocrati
locali? Per i pm di Milano
Fabio De Pasquale e Sergio
Spadaro, che a fine dicembre
hanno chiuso le indagini sulla
vicenda, la risposta è “Sì”a entrambe
le domande, tanto che
sono indagati per corruzione
internazionale l’ex amministratore
delegato dell’Eni
Paolo Scaroni e il suo successore
Caludio Descalzi, all’epoca
a capo della divisione
petrolifera del gruppo. Vista
la rilevanza dell’affare e la
gravità delle accuse, note dal
2014, anche l’Eni ha avviato
una sua indagine interna per
capire se c’è stata corruzione.
Il collegio sindacale, l’organi -
smo di controllo, si è rivolto
allo studio legale americano
Pepper Hamilton, che a sua
volta ha coinvolto gli investigatori
della Fg International
Solutions. Il risultato è un report
presentato sia all’Eni che
alla Sec, l’autorità di Borsa americana,
e trasmesso anche
al dipartimento di Giustizia americano.
AI SOCI E ALLE ONG che ne
chiedevano conto, nell’a ssemblea
degli azionisti 2016, i
vertici dell’Eni si sono limitati
a comunicare che “non sono
emerse evidenze di condotte
illecite in relazione alla transazione
di Eni e Shell con il governo
nigeriano del 2011 per
l’acquisizione della licenza”.
Ma il Fattoha potuto leggere il
rapporto integrale di Pepper
Hamilton e di zone d’ombra
nel comportamento dell’E ni
ne emergono parecchie.
Il 28 maggio 2014 l’Unità di
informazione finanziaria della
Banca d’Italia trasmette alla
Procura di Milano una serie di
informazioni ricevute dalle
autorità inglesi e americane:
ne emerge il grafico che vedete
qui accanto. Il 29 aprile 2011
l’Eni bonifica 1,092 miliardi di
dollari a un conto vincolato
del governo nigeriano presso
la banca Jp Morgan Chase a
Londra (non il conto abituale
dello Stato, ma uno parallelo).
Quei soldi poi vengono girati a
una società aperta nel 2010 alle
isole Marshall, Petrol Service,
ma la banca che doveva
riceverli –la Bsi di Lugano –li
rimanda indietro. La somma
allora inizia a disperdersi per
mille rivoli: non un solo euro
andrà al popolo nigeriano. Secondo
quanto hanno ricostruito
le autorità finanziarie

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