NUOVO SEQUESTRO DI ESPLOSIVO. “P ROV I E N E
DALLA LAURA C”. IN MARE ANCHE RIFIUTI TOSSICI
di Lucio Musolino
Reggio Calabria
C
i sono navi e navi in
Calabria. Quelle piene
di rifiuti radioattivi e
quelle con stive cariche
di tonnellate di esplosivo. Le
prime misteriosamente sono
scomparse mentre le altre sono
difficili da mettere in sicurezza e
restano nella piena disponibilità
delle famiglie mafiose. Sono navi
che dormono sui fondali calabresi
e sulle quali ci guadagna
la ’ndrangheta che, a largo delle
coste ioniche, ha un vero e proprio
supermarket del tritolo C4.
Un quantitativo enorme di esplosivo è già stato
recuperato e nascosto dalle cosche. Gran parte però
è ancora lì, dentro la stiva della “Laura C”, la
nave militare silurata e affondata nel 1943 con 7
tonnellate di tnt. Scoperta nel 1970, quella nave è
stata abbandonata fino a metà degli anni novanta
quando è stata fatta una prima bonifica per impedire,
solo in parte, l'accesso alla stiva. Cosa che
non riuscì, tanto che nel 2002 con l'operazione
“Bumma”, coordinata dal procuratore aggiunto
Nicola Gratteri, si scoprì che la 'ndrangheta, e in
particolare la cosca Iamonte, riusciva a rifornirsi
di tritolo proprio a largo di Melito Porto Salvo.
E da qui che si deve partire per capire l'allarme
lanciato ieri dal procuratore Federico Cafiero De
Raho: “Ancora una volta la ‘Laura C’si conferma
il supermarket di tritolo per la ’ndrangheta”.
EPPURE DA DUE ANNI sono iniziate le operazioni
di bonifica della nave che dovevano prevedere il
recupero di tutto l’esplosivo, o almeno di quella
parte di cui la ’ndrangheta ancora non si è impossessata.
“Con la prefettura - aggiunge il magistrato
- si sta tentando di fare in modo che non
sia più raggiungibile questo tritolo. Appena qualche
mese fa la Marina militare è intervenuta con
propri uomini e ha tolto circa 80 chili. Un quantitativo
notevole ma il resto non è riuscito a recuperarlo
per le precarie condizioni del luogo e
della nave. È evidente che la ‘Laura C’continua a
essere, per le tonnellate di tritolo che contiene ancora,
una fonte di approvvigionamento della
‘ndrangheta”.
Ieri i carabinieri hanno eseguito un blitz contro la
cosca Franco a cui sono stati sequestrati 5 detonatori
e dieci formelle di tritolo che gli accertamenti
hanno stabilito essere stato trafugato nella
stiva della ‘Laura C’. Così come quello che, nei mesi
scorsi, la Procura di Reggio ha inviato ai pm di
Caltanissetta che si occupano delle stragi di Capaci
e via D’Amelio. Su questo, però, Cafiero non si
sbilancia: “Sono accertamenti che la Procura di
Caltanissetta ha fatto ma rientrano in un'altra indagine”.
Di sicuro c’è che le famiglie mafiose calabresi
“in tante altre occasioni hanno utilizzato il
tritolo di quella nave”. Come nell’ottobre 2004
quando alcuni panetti di tritolo sono stati trovato
in un bagno di Palazzo San Giorgio, sede del Comune
all'epoca guidato da Scopelliti. Tre informative
del Sismi, firmate da Marco Mancini, avevano
rivelato il luogo esatto dove la ‘ndrangheta
aveva lasciato il tritolo.
Nonostante sembrerebbe siano stati pagati circa
200 mila euro per quell’informazione, a distanza di
11 anni non si è riusciti a capire
quale cosca avrebbe organizzato
l'attentato a Scopelliti
negli stessi giorni in cui
l’Italia ospitava il presidente
degli Stati Uniti George Bush,
a tre anni dall’attacco alle
torri gemelle e in un clima
che aveva, a prescindere, il sapore
di azioni terroristiche.
NON C’È SOLO la “Laura C”
nei fondali del mare calabrese
ma anche le cosiddette “navi
dei veleni” che la ‘ndrangheta
avrebbe utilizzato per smaltire
rifiuti tossici e radioattivi.
Navi affondate o spiaggiate
sulle quali non si è mai fatta chiarezza. Tra gli atti
desecretati nei mesi scorsi dalla Commissione parlamentare
antimafia, c’è pure l’audizione del procuratore
di Paola Bruno Giordano che ha indagato
sulle rivelazioni del pentito Francesco Fonti circa
l'affondamento della Cunsky, il relitto di Centraro,
e della più famosa “Jolly Rosso”.“La ‘ndrangheta –
ha affermato il magistrato –è solo l’anello terminale
della vicenda: i 'soldati', gli esecutori materiali di un
affondamento. Si tratta di situazioni gestite ad altissimi
livelli”. Rifiuti tossici e radioattivi che, se non
affondati con le navi, sarebbero stati interrati, come riporta una nota trasmessa nel 1995 dai servizi al
Ministro dell’Interno, “nei tubi del metanodotto o
in discariche abusive nella provincia di Reggio Calabria”.
Un traffico, gestito dalle famiglie De Stefano,
Morabito, Piromalli e Tegano, che “compren -
derebbe – scriveva dell’ex Sisde – anche il contrabbando
di uranio rosso”.
Un anno prima, sempre i servizi, avevano riferito
che l'allora latitante Giuseppe Morabito, detto ‘Ti -
raddritto’, “avrebbe concesso, in cambio di una
partita di armi, l’autorizzazione a far scaricare,
nella zona di Africo, un quantitativo di scorie tossiche
e presumibilmente, anche radioattive, contenute
in bidoni metallici trasportati a mezzo di
autotreni”. il fatto quotidiano 6 febbraio 2015
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